Cervia sempre Mondiale (e Olimpica?)

 

Scritto da Marco

24.08.2016  20:37.44

 

 

Per il quarto anno consecutivo il miglior beach tennis mondiale ha celebrato il proprio “matrimonio” con la terra, la sabbia, i luoghi e le magie turistico-ambientali che, trent’anni fa, ne permisero la nascita.

Il cervese Paolo Caponigri ha messo nome, faccia, mesi di lavoro preparatorio e giorni di febbrile attività sul progetto, sulla visione iniziale, sull’allestimento e sull’ennesimo, prodigioso risultato finale, in tempi in cui quasi ogni attività sportiva è in regressione e difficoltà.

Il Bagno Delfino dei fratelli Ceccaroni ha nuovamente avuto la forza e la voglia di trasformarsi in una multi arena sportiva, di dotarsi delle mille esigenze del beach tennis senza ledere il relax e la vacanza degli altri bagnanti, ma, anzi, offrendo loro una seduzione in più, quella rivelatasi ancora vincente dei racchettoni “roventi” e degli specialisti provenienti da tutto il mondo che meglio li sanno maneggiare.

Caponigri ha voluto metterlo nel claim: “Road To Olympics”. Un viaggio – appena partito ma pienamente in corso – verso il riconoscimento di essere una cosa seria, una di quelle che il Comitato Olimpico non potrà trascurare a lungo, se si pensa allo sconsolante valore spettacolare, televisivo e talvolta tecnico di alcune discipline già nel programma a cinque cerchi. (nella foto a lato la conferenza di presentazione con il sindaco Coffari e il dirigente del main sponsor Bper)

Lo abbiamo detto tante volte nel tempo e dobbiamo sicuramente ripeterlo: la “forza” di Cervia è che le decine divolontari che fanno cose utili al Mondiale (dalle piccole di contorno, a quelle fondamentali di sostanza) sono tutti appassionati di questo gioco e hanno l’orgoglio di sapere che in questi tempi maledetti e difficili, è venuta gente da ogni parte del mondo per metterli alla prova, per vedere se questi romagnoli ci sanno effettivamente fare come si dice.

Dica chi è venuto se l’operazione è riuscita o meno. Se qualcun altro, in qualche altro punto della cartina beach tennistica del mondo, avrebbe saputo fare di meglio e farlo con questi budget, genuini come il sangiovese, ma essenziali come la piadina.

La spettacolare alternanza di pastasciutte colorate, saltate al momento per il palato degli atleti, è stata una chiave di efficienza e servizio, ma anche di buonumore, aggregazione e “cultura” (e si poteva anche accentuare, magari in forma sponsorizzata, la caratterizzazione “romagnola” dei cibi offerti).

Il salottino del fisioterapista ha funzionato alla grande con soddisfazione di tutti. La “passeggiata” commerciale ha permesso di vedere in pochi minuti tutto quello che al mondo c’è di buono per giocare a grande livello a beach tennis (le racchette, innanzitutto) e per vivere belli e felici le ore di sport e relax sulla sabbia.

Il grande Pira si è procurato per tempo la bandiera della Serbia, esordiente ai mondiali, che ancora gli mancava. L’ha messa vicino alle altre 24, ha coordinato i bambini e ha regalato al Mondiale un’altra piccola, semplice e divertentissima festa di colori. Sembrava dire Pira a nome di tutti gli organizzatori “Sbat’è caz se a casa vostra una di queste bandiere non va d’accordo con un’altra: qua siamo in Romagna e per una settimana si gioca e si va d’accordo tutti, capito?”

Sabato è stata anche la sera degli Oscar, un’iniziativa tradizionalmente bersagliata da varie critiche. Ma se un giorno il Comitato Olimpico chiedesse se c’è un riconoscimento ufficiale degli atleti più bravi… Ebbene c’è. L’ho inventato io, mi ci sbatto sopra da sei anni con l’insostituibile supporto di Gianni Pascucci e con la valorizzazione del Doc Buccelli, che ha voluto fortemente gli Oscar in passerella al Mondiale. E con 41 giurati e 16 categorie l’albo d’oro ospita solo nomi di campioni. A prova di critica.

Insomma, con gli eventi collaterali, le accomodation (la mitica walking distance fra gli hotel e i campi di gara), le iniziative speciali, il confort, l’intrattenimento (anche l’inno della soprano per la cerimonia finale), l’informazione (decine di ore di diretta streaming, comunicati e risultati super tempestivi) non si è scherzato. E con un mare dolce e pulito 50 metri avanti, una pineta curata e profumata, le bellezze di Ravenna, Rimini e San Marino (oltre che della stessa Cervia) a distanza, oserei dire “pedalabile”, per escursioni di ogni tipo… la settimana mondiale al Delfino èun’esperienza completa e unica. Sia se siete fenomeni con il racchettone, sia (e forse più) se non lo siete o se siete semplici accompagnatori. Un fardello ereditario pesante per chi volesse pensare di rilevare l’organizzazione con i “fantasmagorici” (?) utili che qualche sprovveduto pensa che se ne ricavino…

 

E adesso andiamo in campo.

Tre tabelloni open e sei giovanili. Riccardo De Biase ad orchestrarli con l’esperienza di Riccardo Ragazzini a supporto. Stuart Barraclaugh di ITF mantiene quel aplomb britannico così magicamente compatibile con la ruspante organizzazione romagnola. Questo feeling è una delle chiavi della quadriennale fiducia concessa al Delfino come sede del Mondiale (e l’edizione 2017 è ancora da assegnare, vuoi vedere che…)

Tutto trasparente, tutto stampato ed esposto, tutto rapidamente on line a portata di un clik di smartphone. Così si fa, ragazzi.

Nel mare magno dei tabelloni di qualificazione troviamo “parvenu” di nazioni improbabili e la presenza elegante e sobria di alcuni uomini e alcune donne che questo gioco lo hanno praticamente inventato, lo hanno dominato e hanno viaggiato per farlo conoscere al mondo in anni in cui – alcuni giovanotti che si prendono oggi la briga di eliminarli – erano nati da poco.

ravennati Lele Bianchedi, Gianluca Chirico, Maurizio di Cori, Elisa Marino, Marco Montanari, i forlivesi Peo Barbieri e Marzio Bartolini… Non andranno granché bene le cose per Forlì e Ravenna.  Ma un tabellone che comprende questi nomi acquista briciole preziose di nobiltà.

Aldilà di queste partecipazioni di bandiera, la gloriosa Ravenna perderà i propri pezzi in anticipo rispetto al previsto. L’acciaccato neo-sposo Mingozzi esce al primo turno; l’ormai manager di settore Alan Maldini si spingerà solo fino al secondo, come Marco Garavini, leggenda vivente del “Centrale” (4 vittorie), bloccato nel derby cittadino da Meliconi, che subito dopo cadrà sotto i colpi dei KaKà. Se ne va in una tempesta di vento anche il quarto di finale di Calbucci, fatale anche a Matteo Marighella, in condizioni fisiche molto precarie che lo costringeranno a non onorare il titolo conquistato l’anno scorso e il N.1 del seeding e a chiudere anzitempo la stagione.

Fra le donne a far più strada è Camilla Ponti (in arancione con Ninny Valentini) , che arriva alla semifinale, dopo che le concittadine Corbara e Bacchetta erano già fuori dalle sabbie nobili del Delfino.

Un ricambio “geografico” oltre che generazionale. La città-guida sembra diventata ora la vicina (e rivale) Cesena, che mette in pista un crak da N.1 (Miky Cappelletti) e la più interessante e affollata linea-verde. Alla “vecchia” Ravenna tocca sperare nel 14enne Mattia Bazzi che vince il titolo di categoria.

Spulciando fra i risultati del primo turno maschile troviamo qualche perla: Casadei e Faccini battono bene Fontana e il brasiliano Gimpel; poi perderanno l’esame di maturità contro l’improvvisata (ma evidentemente fortissima) coppia italo-russa Valmori-Burmakin, confermando una discreta continuità ancora priva, però, di “risultatoni” .

Chiesa e Stuto fanno 8 games prima di lasciar andare la ben conosciuta classe di Calbucci e del granatiere Giovannini, recuperato poche ore prima del Mondiale con una scelta improvvisata del “divo” Calbu.

Un giocatore che destava curiosità era l’arubiano Samardzic, protagonista con Vini Font della clamorosa vittoria nel premondiale di Kazan, il più ricco torneo di ogni tempo (50mila$ “ma abbondantemente tassati!” come specificano i reduci dell’avventura russa). Il “tropic-olandese” si presenta con la wild card statunitense Helmut, ma il trattamento che subiscono al primo turno dai qualificati romani Benussi e Chiodioni è “sanguinoso”…

Sul centrale si gioca un derby russo con “intrusione” dell’intramontabile cagliaritano Paolo Tronci che si accoppia a Syrov contro Guryev e Kuptsov. Ne esce una partita interminabile e nervosa che il campione sardo deve lasciar andare fra mille rimpianti dopo essersi battuto da leone fino ai vantaggi dei due tie-break decisivi

Da rilevare la vittoria solo sfiorata dai greci (troppo complicato imparare i loro nomi: se tornano l’anno prossimo prometto di farlo) contro gli habituees brasiliani di Cervia Santos e Ferreira.

 

Negli ottavi i N.1 del seeding Marighella e Cramarossa devono “rigirare” una frittata quasi compiuta sull’1-5 del secondo set contro i francesi Irigaray e Guegano, vincendo in rimonta, ma accumulando qualche dubbio sul proprio potenziale. Il 43enne romano Chiodioni e il concittadino Benussi, invece, sembrano ribadire a suon di schiacciate che il clamoroso risultato di Viareggio (finale!) non era casuale. Per battere in due set Pazzaglia e Strano ci vogliono “argomenti” importanti.

Due degli ottavi vanno ai “supplementari” in partite combattutissime: Meliconi trova in Alessi un possibile progetto per una coppia di alto rango: i due battono Garavini e Beccaccioli, altra coppia “fresca”. “Con l’esempio di Chiodioni davanti – commenta Garavini ritirando l’ “Oscar” per il migliore attaccante – posso progettare di giocare ancora un sacco di anni e rifarmi di questa sconfitta”.

I giovani marchigiani Appiotti e Pesaresi, invece, si divorano le mani fino ai gomiti per non aver colto preziose occasioni contro Ferreira e Santos, che se ne vanno ai vantaggi del tie-break del terzo con l’oro della vittoria.

 

Nei quarti l’ingegner Nikita Burmakin da San Pietroburgo impone i suoi numeri: batte fortissimo, inventa “giostre” di ribattuta che tolgono riferimenti, ha una velocità di piede e di gambe fuori dall’ordinario (preziosissima per inventare schemi anche nel misto). Marighella e Cramarossa (che fu avversario di Nikita nella torrida semifinale del 2015) giocano un ottimo secondo set, ma anche gli episodi girano le spalle: non è proprio il loro mondiale. Non potranno tornare nell’arena della finale che li vide da avversari lo scorso anno.

 

 

 

Benussi e Chiodioni si rapportano al “monumento” Calbucci. Ne esce una partita infastidita dal vento, che tuttavia è ricca di emozioni e di giocate. Dopo un tie-break per parte il match si infiamma. Chiodioni con una serie di balzi in difesa palesa una iper-condizione fisica. L’allenatore Tazzari la spiega: “E’ un atleta perfetto, si allena con coscienza da anni come tennista e negli ultimi tempi come beacher. E’ il vero professionista. Fisicamente è più giovane di molti ragazzi che ci sono qui”.

Nella parte bassa del tabellone Carli e Cappelletti tritano in un derby romagnolo Alessi e Meliconi in due set

Santos e Ferreira, invece, centrano l’obiettivo della semifinale sui russi Guryev e Kuptsov. I due paulisti di Santos vincono il premio-fedeltà per il legame inscindibile della loro coppia e la regolarità di risultati di livello.

 

Benussi e Chiodioni arrivano alle semifinali facendosi precedere da interviste ruspanti e “gajarde” che, rilanciate sul web, convincono parecchi romani a risalire la penisola nel caldo infuocato di agosto e venire alla Arena Delfino per tifare. Gli avversari sono il robotico Burmakin e il cesenate Valmori. Sanno di aver fatto un prodigio ad arrivare fino a qui. Quando Benussi e Chiodioni sottopongono nuovi problemi tecnici da risolvere i due hanno un appannamento: l’intesa della loro coppia ha praticamente poche ore di vita e l’ingegnere di San Pietroburgo si fa trovare esausto anche per il contemporaneo impegno nel misto (che lo porterà a vincere con Daria Churakova, rischiando gli ultimi salti sul filo dello strappo muscolare). (nella foto a lato “geyger dance” dei due campioni romani con il pubblico)

Dall’altra parte, invece, Cappelletti e Carli dimostrano di aver girato una pagina decisiva nella loro stagione, iniziata fra delusioni e titubanze e svoltata sette giorni prima a Viareggio con una vittoria tanto improvvisa quanto robusta (pochissimi games persi nel corso del torneo). Per “Talinho” e “Marcao” si è fatta ora di salutare. Quando i “Kakà” fanno così … sul campo avversario piove fuoco.

La finale è la ripetizione dell’epilogo di Viareggio. Comincia nel solito clima di spasmodica attesa, con l’Arena Delfino (ulteriormente ampliata fino a 3500 presenze) strapiena di pubblico, di competenze e di tifo.

Le facce dei Kakà sono “incazzatissime”. Hanno già vinto qui nel 2012. Miky si è ripetuto lo scorso anno nella stagione da “vacanze separate” senza il suo socio abituale. Troppo forte la convinzione di poter centrare un altro titolo.

A ostacolarli non c’è nessuno dei più pronosticati. C’è una coppia di qualificati, ma tutti sanno che non si potrà scherzare con loro, con la loro grande condizione, con le motivazioni a mille spinte dal tifo della “Curva Sud” in trasferta sull’Adriatico.

Ma non scherzeranno: i turni in battuta saranno pioggia di proiettili (Chiodioni sceglie di ribattere a rete, modificando lo schema-Burmakin del giorno precedente che lo aveva visto più lontano dal net, accucciato e reattivo). Nelle altre fasi Carli ci mette difese e grinta, mentre Miky inaugura nuove situazione su cui si può schiacciare, anche dai sei/sette metri invece che difendersi in lob come la normalità vorrebbe.

Finisce in fretta, con i due romagnoli che volano nell’abbraccio della “loro” arena, che li ha visti diventare uomini e campioni. Per lo Zio Chiodo e il suo giovane “cavallo” c’è gloria quasi uguale: il loro risultato è superiore ad ogni aspettativa.

 

 

 

Le donne partono con un pronostico particolarmente variato: almeno 9 le coppie che alla vigilia possono pensare al titolo. Le qualificazioni scorrono tranquille (non ci sono “mine” che possano arrivare in zona-podio). Le gioca anche la pallavolista campionessa d’Italia e d’Europa Lucia Bacchi(qualche allenamento specifico su quel fisicone da wonder woman porterebbe a risultati clamorosi…)

Il primo round vede un piccolo inciampo per Daina-Zanaboni (5) che cedono il set d’apertura (a prima mattina) alle brave qualificate Pesari-Curielli. Nel “sedicesimo” più qualitativo Valentini e Ponti estromettono Nobile e Visani. Le brasiliane Cortez e Miller (veterana la prima, semi-sconosciuta la seconda) cedono il primo set ma battono Arianna Carli (sorella di Luca) e la ex iridata Giulia Spazzoli, tornata alle gare dopo la maternità,

Tutto regolare negli ottavi (le gemelle francesi Hoarau combattono a lungo per eliminare la brasiliana Muniz e la russa Nikoyan). Giulia Curzi estromette la finalista 2015 Patricia Diaz, insieme alla quale aveva colto la prestigiosa vittoria di Aruba. Ancora una volta Cortez e Miller lasciano un set sul loro cammino (glielo portano via le francesi Bourdet e Garnier).

Il quarto di finale più “intenso” si gioca alle 9 del mattino di sabato sul campo centrale. E’ una gara che è inutile caricare di significati perché sono ben evidenti: la lughese Giulia Gasparri e la romana Flaminia Daina si ritrovano avversarie, dopo essersi abbracciate 12 mesi fa su questo stesso campo, da trionfatrici dell’edizione 2015. Altre scelte sportive le hanno portate accanto a nuove compagne: la “programmata” Gasparri sceglie la compagna di allenamenti D’Elia. L’inquieta Daina si abbina lungo il Tirreno con la grossetana Zanaboni. La partita che ne esce è la “caramella” del mondiale: una lunghissima serie di colpi di qualità, di rovesciamenti di punteggio, di errori minimi, di spettacolo tecnico (first class) e di potenza, ma anche di agonismo, pure nel solco (giova ricordarlo: non va sempre così) di un perfetto fair play. A giudizio di chi scrive (che però non ha visto tutte le partite) si tratta della “finale morale” di questo torneo, il video da portare al CIO per suffragare una candidatura olimpica. Peccato averla giocata di prima mattina, senza l’enfasi dell’accompagnamento musicale e con tribune non ancora piene.

Ponti e Valentini vincono la battaglia di palleggio con le francesi Hoarau; mentre le russe Churakova e Glimakova estromettono con grande sorpresa due delle favorite Bacchetta e Cimatti (due titoli mondiali ciascuna), che portano a casa solo 5 games. In parte bassa Cortez e Miller chiudono (finalmente con decisione) il loro match contro le comunque sorprendenti Cini e Curzi.

In semifinale D’Elia e Gasparri hanno il preciso compito di abbassare le traiettorie degli scambi alti imposti da Valentini e Ponti. L’operazione riesce perfettamente nel primo set e con qualche piccolo patema nel secondo. Il risultato sembra sempre in controllo.

Il pubblico del centrale si “accorge” nella seconda semifinale, di Raffaella Miller, tennista dal fisico solido e resistente e dalla confidenza con la sabbia quasi “miracolosa” se si pensa al poco tempo trascorso su di essa (“Decisiva la settimana di stage qui in Romagna con Simona Bonadonna” sottolinea l’esperta Cortez, viceversa ormai di casa al Delfino, nella foto le due brasiliane con Simona). Le due brasiliane della Rio olimpica (che nel frattempo inaugura i Giochi), passano senza problemi sulle russe e raggiungono la finale. Joana non vi era mai riuscita, se non nel misto, dove lo scorso anno vinse con Vini e dove quest’anno non riuscirà a ripetersi, nonostante una vittoria per 6/0 nel secondo set e una palla-match buttata incredibilmente via nel tie-break (nel misto a trazione straniera raggiungeranno le semi anche i francesi Irigaray-Hoarau e la mista arubo-brasiliana Samardzic-Muniz)

La finale è una bella battaglia. Le azzurre la mettono giù dura nei primi scambi e sembrano in grande controllo. Il gioco è impostato su “Rafa” Miller che avrebbe mille motivi per non essere all’altezza:  la scelta delle avversarie di giocare esasperatamente su di lei, l’inesperienza, la fatica fisica e mentale di 5 giorni di gara, lo stress del Centrale (in cui si esibisce solo per la seconda volta), la pressione di una compagna di coppia carismatica, affermata ed esigente come Joana.

Niente di tutto questo. Rafa prende campo minuto dopo minuto, il suo fisico possente si sposta bene sulla sabbia e Joana “dirige” tatticamente il match da par suo, toccando poche, ma decisive palle. Le brasiliane risucchiano le favoritissime italiane e chiudono in ulteriore crescendo. E’ il “miracolo” che il beach tennis aspettava da tempo: l’Italia perde la guida planetaria del gioco che ha inventato. Con l’ovvio nostro dispiacere per le atlete e gli atleti azzurri che si vedono superati, l’equilibrio fra varie nazioni diventa ingrediente fondamentale nella “Road to Olympics” (il Comitato Olimpico non avrebbe gran piacere nel “regalare” una medaglia d’oro sicura all’Italia, già favorita dall’esistenza di uno sport di nicchia come la scherma).

 

I campioni vanno all’aperitivo (abbondante per qualcuno) di fine torneo . Io rimango a mettere a posto le mie cose mentre il tramonto (ad agosto arriva prima e annuncia che buona parte dell’estate se n’è andata) avvolge gli ambienti del Mondiale che smobilitano caricando i furgoni di tutti gli allestimenti. L’immagine mi sembra molto malinconica. Ma basta spostarsi nel vicino ristorante “Il Moro” per ritrovare molti dei protagonisti divisi in tavolate piene di allegria. La Road to Olympics è giunta ai brindisi.

 

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