L’aria antica dell’Anfiteatro Claudio
L’Anfiteatro Claudio di Verona (noto fino a ieri come “Arena”) ha celebrato uno spettacolo destinato a rimanere nella storia, quantomeno in quella della canzone e delle arti leggere.
Trasmesso in diretta TV ha raggiunto il 23% di share. Non me ne intendo, ma mi risulta sia un valore molto alto per una trasmissione musicale monografica sulle opere di un solo artista. Ha raccolto recensioni entusiastiche anche dai critici più severi. E poi – nei volti delle 50mila persone che abbandonavano l’ “aria antica” dell’Arena a fine spettacolo per defluire nell’incantevole Piazza Bra – era facilmente leggibile un senso di meraviglia e il parlare fitto, in quel salotto cittadino, di quanto si era visto e sentito, per fare in modo che l’incanto non svanisse troppo presto.
L’unicità dello spettacolo sta nell’utilizzo integrale dell’anfiteatro. Non si era mai riusciti, in tempi moderni, a realizzare quest’impresa architettonica e organizzativa che resta la “canzone” più bella di tutto il concerto. Una sensazione gladiatoria, selvaggia, invadente di un anello di popolo che sembra venire da lontano, ruggire la sua bellezza insopportabile per ogni performer, per ogni leone.
Per QUASI ogni leone. Ma “al centro” di cotanta bellezza c’è l’uomo che questa bellezza l’ha innanzitutto sognata. Il sogno ardito, sfrontato e superbo di chi aveva la convinzione di poterlo tenere in piedi sulle fondamenta di 50 anni di penetrazione violenta della propria arte nella vita delle persone di questo Paese, con il mastice del suo talento di performer e con un allestimento scenografico (complici i geniali Peparini e Forzano) privo di confronti nella storia del pop italiano. Claudio stesso ha definito lo spettacolo “wagneriano”, a dimostrazione che i confronti con i contemporanei gli stanno stretti e che la sfida la si gioca con i grandi di tutti i tempi.
Lo spettacolo era dichiaratamente antologico, con i brani eseguiti nell’ordine in cui vennero alla luce. Ma c’è stata una caratterizzazione che ai più affezionati non può essere sfuggita: la scaletta è smaccatamente occupata dalle hit del secolo scorso, quelle a cui Claudio deve in massima parte la potenza simbolica attuale del suo personaggio. Le conoscono tutti, le cantano tutti, anche quelli che, al tempo, le avversarono fieramente come fossero veleno per quella ricerca del “messaggio” che doveva supportare le caotiche velleità rivoluzionarie che serpeggiavano fra la gioventù più impegnata. E che magari, pur canticchiandole, le avversano ancora adesso che i tempi hanno trasformato quel sogno di trasformazione e consentono di affrontare più serenamente la magia di scrittura di quel ragazzino romano, antipaticamente a capo dei “disimpegnati” di quel tempo, di quelli che parlavano solo di ragazze.
L’evoluzione di quella scrittura, già geniale ai tempi dei cuoricini rossi, è stata imperiale e l’Artista Totale che oggi Claudio può vantarsi di essere l’ha messa al servizio di tematiche più profonde, di crocevia sociali e umani decisivi della nostra storia, del nostro costume, del nostro vivere le relazioni con gli altri e anche con se stessi. Tutto questo, nell’Arena di cui è imperatore, Claudio lo risparmia, perché è più difficile da capire, più difficile da cantare. Lo share televisivo se ne avvantaggia e tutti possono cantare tutto, con effetti tonanti e totalizzanti che sono la vera coreografia, altro che acrobati e ballerine (per quanto di una bravura individuale e collettiva che regala meraviglia e rende il concerto… “sconcertante”).
Accetto rassegnato. Speravo in qualche medley sbrigativo, invece niente, tutto fino all’ultima nota, con le coriste, le tonalità abbassate e rallentate e i polmoni del pubblico ad aiutare e a ricordarci che, fra i tanti prodigi, c’è anche quello di un 67enne fisicamente oltre una ragionevole soglia prestazionale. Non sono venuto per la scaletta, che sapevo già ad uso di audience da supermercato della musica, più che da laboratorio di prodigi. (foto Cristian Turra da Millenote di te e di noi)
Gli Anni Duemila, quelli che promuovono la dimensione intellettuale di Baglioni, li raggiungiamo che è quasi mezzanotte, è quasi ora di andare, anche se chiunque si farebbe accarezzare da quella magia fino al mattino.
Dopo tre ore e un quarto Claudio canta “Tutti Qui”, indicando con il dito ogni spigolo dell’Arena, ogni molecola che ha tenuto insieme il tutto e lo ha reso possibile, ogni quadratino riempito da una storia personale e umana, ogni sacrificio per comprare il biglietto, ogni viaggio necessario per arrivare lì, ogni costruzione di vita che ha portato al destino di essere presenti, ogni tentativo di dirgli grazie, con un applauso, con un coro, con un miliardo di eccitate ed ammirate interazioni nei social network e con le telefonate che, dall’aria antica dell’Arena, volavano in qualche altro capo d’Italia a portare un coriandolo di quella magia.
Tutti qui. Non ce lo dimenticheremo mai.
che dire? Il palco al centro è una cosa che conosciamo di tempi di “oltre una bellissima notte” (1991), passando per la mantodontica stella di “da me a te”. Nel mondo dello spettacolo l’artista o gli artisti sono molto importanti ma la suggestione è data anche dalla tecnica che si applica in una rappresentazione. Claudio è anche architetto e conosce l’utilizzazione degli spazi e dei volumi e li supervisiona con minuziosità quasi maniacale. Personalmente sono affascinato dal “contorno” dei suoi spettacoli: pensiamo solo alla disciplina necessaria a gestire cento figuranti e musicisti e ballerini che devono entrare sul palco in quel momento preciso e con quegli attrezzi quei costumi e quei trucchi precisi. Vorrei essere piccolo piccolo per vedere cosa succede dietro alle quinte di uno spettacolo baglioniano.
A Verona su “Poster” sono restato incantato dai cartoni dei closhard che diventano ali per farli volare…”lontano”. Dopo lo stupore dell’effetto artistico mi sono chiesto quanto lavoro c’è dietro ad una intuizione del genere: in quei cartoni i ballerini ci danzavano dentro a scatola e poi li chiudevano e, con dei lacci nelle mani, li facevano battere come ali sulle spalle. Fantastico! Questo solo per dirne una. Anche le luci avevano una potenza impressionante (anche se oggi con i led è molto più semplice), tutta l’Arena illuminata a giorno con luce blu…mica uno scherzo! Ho sentito parlare di due gruppi elettrogeni da un megawatt l’uno. Roba da illuminare una cittadina. E raramente ho visto “sporcature” di luce o buio dove ci volesse la luce. Insomma anche dal punto di vista tecnico c’è da restare a bocca aperta.
Bello! non c’è altra definizione
Pienamente d’accordo caro Marco. E, aggiungo: quanto personale “oscuro” (guardiani, steward, addetti al ristoro, fattorini, security, vigili, medici, facchini, autisti, magazzinieri…) per far sì che fosse tutto così perfetto… Chi ha pagato, visto che il prezzo del biglietto non era particolarmente esoso e non ho visto sponsor? Il Comune di Verona? La Rai? Boh… io resto convinto che Claudio non si sia esentato dal mettersi una mano sulla coscienza e l’altra nel fondo di quel portafoglio così ben rifornito dagli utili sanremesi, per ripuntare tutto su questo sogno di grandezza, sulla smania di essere un Grande Mago (anzi, il più grande dei maghi) che lo accompagna da sempre. PS: detto inter nos io ho preferito la maggiore sobrietà delle coreografie del tour rosso…