Max ci racconta gli Anni Novanta
Ieri ho visto a Padova il concerto di Max Pezzali. E’ un artista che mi aiuta, come nessun altro, a fotografare un periodo della mia vita e di quelle della mia generazione.
Pezzali è iper-specializzato nel tempo (tutti i suoi successi sono degli Anni Novanta; quello che ha fatto dopo è privo della magia che seppe produrre da ragazzo), nello spazio (le sue storie sono connotate con la provincia padana) e nel genere (solo storie di maschi).
Pezzali ha le phisique du role dello sfigato. Non lo so se lo sia stato veramente da ragazzo e sicuramente non lo è più stato da pop star qual è diventato. Però il suo aspetto dimesso (sembra continuamente chiedere alle grandi folle che lo seguono “ma davvero siete venuti qui per sentire me???”) e soprattutto la fauna protagonista delle sue canzoni, definiscono quella categoria di uomini che non hanno trovato le chiavi per entrare con facilità negli universi femminili. La donna delle canzoni di Pezzali è sfuggente, capricciosa, misteriosa, destinata fatalmente agli “altri”, a quelli che hanno capito come funziona il gioco della seduzione.
La cubista del “Celebrità” oppure il “mito” che si concede solo per qualche ora e solo per un suo insondabile capriccio; oppure la ragazza che attira tutte le attenzioni ma di cui si può arrivare al massimo ad essere “l’amico che non ci combina niente”; le cassiere dispensatrici di “due di picche”… Tutto congiura perché il maschio “non alfa” sia condannato a non capirci mai nulla e a poter sperare solo che le imperscrutabili alchimie che governano le scelte delle donne finiscano in qualche modo per riguardarlo e comprenderlo.
Conosco bene questa sensazione. Ci rivedo molto i miei Anni Novanta.
Collezionando difficoltà e fallimenti nel rapporto con l’altro sesso il maschio cantato da Max si riposiziona sui valori dell’amicizia, del cameratismo, le compagnie del bar, del calcetto, del “tranquillo siamo qui noi”, massimizzando i piaceri che possono toccare allo sconfitto nei giochi dell’amore, del sesso, dei sentimenti: il bar, appunto, le sigarette, le motociclette, il calcio alla tv, la pizzeria, la musica, il cinema, gli eccessi alcolici, la discoteca, le vasche in centro “a guardare le ragazze degli altri”, gli abbigliamenti alla moda, i giochi (negli esempi di Max non c’è il gioco d’azzardo, che negli Anni Novanta era di nicchia ed emergerà solo dopo). Per i soggetti più deboli, più soli, più spregiudicati e più disordinati c’era ancora l’eroina, gli ultimi fuochi di un fenomeno che si portò via una generazione che si spegneva di notte sui marciapiedi, con nient’altro che una siringa e un laccio a fianco.
Totalmente assente il sociale, il collettivo, l’impegno, il pensare agli altri. La politica? figuriamoci. E’ talmente duro sbrigare i “cazzi propri” che di pensare al resto non avanza né tempo, né energia, né voglia. Poco presenti anche lo studio e il lavoro. E questo fu il tratto distintivo di quel decennio, caratterizzato da un ben noto leader diversamente alto.
Tutto un senso di incompiutezza e fallimento: consumi che ci voglio troppi soldi per raggiungere, ragazze che ci vuole più personalità per conquistare, feste che ci vuole più fascino per poterci essere invitati, sogni che ci vuole più talento e più fortuna per realizzare. Tutto “troppo grande per noi”.
Vediamo un po’ il mio caso… bar non ne ho frequentati, sigarette mai fumate, motociclette mai possedute… calcio alla TV sì, tanto, con il rinforzo della pallavolo; pizzerie con tavolate maschili a volontà; musica sì, abbastanza, tanti concerti dal vivo, perché di suonare non sono mai diventato capace; cinema pochino e senza troppa passione; alcol senza strafare; discoteche qualcuna (vissute sempre con sofferenza e fastidio); vasche in centro a guardare le ragazze degli altri… ahimè, anche sì. Gioco d’azzardo sì, molto, ma senza patologia, credo. Abbigliamento no, mai curato. Droga sempre tenuta ad abbondante distanza. E “Regole dell’amico” a profusione.
Nella fantasia immagino che i ragazzi delle canzoni di Max abbiano chiuso la gioventù inquieta degli Anni Novanta con uno sbarco in massa in Anni Duemila fatti di un qualche lavoro, di una qualche famiglia, di figli e di fatali tensioni sentimentali, tradimenti, rotture. O in rari casi di un raggiunto equilibrio. Un compromesso sofferto con quella realtà plumbea e nebbiosa che hanno combattuto (fallendo) per tutto il decennio precedente, come attestato dal bellissimo verso “Molliamo tutto e ce ne andiamo a New York / Ma poi ti guardi in faccia e dici: “Dov’è / Che vuoi che andiamo con ‘ste facce io e te?“
Io il lavoro l’ho trovato. Per il resto non ce l’ho fatta. Qualche ragazza “degli altri”, qualche “mito” l’ho conquistato, ma mi è sfuggito quasi subito. I miei tentativi di costruire una vita di coppia non sono riusciti. Ho anche vissuto un matrimonio sfortunato (non per colpa della mia sposa) che venne ripreso da un filmino che ebbe in sottofondo una canzone di Max, quella che dice “nella buona sorte e nelle avversità, nelle gioie e nelle difficoltà, se tu ci sarai, io ci sarò”. Il proposito era buono, ma non si riuscì. Come non bastò a salvare l’ultima storia in cui avevo creduto un’altra canzone di Max, che usai per l’ultimo tentativo: “Certe volte capita che, appena prima di dormire, mi sembra di sentire il tuo ricordo che bussa e mi fa male…”. Niente. Max è nato a Pavia e non a Betlemme e i miracoli non gli competono.
C’è forse una differenza importante fra gli Anni Novanta vissuti da Max e quelli che ho vissuto io. Penso che si debba al territorio. Pezzali agisce nella Padania più interna, più anonima, più triste (“due discoteche e centosei farmacie”). La mia Romagna la percepisco diversa. Sia per la sua gente, ma anche per quel mare così vicino, così allegro, così accogliente che, dalle prime belle domeniche di aprile fino agli ultimi strascichi di ottobre, è decompressione, fuga, sabbia, bagni racchettoni, grigliate, feste, giornate con “un deca” (cit) in tasca sufficiente a far sera. Per me e per molti altri “maschi non alfa” è stata spesso una preziosa via di salvezza che i miei omologhi della Padania “interna” mi hanno sempre invidiato.
Grande Max, ieri sera ho lasciato volentieri la voce al palasport.