De Pascale sindaco senza festa

Il 31enne Michele de Pascale (ci tiene, per vezzo, a pretendere la “d” minuscola nella particella, come Paperon de Paperoni) è il nuovosindaco di Ravenna, dopo un combattuto ballottaggio con il candidato “civico” Massimiliano Alberghini, appoggiato dalla Lega e da altri partiti di destra.

De Pascale è sopravvissuto all’attacco concentrico delle altre quattro liste che invocavano un “cambiamento”, parola talmente “chiave” negli equilibri di comunicazione, che lo stesso De Pascale l’ha inserita nella maggior parte dei suoi discorsi.

Ho conosciuto personalmente De Pascale e molte persone del suo staff. Ho partecipato a qualche iniziativa della sua campagna elettorale. E ho rinforzato la convinzione iniziale che l’avrei votato. Nessuna delle critiche che gli hanno mosso mi ha convinto. Vediamole nel dettaglio.

E’ cervese. Non vorrei nemmeno dilungarmi. Mancava solo la tirata leghista che “questi sindaci da fuori vengono a togliere il posto ai bravi sindaci ravennati!”. E’ come chiedersi cosa ci fa un calciatore straniero in una squadra italiana: se è bravo siamo tutti contenti.

E’ del PD. Già, è del PD, il partito fondato nel 2006 da Walter Veltroni, raccogliendo le eredità dei partiti democratici del ‘900 per contrapporle alle derive ultraliberiste di Berlusconi e della Lega. Partito che ha vinto un paio di elezioni Nazionali, ma con la necessità di improbabili alleanze e alcune deviazioni verso i vizi tipici (e, pare, inevitabili) del potere, con molti suoi esponenti finiti in vicende giudiziarie poco chiare (ma, al contempo, con moltissimi che ne rimangono estranei, conservando un profilo morale alto e talvolta altissimo). Essere del PD non è assolutamente condizione estranea a costruzioni di staff comunali efficaci, di risoluzione di problemi cittadini, di sviluppo dell’economia, dell’etica, della cultura di un territorio. Anzi.

E’ un burattino di partito manovrato dai “soliti noti”. Qualcuno mi dicesse innanzitutto chi sono i soliti noti e perché un “solito noto” non si candida direttamente a prendere la poltrona che controlla. E poi è del tutto normale che un sindaco abbia riferimenti, collaboratori, consiglieri di fiducia, maestri, ecc. Tutti ne hanno. Tutti ne devono avere. Chi dice di essere estraneo a questo meccanismo dice una cosa priva di senso.

Quanto ai “manovratori”, nella sigla la D significa “democratico”. Vuol dire che ci si riunisce, si vota, si nomina, si contendono le cariche. Gli avversari della lista “CambieRà” venivano da un partito proprietà privata di un solo uomo, peraltro miliardario, che ha disposto unilateralmente del loro destino, togliendo il simbolo di 5 Stelle dalla competizione e obbligando Michela Guerra a inventarsi in poche settimane un nuovo percorso. I partiti devono avere dei leader, non dei proprietari.

E sarebbe anche ora di rivalutare la parola “partito”. Il partito è quel meccanismo che, alla fine della guerra e dell’orrore fascista, consentì per la prima volta a operai, contadini, lavoratori e pensionati di interessarsi alla cosa pubblica, di partecipare alle decisioni, di dare una voce al popolo. Ostentare la lontananza da qualsiasi partito (Alberghini lo ha fatto in continuazione, pur essendo una candidatura connotata dal partito leghista) vuol dire evidenziare una distanza dalla democrazia e dalla libertà. Ostentare il proprio 740 (“io un lavoro ce l’ho!”) è come dire che solo chi è ricco si può permettere di fare politica.

Siete “comunisti”!. Michele de Pascale ha 31 anni. Ne aveva 7 quando il Partito Comunista Italiano cessò di esistere. I giovani assessori Monti e Guerrieri vengono dall’Italia dei Valori di Antonio di Pietro (esperienza del tutto estranea a qualsiasi traccia di “comunismo”).  L’assessore Cameliani è di matrice cattolica, erede degli avversari storici dell’esperienza comunista italiana, così come l’ex e l’attuale vicesindaco, entrambi repubblicani. L’assessore Bakkali è figlia di esperienze multietniche e transnazionali.

E poi c’è qualcuno che ci ricorda che sì, in effetti l’esperienza amministrativa a guida comunista negli enti locali è tuttora quella oggettivamente più esaltante nella storia repubblicana italiana. Due o tre generazioni di amministratori onesti, illuminati, coraggiosi, spesso sognatori, che hanno ottenuto la fiducia del popolo e guidato le regioni più virtuose del nostro Paese. Faccio, per tutti, il nome del povero Gabrio Maraldi.

“Non siete più comunisti!” Sembra incredibile, ma proprio la simmetrica accusa di essersi allontanati da quella tradizione è stata causa di disaffezione di molti elettori.  Il PD di Renzi e di De Pascale è – per alcuni – quello che non difende più i vecchi valori, mentre per altri detrattori è quello che li difende a oltranza.

Più numerosi i primi o i secondi? L’ho chiesto personalmente a De Pascale e a Matteucci, ormai usi a questo ritornello Mi hanno dato una risposta praticamente identica che sintetizzo: “Sono numerosi nello stesso modo, ma spesso si tratta delle stesse persone, che sono capaci di accusarci di essere ‘i soliti comunisti’ e a distanza di mezzora di ‘non aver più niente della vecchia sinistra…’”

E’ un poltronificio! Un sindaco e una giunta comunale devono far nomine. E’ una parte del loro compito. E’ ovvio e normale che sia così. Ed è ovvio e normale che scelgano le persone per i vari incarichi fra quelle di cui hanno fiducia e con i quali condividono i valori. Non lo fa solo il sindaco di Ravenna. Lo fa qualsiasi amministratore pubblico in qualsiasi città del mondo. Deve farlo.

Se si vuol dire che, nelle giunte di centrosinistra a Ravenna, gli incarichi sono stati affidati secondo logiche slegate dal merito… bisogna anche specificare chi è che non meritava, chi sarebbe stato meglio mettere in quei posti, chi avrebbero messo gli “altri”… Bah… talvolta capita che ci sia qualche episodio che non convince tanto neanche me, ma mi pare che siamo nel fisiologico. In generale si tratta di galantuomini.

E’ un partito di vecchi! Nel PD di Ravenna c’è una magnifica gioventù, sia fra gli attivisti che fra i rappresentanti. Sfido anche gli avversari a negarlo. I vertici dell’alleanza del centrodestra erano tutti mediamente più anziani. Si è però verificato uno strano incrocio: gli anziani hanno votato per i giovani e i giovani hanno votato per gli anziani.

Siete degli incapaci! E’ il punto più delicato. Perché la modernità mette di fronte temi, pericoli, emergenze mai vissute con questa intensità prima d’ora. Una piccola città come Ravenna ha cominciato a far drammaticamente i conti non solo con la crisi economica (una bella botta giunse qui sin dai primi anni Novanta con lo sgretolarsi dell’impero ferruzziano, oasi di lavoro e sviluppo per la città), ma anche con epocali fenomeni migratori, con insidie geologiche e ed ecologiche, con inquietanti dilemmi energetici e con draconiani tagli dei fondi destinati alle amministrazioni locali.

Governare una città è passato da “difficile” a “difficilissimo” a “praticamente impossibile” nel giro di pochi anni. Ma, contemporaneamente, ritengo che la stessa scala di difficoltà si debba usare per giudicare chi governa. Per criticare ci vogliono conoscenze non comuni. E invece le sentenze del web corrono perfide e veloci come le dita nelle tastiere. “Non capite NIENTE (niente) di turismo, di immigrazione, di occupazione, di cultura…” di qualsiasi cosa. Non capite NIENTE. “Saprei tutto io, capirei tutto io”, dice il borioso frequentatore medio di social e webmagazine. Ma va spiegato a quest’ultimo che, finito il lavoro, dovrebbe fondare un partito, trovare gente che condivide quello che dice (avvantaggiato dal fatto che capisce tutto), presentarsi alle elezioni, fare campagna elettorale, non allearsi con gli “altri” (che non capiscono niente), rinunciare alla spiaggia o alla famiglia o agli hobby per dedicarsi (lui che capisce tutto) alla soluzione dei problemi degli altri (che non capiscono niente).  Palese che questi draghi di tastiera e geni di pubblica amministrazione ripieghino il loro malanimo e siano costretti a limitarsi all’astensione frustrata o a votare di malavoglia qualcuno che “non capisce” ma si sbatte per cercare di fare qualcosa

Non ho elementi, non conosco così a fondo i problemi per sapere se con “altri” al potere comunale le strade avrebbero avuto meno buche, i lidi più turisti, la città meno delinquenti, le aziende più lavoro, i bilanci più fondi. Non lo so, perché è difficile da sapere anche se si vive ogni giorno quel tipo di realtà. Figuriamoci se ci si forma con qualche titolo del Carlino ogni tanto. Mi fido dell’impostazione etica e politica di quelli che scelgo di votare. So che lavorano duro per stipendi bassissimi in relazione alle doti manageriali che vengono loro richieste. E spero che siano bravi. Mi piace constatare che le due giunte dirette dal sindaco Matteucci sono fatte da persone che non hanno modificato il loro tenore di vita con l’esperienza politica. Non sono diventati “ricchi”. Lo hanno riconosciuto pubblicamente anche gli avversari. Per me vale molto.

Una volta un contadino qualsiasi andava in osteria e dopo il terzo bicchiere sparava tre sentenze e se ne andava a dormire. Oggi parlano tutti, tantissimo, clikkano, commentano col ghigno e l’arroganza di eterni primi della classe. I toni sono scaduti, il turpiloquio (anche delle donne, cosa che mi dispiace particolarmente) è divenuto obbligatorio, lo scrivere sciocco, volgare e deresponsabilizzato è fonte di orgoglio, di tag, di like, di rilanci e di visibilità. Una politica sghignazzata e sbruffoneggiata. De Pascale e i suoi si sono parecchio distinti in positivo, in questo senso. Anche gli altri candidati hanno avuto un buon fair play che ha mediato umori tumultuosi e fracassoni delle loro basi elettorali.

Nei casi migliori il lessico è quello dello stadio. Problemi che richiedono analisi profonde e soluzioni complesse vengono ridotti ad un tweet. E’ la politica prèt-a-porter, quella che si può fare anche da sotto l’ombrellone, quella che non richiede studio, applicazione, pazienza, ascolto, documentazione, ma che è tutta istintiva e semplificata. Quella dove puoi scrivere tutte le cazzate che ti pare, tanto spariscono subito e comunque nessuno può farti niente, per un distorto utilizzo di quella libertà conquistata a prezzo così duro da coloro al ricordo dei quali, adesso, si ride in faccia.

Values. Valori. L’ho scritto anche in inglese perché gli americani pretendono di sapere subito (da un candidato politico, ma anche da una persona qualsiasi) quali sono i punti fondanti anche dal punto di vista culturale e morale. Nella piazzetta della sobria festa post vittoria il primo brano eseguito dall’orchestrina è stato “Bella Ciao”. Può non voler dire niente. Può anche voler dire tutto.

Due errori. Ravviso due errori nella campagna elettorale di De Pascale. Il primo è aver chiamato a Ravenna Renzi, che è il presidente del consiglio e, a mio avviso, dovrebbe avere di meglio da fare in favore di tutti gli italiani che spendersi in provincia per sostenere interessi di parte. E’ una brutta abitudine inaugurata da Berlusconi (in passato non mi sarei immaginato Moro o Andreotti andare di città in città a sostenere i candidati DC) da cui era opportuno prendere le distanze.

Il secondo è la “lista delle imprese che sostengono la candidatura”. E’ stata fuori luogo. A votare sono le persone, non le aziende. Come fa un’azienda con 100 dipendenti a impegnarsi in questo senso per i propri dipendenti? Era opportuno, al limite, fare una lista di 100 imprenditori. La sfumatura di differenza è decisiva.

 

 

 

Ma è andata male. Nonostante un centrodestra diviso e conflittuale, con un candidato quasi improvvisato; nonostante la lista civica orfana del prezioso appoggio di 5stelle… il risultato è stato molto deludente, soprattutto nel turno di ballottaggio.

Ravenna, medaglia d’oro al valor militare e Premio Europeo di civismo (1979 con consegna della leggendaria Simone Veil) per la più alta partecipazione elettorale, ha sfiduciato l’istituto stesso delle elezioni. L’astensionismo ha toccato il 50%, (più bianche e nulle) contagiando anche un elettorato colto e preparato e non solo i disinteressati alla cosa pubblica.

Su quattro elettori, quindi, due non hanno votato e quasi uno ha votato per una lista appoggiata da fascisti e leghisti. Per la prima volta conto un significativo numero di queste scelte anche fra i miei amici, anche fra le persone che frequento abitualmente. Non pensavo si sarebbe arrivati a tanto. La vittoria di De Pascale (salvata solo dal voto delle frazioni di campagna) è pertanto mutilata da questi inquietanti dati numerici.

La situazione è più grave del previsto. Lo è a livello quasi personale e psicologico negli abitanti di Ravenna (e nei cittadini italiani, in generale). Il buon De Pascale potrà amministrare benissimo, ma il livore è ormai preconcetto e giunto al non ritorno. Sarà sicuramente l’ultimo sindaco PD. In futuro i resistenti democratici di questa città dovranno trovare un vestito elettorale nuovo alla loro voglia di arginare il brutto che avanza.

M.O. (giugno 2016)

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