Comunismo: istruzioni per l’uso

Comunismo – Istruzioni per l’uso

 

COMUNISMO – BREVE MANUALE D’USO (il numero a fianco ai nomi è… il mio voto in pagella!)

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Il comunismo venne teorizzato nella prima metà dell’800 dal filosofo ed economista tedesco Karl Marx(9) e dall’inglese Frederik Engels (9).

Sommariamente si sosteneva che il potere politico ed economico – dopo un lungo periodo in cui era stato detenuto dalla nobiltà e dall’aristocrazia e dopo la stagione della Rivoluzione Francese, che lo aveva consegnato alla borghesia – fosse pronto per essere preso dai proletari e dal “popolo”.

Lo slogan che più efficacemente interpreta il concetto è: “Proletari di tutto il mondo unitevi! Non avrete da perdere altro che le vostre catene“.

L’avvento del comunismo si riteneva possibile negli Stati a maggiore industrializzazione, come la Germania, l’Inghilterra o la Francia.

Esso invece si impose in modo inaspettato nella Russia agricola ed analfabeta, con la cosiddetta “Rivoluzione d’Ottobre” del 1917, guidata da Vladimir Ilic Ulianov detto “Lenin” (7).

Nel periodo di governo di Lenin la Russia ebbe un forte rilancio economico e anche culturale (teatro, musica, circo, letteratura, scienze) e il fascino di una maggiore uguaglianza fra gli uomini colpì molti intellettuali e lavoratori occidentali.

In Europa (in Italia per opera di Antonio Gramsci 9, Francia, Spagna e Portogallo) si affermavano Partiti Comunisti fondati sul lavoro, sulla libertà, sull’uguaglianza, sul progresso economico.

In altri Paesi, come Inghilterra, Stati Uniti e Germania, non si avranno esperienze significative di partiti comunisti.

Viceversa in Russia, sotto l’impulso di Stalin (zero), e in seguito di tiranni sanguinosi e guerrafondai come Krushov 3 e Breznev 3 (ma anche Ceausescu in Romania, Husak in Cecoslovacchia, Honecker nella Germania “comunista” ecc), la Rivoluzione assumeva connotati di violenza, sopraffazione, alienazione in larghissima parte occultati agli occhi degli occidentali (e degli stessi sovietici) da un servizio di polizia politica militarizzato e dispotico.

Il ruolo militare decisivo dei comunisti sovietici nella seconda guerra mondiale (e dei comunisti italiani nella Resistenza) rinforzò il prestigio dei due partiti, che divennero riferimento (di potere in Urss, di opposizione in Italia) per vasti strati di umanità, specialmente di popoli del terzo mondo e per le più umili situazioni economiche in occidente.

Pur mantenendo la macchia della discutibile alleanza internazionale con i sovietici, soprattutto durante la leadership di Palmiro Togliatti (4), il Partito Comunista Italiano e il sindacato comunista CGIL si rendono protagonisti di tutte le più importanti battaglie sociali del Dopoguerra per il miglioramento delle condizioni di lavoro, per la parità fra uomini e donne, per la sicurezza, per una più equa ripartizione delle ricchezze, rimanendo caposaldi dei meccanismi democratici fissati dalla Costituzione, con l’opera di leader illuminati come Enrico Berlinguer 7,5 e Luciano Lama 6,5.

In molte amministrazioni locali italiane (soprattutto in Emilia Romagna, ma anche in Toscana, Marche, Umbria e in alcune grandi città) le guide comuniste sono garanzia di buon governo, efficienza e progresso e i suoi dirigenti, persone affidabili, capaci e oneste.

Proprio un desiderio di staccarsi da questo metodo di agire “all’interno” delle regole di uno stato occidentale, porta alcune frange ad agire all’esterno del Partito Comunista, assumendo la denominazione di “extraparlamentari” ed organizzando gruppi di lotta al sistema, dapprima soprattutto filosofici e movimentisti (Lotta Continua, Potere Operaio), poi più strettamente terroristici (Brigate Rosse, Prima Linea).

Nonostante il rigore con cui il Partito Comunista condannò senza esitazione queste degenerazioni dell’ideologia comunista, non è raro che l’opinione pubblica definisse “comunisti” i protagonisti delle varie azioni violente che insanguinarono il Paese soprattutto negli anni settanta, commettendo un grave errore di valutazione.

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I “comunismi” hanno avuto destini diversi.

Quello sovietico è crollato sotto l’ipocrisia e l’incapacità di rispecchiare le ambizioni e i desideri del suo popolo. Uno statista illuminato e capace come il premio Nobel Mikhail Gorbaciov (10), che provò a salvare ciò che di un’esperienza simile c’era da salvare (e qualcosa c’era), è stato travolto dagli eventi, che hanno imposto in Russia un semi-impero ricco delle più torbide nefandezze e sperequazioni del modello occidentale.

 

Quello extraparlamentare italiano ha deposto le armi, cedendo all’evidenza che la lotta armata non trovava il consenso di quel “popolo” che diceva di voler rappresentare e difendere.

 

A livello internazionale persistono a definirsi “comunisti” il governo castrista di Cuba (7) fra i più esaltanti e gloriosi percorsi di riscatto del Terzo Mondo, seppur con pesantissime macchie riconducibili soprattutto, ancora una volta, allo scomodo alleato sovietico e quello NordCoreano (0), che viceversa incarna le più squallide peculiarità del fanatismo sovietico (culto della personalità, chiusura alle relazioni internazionali, tendenza al riarmo e alla conflittualità).

Altre realtà nate sotto i migliori auspici sono state rimosse dagli Stati Uniti con interventi militari diretti o con forti investimenti “mirati” che hanno disincentivato i popoli a battersi in modo sanguinoso per la propria libertà (Cile di Salvador Allende 9, Nicaragua di Daniel Ortega 9, Vietnam di Ho Chi Mihn 9, ecc)

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Il Partito Comunista Italiano – pur non avendo scheletri nell’armadio e potendosi orgogliosamente considerare caposaldo della Costituzione e del sistema democratico fondato sul lavoro – si è visto costretto, dopo la caduta del Muro di Berlino, a togliere l’ingombrante e anacronistica parola “comunista” dal proprio nome (iniziativa di Achille Occhetto, 6, 1993) e a trasformarsi in un moderno partito socialdemocratico e laburista, venuto definitivamente a patti con il sistema capitalista e con l’alleanza militare con gli Stati Uniti, anche per poter meglio rappresentare un “popolo” ormai non più costituito da proletari, contadini e operai, ma da una base di lavoratori con elevati consumi, miglior scolarità e una decisa aspirazione soprattutto al mero benessere monetario e consumistico.

Rimangono un paio di partiti che si richiamano alla tradizione comunista (Rifondazione e Comunisti Italiani) ma il loro ridotto peso elettorale non li può innalzare a rappresentanti di un “popolo” che ormai non esiste più nelle forme in cui loro lo descrivono.

Ciononostante è prassi dei leader del centrodestra e soprattutto di Berlusconi, attaccare con l’epiteto “comunista!” qualsiasi opposizione al proprio operato (ad esempio della magistratura)

 

E il futuro? Ritengo il comunismo una condizione essenziale per la prosecuzione dell’avventura umana. Siccome la parola è sputtanata ne ho coniata un’altra più appropriata e convincente: CONDIVISISMO

Non si pensi che il condivisismo nasca nei movimenti della sinistra più o meno violenta, fra i No Global o fra i militanti di Rifondazione. Il condivisismo nasce piuttosto nei laboratori degli Usa, nelle università inglesi, nelle aziende che producono beni e servizi, nei luoghi dove la civiltà e le tecnologie arrivano al massimo livello.

Internet (con la possibilità per chiunque di fruire a costi nulli di cultura, musica, cinema, informazione) è condivisismo.

Una lezione fatta su schermo televisivo ad una tribù africana è condivisismo.

Retribuire i lavoratori con azioni dell’azienda per la quale prestano servizio (rendendoli così parzialmente proprietari della stessa e organicamente legati al suo andamento) sarebbe comunismo. Ma se lo chiamiamo condivisismo forse non se ne accorge nessuno…

M.O.

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infine propongo un testo scritto ed interpretato da Giorgio Gaber di cui sento di condividere ogni sillaba

Premetto che, a casa mia, qualcuno era comunista perché pensava che essere operaio o casalinga o pensionato o contadino non volesse dire per forza vivere solo di lavoro e figli, ma anche conquistare il diritto ad occuparsi di letteratura, musica classica, scienze, ecologia, sicurezza ed equità del lavoro, economia, redistribuzione della ricchezza, questioni internazionali, problemi di sessualità, di sentimenti, di educazione civica, di religione, ecc.

Se è vero che tutto questo oggi è alla portata della maggior parte dei lavoratori mi viene da pensare che quel tipo di ideologia non abbia del tutto perso la sua grande e nobile battaglia e che di quella vittoria traggano giovamento anche coloro che quella battaglia avevano  maggiormente avversata.

M.O.

 

 

               Qualcuno era comunista perché aveva scambiato il materialismo dialettico per il Vangelo Secondo Lenin.

Qualcuno era comunista

 

Qualcuno era comunista perché era nato in Emilia.

Qualcuno era comunista perché il nonno, lo zio, il papà, … La mamma no.

Qualcuno era comunista perché vedeva la Russia come una promessa, la Cina come una poesia, il comunismo come il paradiso terrestre.

Qualcuno era comunista perché si sentiva solo.

Qualcuno era comunista perché aveva avuto un’educazione troppo cattolica.

Qualcuno era comunista perché il cinema lo esigeva, il teatro lo esigeva, la pittura lo esigeva, la letteratura anche: lo esigevano tutti.

Qualcuno era comunista perché glielo avevano detto.

Qualcuno era comunista perché non gli avevano detto tutto.

Qualcuno era comunista perché prima (prima, prima…) era fascista.

Qualcuno era comunista perché aveva capito che la Russia andava piano, ma lontano… (!)

Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona.

Qualcuno era comunista perché Andreotti non era una brava persona…

Qualcuno era comunista perché era ricco, ma amava il popolo…

Qualcuno era comunista perché beveva il vino e si commuoveva alle feste popolari.

Qualcuno era comunista perché era così ateo che aveva bisogno di un altro Dio.

Qualcuno era comunista perché era così affascinato dagli operai che voleva essere uno di loro.

Qualcuno era comunista perché non ne poteva più di fare l’operaio.

Qualcuno era comunista perché voleva l’aumento di stipendio.

Qualcuno era comunista perché la rivoluzione?… oggi, no. Domani, forse. Ma dopodomani, sicuramente!

Qualcuno era comunista perché… “la borghesia il proletariato la lotta di classe, cazzo!”…

Qualcuno era comunista per fare rabbia a suo padre.

Qualcuno era comunista perché guardava solo RAI3.

Qualcuno era comunista per moda, qualcuno per principio, qualcuno per frustrazione.

Qualcuno era comunista perché voleva statalizzare TUTTO!

Qualcuno era comunista perché non conosceva gli impiegati statali, parastatali e affini…

Qualcuno era comunista perché era convinto di avere dietro di sè la classe operaia.

Qualcuno era comunista perché era più comunista degli altri.

Qualcuno era comunista perché c’era il Grande Partito Comunista.

Qualcuno era comunista malgrado ci fosse il Grande Partito Comunista.

Qualcuno era comunista perché non c’era niente di meglio.

Qualcuno era comunista perché abbiamo avuto il peggiore partito socialista d’Europa!

Qualcuno era comunista perché lo Stato, peggio che da noi, solo l’Uganda…

Qualcuno era comunista perché non ne poteva più di quarant’anni di governi democristiani incapaci e mafiosi.

Qualcuno era comunista perché Piazza Fontana, Brescia, la stazione di Bologna, l’Italicus, Ustica, eccetera, eccetera, eccetera!…

Qualcuno era comunista perché chi era contro, era comunista!

Qualcuno era comunista perché non sopportava più quella cosa sporca che ci ostiniamo a chiamare democrazia!

Qualcuno… qualcuno credeva di essere comunista, e forse era qualcos’altro.

Qualcuno era comunista perché sognava una libertà diversa da quella americana.

Qualcuno era comunista perché credeva di poter essere vivo e felice solo se lo erano anche gli altri.

Qualcuno era comunista perché aveva bisogno di una spinta verso qualcosa di nuovo, perché sentiva la necessità di una morale diversa.

Perché forse era solo una forza, un volo, un sogno. 
Era solo uno slancio, un desiderio di cambiare le cose, di cambiare la vita.

Qualcuno era comunista perché con accanto questo slancio ognuno era come più di se stesso: era come due persone in una. Da una parte la personale fatica quotidiana, e dall’altra il senso di appartenenza a una razza che voleva spiccare il volo, per cambiare veramente la vita.

No, niente rimpianti. Forse anche allora molti avevano aperto le ali senza essere capaci di volare, come dei gabbiani ipotetici.

E ora?
Anche ora ci si sente in due: da una parte l’uomo inserito, che attraversa ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana, e dall’altra il gabbiano, senza più neanche l’intenzione del volo. Perché ormai il sogno si è rattrappito.
Due miserie in un corpo solo.

– Giorgio Gaber & Sandro Luporini
Marco Ortolani – agosto 2009

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