La paura di non avere più paura

La paura di non avere più paura

C’è stato un lungo periodo della nostra storia (diciamo dal 1945 al 1994) che si è caratterizzato per un aspetto semplice e decisivo al tempo stesso: la gente aveva paura.

Il bambino aveva paura dei genitori.

Lo studente aveva paura degli insegnanti e del preside.

L’automobilista aveva paura dei vigili.

Il trasgressore aveva paura delle guardie e dei carabinieri, dei giudici e dei processi.

L’evasore aveva paura della multa.

La ragazza peccatrice aveva paura della reputazione macchiata.

L’utente di un servizio pubblico aveva paura del funzionario, che poteva negarglielo.

L’impiegato aveva paura del capufficio.

L’operaio aveva paura del padrone, che poteva trattarlo male o licenziarlo.

Il militante politico aveva paura di perdere la stima dei compagni.

Il credente aveva paura del castigo di Dio.

Questo sistema di paure ha sorretto l’Italia per cinquant’anni. Sorretto significa che l’ha formata bigotta, ipocrita e inquieta. Ma sostanzialmente attaccata ai valori espressi nella Costituzione repubblicana e nella dottrina cattolica: il lavoro, la fedeltà, la diligenza, la continenza… Persino i seguaci delle ideologie marxiste (i partiti comunista e socialista arrivarono a rappresentare oltre un terzo del Paese), nell’indeterminata attesa di una rivoluzione, offrivano braccia e cuori a questa struttura di Stato.

“Rigare dritto”, “fare i passi lunghi come la gamba”, “non avere grilli per la testa”, “essere tutti di un pezzo”… sono espressioni che odorano di Anni Sessanta. Usate oggi puzzano di vintage, come se qualcosa di irreversibile fosse successo.

Le contestazioni giovanili, studentesche ed operaie, dal Sessantotto in poi, hanno minato le consuetudini di sempre. Ma il tessuto sociale, pur rinnovato, non è parso del tutto devastato.

Quest’ultimo passaggio si compie negli Anni Novanta. Il progresso tecnologico (favorito, fra l’altro, da immissioni di manodopera straniera a basso costo) consente un forte incremento dei consumi in tutta Italia. Con la caduta del muro di Berlino le pulsioni ideologiche si ammorbidiscono e le grandi anime maggioritarie del Paese (cristiana e marxista) convergono su ideologie meno conflittuali e più basate su una fondamentale ricerca di benesseri materiali.

Sul grande “mucchio” di ricchezza prodotta arrivano le mani della criminalità mafiosa e di una politica vorace. E’ il terreno su cui si inserisce l’idea di un politico spregiudicato come Berlusconi. Il suo piano è molto semplice: il Paese è in grado di crescere talmente tanto che, pur aumentando in modo significativo il benessere materiale dei lavoratori, potrà retribuire adeguatamente anche la parte nera del Paese, quella che si muove nell’illegalità (la mafia che – delusa dai vecchi partiti – fornisce subito soldi, protezioni e voti alla nascente causa di Berlusconi), nella politica parassitaria partitica (che incrementa esponenzialmente la propria avidità), nelle zone grigie dell’evasione fiscale, della finanza “allegra”, dell’imprenditoria spregiudicata che sa creare velocemente ricchezza e lavoro, ma non ha scrupoli dell’ambiente, dello sfruttamento dei deboli, della sicurezza, della legalità, dell’etica, tutte cose per cui sembrano superate le “paure” di cui dicevamo all’inizio.

A questo punto la bomba è innescata. La finalità è solo quella di produrre, distribuire (con priorità per i prepotenti) e spendere per consumare. Sulla nuova modalità si tuffano capitalisti ambiziosi, che realizzano fortune clamorose. Ma anche chi raccoglie solo briciole sembra essere soddisfatto, perché le briciole di questa suddivisione ingiusta sono più appetitose rispetto alla possibile suddivisione equa di una torta più piccola. La memoria di decenni non lontani, fatti di pane, di pantaloni lisi, di serate in osteria, di carne solo alla domenica, è ancora vivissima, così come la paura del grigio plumbeo dei modelli dell’est europeo.

Tant’è vero che i grandi capitalisti, un tempo nemici dichiarati della classe lavoratrice, ne diventano gli idoli, soprattutto se abbondano in spocchia, cattivo gusto, volgarità.

L’espressione che caratterizza la nuova fase è tristemente e facilmente individuabile: “che cazzo te ne frega?!?”

Già. Che c. te ne frega di studiare, di lavorare, di ricercare, di pagare le tasse, di essere un bravo cittadino, di essere all’altezza degli impegni che hai preso, di avere una buona reputazione, di essere un bravo cristiano, di farti apprezzare per misura, stile, generosità, solidarietà, impegno?

Doti per le quali rimane una tenue simpatia, come quella che si deve alle arzille nonnette (fino a quando non rompono, perché allora diventano “vecchie di m”). Per il resto, quando “si fa sul serio”, sono accessori da tenere alla larga, perché rallentano, intralciano, “non servono a niente”. Che cazzo te ne frega? “Fatti i cazzi tuoi, che io mi faccio i cazzi miei” è la frase intercettata al deputato Razzi, sigla dello stadio peggiore del fenomeno.

L’esempio parte dal mondo degli affari ed è deflagrante. Le paure si estinguono. L’italiano non ha più paura di niente. Il semi-analfabeta alza la voce nei talk show della tv in faccia al grande letterato. Il bambino delle elementari minaccia il maestro con il quale il rapporto diventa un esercizio di potenza, spesso sbilanciato dalla parte dell’aggressività del bambino e della protezione della sua famiglia, contro le armi spuntate di un’autorità scolastica arcaica, impreparata e fondamentalmente “povera”, che non prepara, non insegna, non “serve”. I social network sono palestre di impunite e impunibili di esercitazioni di odio e di minacce senza nemmeno più necessità di anonimato.

L’evasore fiscale se ne frega e vota per i partiti dei condoni. Ci pensino loro ad aiutarlo. Lui non ha più tempo e voglia di pagare le tasse. Si è stufato. Tanto le rubano. Tanto le danno ai meridionali. Tanto le danno agli stranieri. Tanto non se ne accorge nessuno.

L’automobilista è pieno di diritti e con scarsa percezione dei doveri. Va alla velocità che vuole, parcheggia dove vuole. Ha la app del telefonino che gli dice dove sono gli autovelox (perché per lui non è importante andar piano per evitare gli incidenti, bensì per evitare le multe). Ha gli amici in Comune per chiedere a “quegli stronzi” che le annullino. A proposito: il turpiloquio è sdoganato. “Passami quel cazzo di sale”. “Andiamo a vedere la partita di calcio di quei coglioni”. “Andiamo a vedere la partita di quelle quattro fighe lesse”. Fa ridere. Ridono tutti. Anche le madri di famiglia, anche le pensionate, anche i bambini, anche gli intellettuali. Massì… che cazzo te ne frega?

Il credente mantiene le ritualità della religione, ma ne è distante come non mai. “Credo a modo mio” è la frase di molti. Che si traduce in “Faccio quel cazzo che mi pare. Se su questa Terra fanno tutti così, anche Dio, quando sarà il momento, mi capirà”. (facile intuire una forte crisi della Fede in queste parole).

La morale va a ramengo. Il popolo sceglie idoli corrotti, violenti, trasgressivi, volgari, stupidi. Così può tarare verso il basso i propri comportamenti. Le trasmissioni come “Il Grande Fratello” sono alibi di massa: i protagonisti sono talmente stupidi e malvissuti, che chiunque si consola delle proprie mediocrità e conquista autostima.

Le ragazze (anche quelle che non fanno le prostitute) prendono coscienza del valore del proprio corpo. In qualsiasi epoca essere di gradevole aspetto era stato un vantaggio. Ma, ora che agli uomini senza ideologie (e spesso senza idee) sono rimasti solo i portafogli e i corpi, il prezzo di mercato si impenna . Le ragazze commentano le foto delle amiche su facebook urlandosi reciprocamente “Che gnocccaaaaaaa!!!” e insultano le rivali denigrandole come “inchiavabili” perché la moneta con cui si misura il valore delle donne è ormai quella.

La bugia, la volgarità, l’insolvenza, l’inaffidabilità, non sono più occasione di clamore e di indignazione. Ma diventano compagne di viaggio abituali, anche nei rapporti familiari, di amicizia, di gruppi sportivi o di aggregazione.

Perché la modernità è frenetica. Se una volta non ho rimesso un debito, se non ho detto la verità, se non sono stato pulito… Si propone già una nuova verità, un nuovo scenario. Inutile e dannoso portar rancore o cercare verità e giustizia (ad alto livello Berlusconi e la sua cricca criminale ostentano con fierezza la distanza da questi valori). I conflitti si risolvono e si azzerano subito. Non c’è memoria e non c’è futuro, in un tempo che si nutre solo di un indeterminato presente.

E ora che il PIL non cresce più, che la struttura economica del Paese è saltata, che la politica non riesce più a trovare un fondo alla propria voracità, che il territorio è agonizzante, che il Paese si ritrova privo di sicurezze, di esempi, di consolidate ritualità, in cui sono saltati i patti fra le generazioni e persino fra genere maschile e femminile (gli infiniti casi di violenza), per non parlare di quelli fra italiani ed immigrati… ora è la resa dei conti. Gli “eroi” di quest’epoca sono vecchi e stanchi. Collezionano condanne, mandati di cattura, figuracce indegne, censure internazionali. Ridono incoscienti, perché è la sola cosa che sanno e che possono fare.

Il vestito velato che copriva il piano criminale è caduto ai loro piedi. E, nudi, si preparano all’assalto finale del popolo che hanno tradito. E che – va detto per onestà – si è fatto  tradire volentieri, dimostrando una mediocrità che chiama in causa la modestia stessa della natura umana.

Chi guiderà questo assalto finale? Non voglio pensarci. Non oso pensarci.

Marco Ortolani – novembre 2013

 

 

Commenti a La paura di non avere più paura

  1. Il 28/11/2013 10:38:23simonetta ha detto:

bravo marco!
inequivocabile analisi dei giorni nostri

 

 

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