L’archivio tessere

L’Archivio-Tessere

  • Scritto da Marco
  • 17.09.2015  19:52.57
  • MIEI TESTI
  • 1095 CLICK
  • NESSUN COMMENTO

Qualche tempo fa scrissi un articolo per il settimanale “Sette Sere” dedicato alla dismissione dell’archivio-tessere dell’Inps di Ravenna.

Un luogo apparentemente grigio e poco attraente, che, in realtà, nascondeva un fascino segreto…

 

L’ARCHIVIO SE NE VA, CON I SUOI SEGRETI…

 

Ne ha visti tanti andare in pensione. E oggi tocca proprio a lui: è l’archivio tessere della sede provinciale Inps di Ravenna.

Uno stanzone di oltre cinquanta metri quadri che, per decenni, è stato il cuore dell’istituto; simile al caveau di una banca e forse anche al deposito di Paperone o alla biblioteca de “Il Nome della Rosa”.

Un tesoro di documenti e valori bollati che hanno raccontato la storia contributiva di centinaia di migliaia di lavoratori della nostra provincia.

Un luogo dal fascino antico e dai mille segreti tramandati dai “consegnatari”, i funzionari, solitamente anziani, custodi delle chiavi e delle procedure di sicurezza per il mantenimento dei macchinari e della scrupolosa tenuta del materiale cartaceo archiviato.

Il vero “totem”, al centro della gloriosa stanza di Via Romolo Gessi, è stato l’archivio “Bertello”, brevetto di una secolare azienda piemontese, in dotazione a tutte le sedi provinciali. Al comando digitale del funzionario, un ingegnoso braccio meccanico, (con una tecnologia del tutto avveniristica per gli anni ante-automazione), si addentrava nella grotta che ospitava, in ordinati cassetti metallici, le posizioni assicurative di tutti i ravennati. Quasi magicamente, dopo un’ispezione meccanica di alcuni secondi, estraeva quella prescelta e la trasportava nella disponibilità dell’operatore.

La “posizione assicurativa” è in realtà il malloppo delle tessere con le “marchette”, altra parola che odora di ricordi polverosi e di equivoci maliziosi. Dalla fondazione (di epoca fascista) e fino al 30 giugno del 1974, i datori di lavoro hanno comprato in tabaccheria i valori bollati da applicare sulle tessere color nocciola da riconsegnare all’Inps (la consegna fisica, all’epoca, era unica condizione di validità del contributo, non surrogabile con alcun altro tipo di documento, come ben sanno tanti lavoratori rimasti “bruciati” dall’incuria, propria o del padrone, nella consegna delle marchette).

Dal primo luglio del 1974 ci fu lo stop alle marchette (continuate ad affluire alla spicciolata per molti anni, affiorando dai cassetti dei più distratti e teoricamente valide se presentate ancor’oggi), con il passaggio alla trasmissione meccanizzata detta “DM”, poi evolutasi  nella comunicazione telematica “e-mens”, in vigore dal 2005.

Nel 1988 millecinquecento giovani neo-diplomati, vincitori di concorso, parteciparono al faraonico progetto di acquisizione dei dati contenuti negli archivi Bertello di tutta Italia, portando i contenuti delle tessere su archivi computerizzati , con il risultato di avere, a portata di un click, l’intera posizione contributiva di un assicurato qualsiasi, sull’intero territorio italiano. Un risultato – impensabile solo pochi anni prima – che costituì a lungo l’orgoglio tecnologico dell’Istituto.

Anche dopo il 1974, tuttavia, il Bertello, rimase a lungo fulcro di intense ricerche, di verifiche, di controlli, di ricostruzioni, di revisioni periodiche.

Le calligrafie ricercate, le note a margine, i timbri aziendali, l’evoluzione dei nomi di battesimo (dalla prevalenza delle tradizioni alle soglie della moderna globalizzazione), raccontano e riepilogano la Romagna agricola, industriale, artigianale, turistica, impiegatizia.

I contenuti del Bertello e il “macchinone” stesso, saranno ora inviati a Roma per il macero e la demolizione. Il relativo locale sarà adibito ad ospitare il nuovo personale proveniente dalla fusione dell’Inps con altri enti previdenziali.

L’Inps si accinge a chiudere definitivamente la propria epoca legata alla carta, durata quasi cent’anni. Saranno solo i supporti elettronici a rispondere all’eterna domanda del ravennate che riflette sui propri destini pensionistici, avvicinando l’Istituto e affrontandolo con la più classica e immutabile delle richieste: “Me a v’reb savè cum c’a so masè…”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *