Referendum 2011

Quale politica dopo i Referendum ?

 

Io credo che il referendum sia un’importante strumento di democrazia.

Negli ultimi tempi, però, uno sciagurato e maldestro uso di questo strumento li ha completamente svuotati di valore e di efficacia.

Io ritengo che un referendum sia valido se rispetta due importanti caratteristiche e cioè:

  • deve riguardare un tema di larghissima popolarità, tale che sia facile per chiunque capirne il quesito e prendere un’opinione significativa in merito ad esso
  • deve essere chiaro cosa succede se vince un’opzione e cosa succede se vince l’altra.

Se non vengono rispettate queste due caratteristiche il referendum è un costosissimo modo per perdere tempo e per dilaniare il Paese con una domanda che obbliga a squarciarsi in due fronti così estremi e conflittuali, come può essere una scelta fra un SI e un NO.

 

Il primo referendum della storia repubblicana si è svolto nel 1946 e chiedeva al popolo di scegliere fra monarchia e repubblica. Vinse (per fortuna) la Repubblica, nonostante la pesante zavorra del voto monarchico nel sud. Un referendum “perfetto”, quindi, nel rispetto delle delle due caratteristiche di cui parlavo (e anche per il risultato finale, ovviamente).

 

Per quasi 30 anni non ci furono altri referendum, anche perché la costituzione prevedeva solo referendum abrogativi (SI o NO all’abolizione di una legge).

Nel 1974, per iniziativa dei cattolici e di politici influenzati dal papa (in primis Amintore Fanfani) si propose un referendum per l’abolizione della legge sul divorzio che era stata approvata nel 1970.

Se vinceva il SI, si aboliva la legge che consentiva il divorzio; se vinceva il NO si confermava quella legge. Anche qui un rispetto pieno delle due “mie” regole: semplicità e chiarezza. (per la cronaca vinse il NO, e il partito cattolico si coprì di ridicolo nell’occasione; se venisse proposto adesso, quel referendum, il SI prenderebbe forse il 3%, mentre nel 1974 l’oscurantismo papista riuscì comunque a strappare quasi il 40%, seppure insufficiente per la vittoria).

 

In seguito l’istituto referendario si annacquò. Gli italiani furono chiamati a votare sull’abolizione di una legge sull’ordine pubblico e sul finanziamento pubblico dei partiti. Quesiti piuttosto difficili. Si seguirono le indicazioni dei partiti di massa, a quell’epoca molto capaci di condizionare il consenso.

 

Poi ancora un referendum che “rispettava” le auree regole: quello sull’aborto. Gli italiani dissero due NO all’abolizione della legge sull’aborto. Sia alla proposta di metterlo fuori legge avanzata dai movimenti cattolici (ancora sconfitti, alla faccia del presunto potere della Chiesa di condizionare le masse, che evidentemente non esiste), sia a quella di liberalizzarlo oltre ogni limite previsto, proposta dal Partito Radicale.

 

Dopodiché fu il delirio. Quesiti cervellotici; partiti che non sapevano cosa dire; Corte Costituzionale che ammetteva quesiti relativi a cose su cui era difficilissimo avere un’opinione se non si era tecnici del settore; leggi che si proponeva di abolire senza sapere quali leggi le avrebbero sostituite; quesiti su cui tutti i partiti si erano pronunciati per l’abolizione (es: per la Commissione Inquirente) lasciandoci col dubbio di come mai, una grama volta che erano tutti d’accordo, non se la fossero sbrigata in Parlamento; scelte importanti affidate alla roulette di un voto popolare assolutamente incompetente e ad un’ opinione pubblica frastornatissima (a memoria non me ne ricordo, ma ce ne erano alcuni assolutamente comici, appena ho tempo li vado a recuperare).

 

Il meccanismo referendario sembrava (intenzionalmente???) affossato e così sembrava (sembrava) che per sempre il “popolo” avesse perso questa possibilità di esprimersi.

 

Arriviamo ai giorni nostri. Un comitato promotore avanza 4 quesiti referendari.

 

E’ un momento storico in cui molta parte dell’Italia sente un gran bisogno di esprimere un giudizio negativo sull’uomo che da quindici anni ricopre il ruolo di massimo potere e rappresentatività. Tale uomo dice che i referendum non sono importanti e invita il suo popolo a disertarli. Ma il “suo” popolo non è più suo. La sua corsa esaltante è finita.

 

Il mio sospetto, però, è che sia finita la sua corsa umana. E non sia finita la sua corsa politica.

Ovvero è al capolinea l’uomo, l’ottantenne leader, devastato dalla malattia fisica, dal consumo di droga, dalla decomposizione umana fatta di vizi e di pazzia.

E contro questa decomposizione il popolo ha votato. Via. Basta, finito. Vattene, caccarone!

 

Non credo, invece, che sia finita la politica che ha dato tanti trionfi elettorali al caccarone. Una politica ultraliberista, fatta di ostilità per la cosa pubblica (la scuola, la magistratura, la costituzione, ecc) e ogni altra cosa che possa limitare il naturale sviluppo dell’iniziativa individuale, del sacro diritto a fare qualsiasi cosa come si vuole, esprimendo nella totale libertà le proprie opinioni e le proprie azioni, a prescindere dal fatto che siano lecite e legali o meno. Un’ultralibertà che vent’anni fa sedusse gli italiani e che, a mio avviso, li stuzzica ancora, anche se il leader che incarnò queste idee si dimostra stanco, ingobbito e (stavolta penso proprio) non politicamente resuscitabile.

 

Rimangono i quesiti referendari. Il “merito”, come si dice. Ovvero, aldilà del valore politico (la sentenza di condanna per il caccarone) su cosa vertevano i SI o i NO che dovevamo esprimere?

 

I due quesiti sull’acqua non rientrano nelle due regole auree che indicavo all’inizio. Sono quesiti molto tecnici e difficili. Lasciano perplessi anche tecnici del settore che vi si sono avvicinati con prudenza. Figuriamoci quanto sicuri possono essere dei cittadini senza conoscenze specifiche. Su questi referendum io non sarei andato a votare per mia dichiarata incompetenza.

 

Il quesito sul legittimo impedimento, con la vittoria del SI, costringerà il presidente del consiglio e i ministri a rispondere alle chiamate in sede di giudizio senza dire che non possono perché limitati dagli impegni della loro attività. Il destinatario principale di questa legge era ed è il premier Berlusconi. Apparentemente è una buona cosa. I politici diventano cittadini soggetti alla legge come tutti. Però… però tra poco il premier e il governo potrebbero essere altri. E un accanimento giuridico sistematico (per esempio da parte di magistrati di avversa parte politica) potrebbe portare ad una paralisi dell’attività del governo, costretto a passare buona parte del proprio tempo a difendersi da ogni tipo di attacco giudiziario. Quindi avrei votato SI in chiave anti-caccarone, ma con molte perplessità.

 

L’ultimo quesito era il più chiaro e il più aderente alle due regole che ponevo all’inizio.

Avrei votato SI per contrastare il ricorso all’energia nucleare che un altro referendum (del 1986 dopo Chernobyl) aveva respinto (in modo, evidentemente, non definitivo, della serie “votate pure, tanto facciamo come ci pare”)

Si al referendum per dire no all’energia nucleare. E allora come facciamo, visto che il petrolio scarseggia e le energie alternative pulite non riescono a coprire il fabbisogno?

Semplice. Riduzione del 30% dei consumi di energia entro tre anni. Della benzina, del riscaldamento, della corrente elettrica. Ma anche degli sprechi di cibo, della salvifica acqua, della carta, della plastica, eccetera.

Così non servirà il nucleare e si potranno ridurre le guerre di aggressione per ciucciare le ultime gocce di petrolio da chi non ce lo vuole regalare.

Marco Ortolani – giugno 2011

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