Romanzo di una strage – Un film imperdibile
Romanzo di una Strage – Un film imperdibile
- Scritto daMarco
- 04.2012 22:26.48
Sono andato a vedere il film “Romanzo di una strage”, trovandolo bellissimo. Complimenti alla regia-sceneggiatura di Marco Tullio Giordana, al rigore delle ricostruzioni, all’eccezionale bravura e credibilità degli attori principali Valerio Mastrandrea (nei panni del commissario Luigi Calabresi) e Pierfrancesco Favino (l’anarchico Giuseppe Pinelli).
Il film racconta le vicende legate all’attentato di Piazza Fontana del dicembre 1969, il primo, in Italia, a far strage di civili.
Ripropongo un articolo che scrissi quasi un anno fa, dopo aver incontrato Pietro Calabresi (il figlio del commissario, attualmente direttore del quotidiano “La Stampa”) e aver acquistato (e letto) il suo libro “Spingendo la notte più in là”
Spingendo la notte più in là – Una brutta storia degli Anni Settanta
Ho terminato la lettura del libro di Mario Calabresi “Spingendo la notte più in là” – Una lettura che consiglio, perché Calabresi possiede una penna trasparente e onesta nel descrivere le tensioni che dominarono gli Anni Settanta e che costarono la vita a suo padre. Tuttavia non sono molti i miei coetanei (qausi nessuno fra i più giovani e pochi di più fra i più anziani) che abbiano coscienza di quella fase buia della storia del nostro Paese. A casa mia, invece, argomenti come questi mi sono familiari da quando ero bambino…
Luigi Calabresi era un giovane commissario di Polizia di Milano. Quella città, nel 1969, fu bersaglio del primo atto di terrorismo in Italia. Misero una bomba nell’atrio di una banca, in Piazza Fontana, a Milano. Era la prima volta, in Italia, che si colpiva nel mucchio per fare un macello di carne anonima e innocente.
Ci fu un’indignazione enorme. Le forze dell’ordine si presentarono impreparate ad un evento così nuovo e traumatico. Gli inquirenti onesti (quelli disonesti, che c’erano e ci sono, ovviamente, non ne erano preoccupati più di tanto) intuirono subito che sarebbe stato difficile dirimere la matassa dei sospetti e delle “opacità” (una parola che Calabresi utilizza spesso) che circondavano quella tragedia.
Così, più che IL colpevole, si cercò UN colpevole. Un modo per dare qualcosa in pasto ad un’opinione pubblica imbufalita e far prendere respiro alle indagini. Poche ore dopo la strage venne fermato Giuseppe Pinelli (in seguito, troppo tardi, scagionato da ogni responsabilità). Pinelli era un anarchico. Visto con la lente deformante degli idealismi era un disordinato sognatore. La cruda mercificazione della società moderna lo bollerebbe come un povero sfigato. Venne interrogato per alcuni giorni con metodi che non vennero mai accertati, coperti da omertà e omissis. Poi cadde improvvisamente dal quarto piano, dall’ufficio del commissario Luigi Calabresi, forse suicida per lo stress della tortura psicologica (e forse anche di quella fisica), forse per un malore, forse per un incidente.
Calabresi (che non si trovava nell’ufficio in quel momento) venne frettolosamente additato come omicida di Pinelli e fatto centro di una ostile campagna di opinione da parte di intellettuali di sinistra, alcuni molto noti come Camilla Cederna, Mughini, Ferrara, Dario Fo (facenti capo al gruppo “Lotta Continua”) e soprattutto da Adriano Sofri. Si finì con l’invocare per iscritto l’eliminazione fisica di Calabresi. Le minacce si trasformarono in realtà una mattina del 1972. Calabresi venne ucciso con due colpi di pistola alle spalle, che suscitarono lugubri entusiasmi nelle aree politiche che lo avevano additato come “servo” di uno Stato violento e stragista.
Mario Calabresi (che aveva due anni quando rimase orfano e ha un unico ricordo del padre della durata di pochi secondi) racconta nel libro il dolore della condizione di orfano vissuta con la madre vedova e i suoi due fratelli (uno dei quali nacque dopo la morte del padre) e il tentativo di ricostruire una pacificazione di quei laceranti contrasti. Un superamento che si apra ad una fase nuova, senza tacere delle colpe, senza dimenticare i dolori, senza togliere rigore alla ricostruzione dei fatti.
A casa mia il commissario Calabresi non è mai stato esattamente un idolo. Ma l’omicidio non è mai stato minimamente preso in considerazione come metodo di lotta politica. E non è mai venuta meno la fiducia nell’operato delle forze dell’ordine, anche nei momenti delle “opacità” più grigie. Ho ereditato questi insegnamenti. E ora che ho ripassato quella vecchia lezione di storia sono contento di aver avuto la possibilità di farmi autografare il libro da Mario Calabresi e di poter scambiare alcune parole con lui, quasi a cercare di risarcire quella diffidenza che circondò a lungo la figura del padre. A Mario riconosco una straordinaria qualità di intellettuale che si arricchisce (dote rara) della formidabile capacità di provare, riconoscere, sottolineare e ricordare i sentimenti più nobili, anche quelli “minimali”, facendoli entrare con peso e dignità in riflessioni politiche e storiche che normalmente li escludono.
Nota a margine: Ricordo che il paraculetto Fabio Fazio concluse in modo sconcertante la prima puntata della trasmissione “Anima Mia”. Disse che la serata era stata divertente e che per questo anche Adriano Sofri (mandante riconosciuto, per quanto mai reo confesso, dell’omicidio Calabresi; all’epoca, pur detenuto, era quotato corsivista di “Repubblica”) si sarebbe sicuramente voluto divertire con loro.
Rimasi interdetto. Pensai che se Sofri si sarebbe voluto divertire… chissà quanto si sarebbe voluto divertire anche Luigi Calabresi… Ripesco oggi quella riflessione su un fatto che all’epoca, a mia memoria, non turbò pubblicamente nessuno.
Oggi Mario Calabresi dirige il quotidiano “La Stampa”. In questo filmato si può vedere una lunga intervista televisiva.http://www.youtube.com/watch?v=EmQMivvrhYM&feature=channel
Wikipedia offre una pagina onesta e dettagliata sulla vicenda di Piazza Fontanahttp://it.wikipedia.org/wiki/Strage_di_piazza_Fontana