Una nuova condanna per politici ladri e corrotti
Una nuova condanna per politici ladri e corrotti
- Scritto da Marco
- 14.12.2014 13:02.24
I fatti più recenti (ma anche quelli meno recenti, ma anche quelli vecchi, ma anche quelli vecchissimi, ma anche tutti quelli della storia degli Uomini) ci confermano che, in Italia, governare onestamente è semplicemente impossibile.
E’ impossibile governare onestamente una nazione, ma anche una regione, ma anche un comune, ma anche una scuola, un ufficio pubblico, una società sportiva, una bocciofila, un associazione di volontariato, un qualsiasi gruppo umano. Persino una famiglia.
E’ connesso, nella natura dell’Uomo (quello italiano molto più di altri), che chi raggiunge un posto di responsabilità lo utilizzi a favore di se stesso, di parenti, amici, amanti o gruppi che hanno propiziato il raggiungimento o la conservazione di quel posto di responsabilità. Numerosi scandali, processi, condanne del passato non sono serviti praticamente a niente, se non a cambiare le modalità
Se prendiamo le carriere, atto per atto, di ogni presidente del consiglio, di ogni sindaco, di ogni capitano di industria, di ogni grande manager pubblico e privato, di ogni presidente di federazione sportiva, e le mettiamo ai raggi X troveremo uno o (più spesso) più momenti di difettosità, di illegalità, di disonestà, di illecito, di ineleganza, di mancanza di rispetto, di maleducazione. Come se per arrivare a responsabilità superiori ci volessero doti di sbrigativo decisionismo non sempre limpide. Come se, a far le cose per bene, democraticamente, correttamente, legalmente, ci volesse il quadruplo del tempo, con un quarto dell’efficacia.
“Per fare ci vuole quello lì”. “Con lui sì che il risultato arriva”. E quel “lui” non è mai il più onesto. Ma quello che si prende l’incarico, che lo pretende, che si dichiara all’altezza di svolgerlo. In qualche modo.
Tutti i potenti fanno più o meno così. Sempre. Nessuno escluso. Nemmeno i papi. Nemmeno i premi Nobel, nemmeno le personalità più apprezzate e ammirate.
“No way”, si dice con efficacia in inglese. Non c’è scampo.
Quindi che si fa? Prima di tutto ci si mette via dalla testa l’idea di aver votato/nominato/preferito unsanto in un punto di responsabilità. Si deve sperare che quel “potente” svolgerà il suo ufficio magari non in modo integerrimo, ma almeno con quel livello di onestà che “IO” (la misura è diversa da soggetto a soggetto, spesso è scarsa) avrei avuto al suo posto.
Per cui se il sindaco di Roma viene sorpreso a usare o parcheggiare impropriamente l’auto di cui dispone (è successo al buon Marino nei giorni scorsi, tra l’altro pare che non sia nemmeno vero), lo si “sgrida” pubblicamente e la cosa deve finire lì, senza ridicole conseguenze penali, che rischiano di fare piena luce su come un sindaco parcheggia la macchina, e lasciare in ombra l’essenza di come amministra una città con tre milioni di abitanti, due papi, cento ambasciate, eccetera.
Lo so bene che se “un comune cittadino” fa così prende la multa e se non la paga eccetera eccetera… Però lui è il sindaco, ha responsabilità enormi, non dovrebbe farlo ma lo fa. Si lascia perdere. Il cittadino “mediamente onesto” farebbe qualche volta così anche lui se per un miracolo diventasse sindaco. Ovviamente va preferita la tendenza a farlo il meno possibile e solo per motivate necessità (si chiamano “amministratori onesti”) invece che per puro tornaconto o comodità personale (si chiamano “amministratori che se ne approfittano”).
Bene. Passiamo alla “fase due”: cosa si fa quando si becca un “potente” nell’abuso delle sue funzioni?
Primo: si valuta la trasgressione “nel contesto” della sua attività. Si verifica se è una prassi o un’eccezione. Si verifica se c’erano altri modi corretti di svolgere la stessa funzione. Si verifica se il comportamento illecito è una novità istituita dal soggetto o se è una prassi (“si è sempre fatto così”). Si verifica la propensione del soggetto al riconoscimento della proprie responsabilità, alle spiegazioni, al pentimento. Si misura l’arricchimento e il tornaconto che il soggetto ha tratto da questo comportamento illecito.
Fatto tutto questo si utilizza la massima benevolenza per emettere la condanna. La necessità di utilizzare la benevolenza è dovuta al fatto che altrimenti, dal premier al presidente della bocciofila, andremmo tutti in galera in fila per sei col resto di due. Tutti, tutti, tutti.
E veniamo alla “condanna”. La condanna, in Italia, è quasi sempre di questi tipi:
1) Condanna detentiva (lungo e logorante processo con i più abili avvocati scatenati nella difesa + anni di galera)
2) Rimozione dall’incarico (mai per “condanna”, ma quasi sempre per induzione alle dimissioni, vedi caso Idem, presidente Leone, premier Berlusconi o altri simili).
Siccome non sono un vendicativo e un forcaiolo e voglio che in galera vada solo chi è realmente e seriamente pericoloso per il pubblico quieto vivere…
IO VOGLIO ISTITUIRE UN NUOVO STRUMENTO DI “PENA” per reati pecuniari, illeciti amministrativi e altri reati in cui il carcere non avrebbe il suo utilizzo migliore (costa denaro, non rieduca, si accanisce su un uomo non socialmente pericoloso, ed è inutilmente imbruttente).
La nuova pena che vorrei introdurre è questa: LA CONDANNA A DIVENTARE POVERI !!!!
Se viene scoperto un illecito di un “potente” (grave, gravissimo, squallido, volgarmente egoistico e malavitoso, tipo appropriazione di denaro pubblico, appalti truccati, rimborsi gonfiati, falso in bilancio, nepotismo e ogni altra ruberia classica degli ambienti di potere) la condanna deve essere misurata in denaro (e non in anni di galera, che, tanto, troverebbe il modo di non fare)
Cosa mi interessa che lo squallido vada in galera? Nulla.
Deve però diventare povero! Deve vivere in un appartamento di un certo numero di metri quadrati, deve essere proprietario di una automobile inferiore ad una certa cilindrata; deve avere bollette inferiori ad un certo quantitativo di acqua, luce, gas, telefono; deve avere un reddito annuo pari o inferiore a quello di un operaio. Non può fare vacanze, non può possedere oggetti costosi (barche, gioielli, e ogni altro bene non congruo con il nuovo tenore di vita a cui è stato condannato).
TUTTO QUELLO DI PROPRIETA’ DEL CONDANNATO CHE NON RIENTRA IN QUESTO REGIME DI VITA VIENE SEQUESTRATO DALLO STATO E REDISTRIBUITO IN VIA PRIORITARIA ALLE PERSONE DANNEGGIATE DAL CONDANNATO E QUELLO CHE ANCORA AVANZA A FINALITA’ DI BENEFICIENZA E SOLIDARIETA’.
Si ottiene il risultato che il condannato è moderatamente contento (evita la galera), la società risparmia gli ingenti costi della sua detenzione e acquisisce risorse per opere di pubblica utilità.
Ho poi una seconda proposta per un livello più basso di reati: L’AUMENTO DELL’ALIQUOTA IRPEF.
Un provvedimento di semplicissima applicazione: al trasgressore viene lasciato il suo lavoro, il suo incarico e tutte le sue proprietà, ma le tasse vengono aumentate di una percentuale decisa dal giudice alla fine del processo.
E la vicenda può valere anche nel discusso caso di INCIDENTE STRADALE.
Molte volte prevalgono atteggiamenti forcaioli e vendicativi delle famiglie delle vittime o delle associazioni a tutela delle vittime della strada. Trovo questo comportamento non etico. La carcerazione di un pirata della strada non riporterà in vita o non guarirà la persona che è perita o rimasta ferita in un incidente. A chi giova il carcere di uno che guida male la macchina? Al limite gli si renderà impossibile riprendere la patente per un certo numero di anni, o anche a vita. Ma in casi particolarmente gravi ecco che potrebbe scattare il magico aumento dell’aliquota Irpef (sempre in una misura e per un numero di anni deciso dal giudice) con proventi direttamente girati alla famiglia che ha subito il danno. Un modo per attenuare almeno la disperazione materiale (quella del sentimento, naturalmente, non si può alleviare) e un modo concreto per permettere al trasgressore di espiare una pena che, molte volte, segna in negativo anche la sua esistenza.