Prima del Calcio di Rigore
Prima del Calcio di Rigore
- Scritto da Marco
- 05.10.2006 09:55.32
A questo formidabile pezzo in prosa di Claudione è legato un aneddoto. Durante l’estate di alcuni anni fa, nel 2002, mi chiesero di intervenire ad una strana iniziativa che era stata programmata in una zona molto interna alla pineta di Ravenna. Era stato allestito un piccolo palco e, nella notte, alla luce delle stelle e di poche candele, ciascuno dei convenuti era chiamato a leggere un testo di propria scelta e di qualsiasi provenienza.
Era tempo di mondiali di calcio e io decisi di “presentarmi” con questo testo, ma non ne volli annunciare l’autore, per evitare i possibili soliti sciocchi pregiudizi nei confronti di Baglioni (da troppi identificato ancora come “quello della maglietta fina”).
La lettura ebbe successo e questo mi incoraggiò a riproporla in altre occasioni, fra cui, la più prestigiosa, al Teatro Astoria, giusto alla vigilia dei Mondiali di Germania e capace, evidentemente, di portare fortuna. (ho anche il dvd di questa mia “esibizione”…).
Il parlato è stato scritto nel 1998 con la collaborazione di Giuseppe Cesaro. Narra con spettacolare e sorprendente delicatezza delle grandi emozioni dei mondiali di calcio e di come tante generazioni siano cresciute con questo mito. Il video “Da Me a Te” che accompagnò questa operazione è poi capace di trasmettere una commovente energia. http://it.youtube.com/watch?v=C1ZHvX9f3kM
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Di seguito riporto il testo, da me leggermente riadattato essendomi preso la licenza di rettificare alcune “incongruenze calcistiche” presenti nell’originale…
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PRIMA DEL CALCIO DI RIGORE
All’inizio era solo un suono
suono lontano
suono di naso e metallo
fragore di treno sugli scambi
telegrafo che scarica sillabe incomprensibili
nel frusciare di una manopola che insegue una frequenza
Cinema muto al contrario dove c’è solo la voce
voce di un aldilà senza forma che quella voce lascia decantare
senza che tu sappia cosa siano quelle emozioni
né che faccia abbiano i nomi che le strappano dal cuore come spine dai piedi
e bruciano la pelle in una chimica sconosciuta
che attraversa la schiena e fa stringere i pugni
Lui ti guarda ma non spiega
porta l’indice alle labbra e ti chiede di aspettare
e finalmente salta
ti passa una mano tra i capelli e ridete insieme
lui contento per qualcosa che non sai
tu a deglutire l’amaro che ti lascia capire
che nello stesso sogno è dura stare insieme
Erba e gesso
nebbia di gambe e vapori di fiato
tra braghe lunghe e scarpe pesanti
a inseguire lingue di cuoio cucite a sfera
dietro un vetro così convesso
che era come guardare il mondo da uno spioncino
un mondo dal quale separava un oceano
ma che quel cubo rendeva così vicino
che bastava allungare un dito per poterlo toccare
Erba e gesso
in un Paese che si è appena svegliato
ma non ha ancora realizzato
se quello che ha passato è davvero passato
Nero come il lutto di Roma città aperta
Bianco come il punto interrogativo
che una mano incerta traccia sul foglio senza righe
di un futuro che si sa solo cosa non dovrà mai più essere
Nello schermo nani e giganti
giganti e nani
corrersi incontro
abbracciarsi e liberare le mani
sotto milioni di facce che ondeggiano come spighe di grano
accarezzate dal soffio di un’unica emozione
anime mai viste
che siedono accanto e si tengono per mano
La vertigine confonde toglie il fiato
ha il nome di un satellite che con il suo ago cuce distanze siderali
e ci fa stare una notte intera sull’orlo di un precipizio
silenzio di un urlo a trattenere il fiato
per sperare che dopo essere caduti tre volte nella polvere
si torni ancora una volta sull’altare
poi trovarsi a cantare con la voce di un miliardo di persone
E finalmente un’estate
l’erba diventa verde e il gesso bianco e le maglie a colori
la gente fa ressa ai tavolini dei bar
con la memoria ancora illuminata dalla scia delle comete di Baires
ma i pensieri già in fuga solitaria
per capire se la Spagna sarebbe stata Messico o Corea
La terza è la più forte
porta il nome di Pablito e avrà per sempre la faccia di Marco al Bernabeu
una corsa pazza e un grido che hanno fatto il giro del mondo
e ancora vibrano dentro nei mille “come eravamo”
ai quali ancora oggi ci teniamo aggrappati
E ancora una volta giornali a mezzanotte
e partite nelle fontane e tutte le auto che diventano decappottabili
e a migliaia
amici sconosciuti
dietro un pallone sparato in cielo
per tornare a casa e buttare la testa sotto l’acqua ghiacciata della vita
un po’ perché il risveglio non uccida
ma soprattutto perché la prossima
possa essere ancora una prima volta
e ci siano facce e nomi da strappare dal cuore
come spine dai piedi
In America è Roberto che spara troppo alto alla lotteria dei rigori
sembra ieri ma ne è passato del tempo
a pensarlo così in ginocchio sul dischetto
sotto lo sguardo da marmo greco dei compagni
sequestrati a centro campo
capisci che la vita scorre in gran parte prima del calcio di rigore
e che la distanza che ti separa dalle cose è quella
C’è sempre uno che fischia
e un altro ti fissa con occhi di lama
e la cosa più difficile è capire che il senso non sta
nel buttarla dentro o fuori
ma nel prendere la rincorsa
e tirare
Fammi tornare sull’asfalto amaro
sotto un sole che non dà ombre
cartelle e cappotti a far da palo
e polvere e vento e sale
fino a quando fa scuro e non ci si vede più
e l’aria brucia in gola e fa tossire
ho ancora voglia di sentire una voce che chiama
e di capire che è ora di rientrare
- Il 16/12/2007 12:42:23 Alberto ha detto:
Ciao Marco.Felice di lasciare due righe e ringraziarti per questo rispolvero di un testo che anche a me a fatto da sempre accaponare la pelle.
Concludo con una curiosità che mi rode le interiora: ma quali sono queste rettifiche di incongruenze che hai trovato nell’orginale?
A presto
Alberto
- Il 12/10/2006 12:35:17 Scully ha detto:
… per la quarta invece i francesi “rosicano” ancora…