L’amore secondo Claudio
L’amore secondo Claudio
- Scritto da Marco
- 13.02.2007 14:24.43
14 febbraio, San Valentino, 2008.
Passerotti? baci rubati per le scale? piccoli grandi amori? Sì, anche questo è l’amore cantato da Claudio. Forse è soprattutto questo per i tanti che lo identificano con il formidabile, ma zuccheroso cantore dei nostri anni verdi.
Ma c’è un lungo percorso successivo, meno conosciuto, meno acclamato, meno scavato nella memoria collettiva, dove non prevale il sentimento totalizzante, capriccioso, dolente, violento che è proprio delle prime stagioni della vita.
L’Amore del Claudio maturo diventa “il miracolo che rende l’uomo capace di miracoli”. Una ricetta cosmica ed universale che non vale più solo per un ragazzo ed una ragazza che si guardano negli occhi e riempiono il cielo di parole, ma per tutto un mondo che guarda con tutto il cuore dentro se stesso e in fondo agli altri.
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I brani che illustrano questo concetto sono tantissimi. Ho scelto “Amori in Corso”, uno dei meno noti, che sembra descrivere perfettamente l’evoluzione di questo eccezionale artista. Si inizia “pianoforte e voce”, con tematiche “passerottiane”, poi arrivano archi e orchestrazioni, per un finale travolgente con un acuto lunghissimo e straziante. Un brano magico ad ingannare la sorte, per cantare più a lungo e più forte…
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Se volete ascoltarne un pezzo registrato con discreta qualità, tratto dallo scatolone magico di youtube potete fare click qui http://www.youtube.com/watch?v=0mrZa_Ws26M
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A seguire un pezzo in prosa scritto da Claudio per una rubrica su una rivista. Il titolo, come molti riconosceranno, è tratto dal ritornello della sua celeberrima “Amore Bello”. Non concordo su tutte le tesi esposte, ma per me è grande letteratura.
Buon San Valentino.
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AMORI IN CORSO (1985)
Amori a cavalcioni sui muretti si sfiniscono di baci con un’ansia dolce e il cuore rotto,
Amori incatenati sulle moto vanno scoppiettando incontro al mare con il costume sotto,
Amori delle ultime file che all’uscita dei cinema ancora hanno i volti accesi,
Amori dei gelati di aprile benedetti dal sole come panni stesi
Amori sbullonati in riva al bar sulle lambrette che aspettano un’estate nuova e azzurra e un’altra storia
Amori rifugiati in fondo a un tram di gente che ritorna occhi impigliati s’imparano a memoria,
Amori di domenica al centro, angeli e santi che piombano giù da chiese di carbone amori che l’inverno ha rinchiuso dentro per terra si rigirano in una canzone,
Amori lunghi di tramontana si accompagnano e bevono eccitati le scale in un sorso amori dentro sciarpe di lana tuffati nelle strade degli amori in corso
Amori di mare quando la pelle s’increspa e ha paura sono una cosa sola con le stelle e il velluto di una notte scura
Amori
che sono nati quando è nato il vento
che spoglia il cielo degli ultimi colori
ed un intero giorno che tramonta e se ne va più lento
Amori
eterni come l’acqua alle fontane
e i giorni sono un po’ più lunghi e si esce fuori
a respirare gli orizzonti e le montagne più lontane
Amori sotto vuoto dentro le cabine e un sole che va giù insieme al gettone parlano con le mani
Amori corsi a ripararsi al buio dei portoni si scrollano la pioggia dai capelli come i cani
Amori di vernice sui muri quando la campana fa volare i ragazzi di scuola
Amori a un ballo come canguri cuori mischiati su una pista di stagnola
Amori sfumati nel vento in auto gonfie di musica e di sere accelerate
Amori matti che si corrono dietro e si sdraiano ad asciugare le anime bagnate
Amori di neve
quando l’aria impazzisce di bianco
e tra le braccia quel senso d’amore
che ci consuma e ci fa il cuore stanco
Amori
quanti chilometri di amori al mondo
un po’ smarriti in questo traffico di cuori
così diversi così uguali di una vita o di un secondo
Amori
che sono vivi in questo stesso istante
che mi confonde in altri giorni e in altri odori
adesso che non ti conosco adesso che tu sei distante
Amori
mille miliardi nell’universo mille miliardi di stelle e di dolori
adesso che ancor prima di trovarti forse ti ho già perso
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“Amore… ma non lo so dire” di CLAUDIO BAGLIONI
“Ma non lo so dire…”. Già. Era così allora. E mi accorgo che, malgrado questi lunghi anni di note e parole, è così anche oggi. Ma non credo sia un limite dell’artista. Credo che il limite sia nell’uomo. In ogni uomo. Non contano né l’abilità di cucire insieme testi e musiche che sappiano scendere più o meno in profondità -arte o mestiere che sia- né la platea -sconfinata, modesta o di un unico interlocutore- che abbiamo di fronte. Conta la categoria con cui ci si confronta, nella solitudine, nella coppia, in famiglia, con gli amici, nella folla. Perché il valore in campo è così alto, che racchiuderlo nella camicia di forza delle parole è quasi impossibile. L’arte – e, quindi, anche la musica – aiuta, ma non risolve. Si mette tra noi ed il senso ultimo delle cose e concorre a illuminare la strada, ma sta a noi assumere la fatica e i rischi del viaggio. E’ il percorso dall’anima (dove Amore prende forma e noi acquisiamo coscienza di lui), alla mente (dove il pensiero ne elabora l’essenza), alla parola (dove la definizione prende voce) è un percorso, inevitabilmente, imperfetto. Ad ogni passaggio, infatti, ci allontaniamo dal “cuore” del problema e perdiamo qualcosa nella capacità di coglierne valore, senso e missione. La parola è tutto quello che abbiamo (probabilmente l’invenzione più grande dell’uomo), ma le “grandi” questioni -la vita, la morte, il dolore, l’amore appunto- rivelano tutti i limiti di questa straordinaria invenzione. Forse è per questo che ci spaventa parlare d’amore. C’è disagio, paura, inadeguatezza, pudore. Probabilmente è la parola più usata. Sicuramente la più abusata. Poche altre, infatti, patiscono così tanto l’erosione dell’inflazione. Dire “ti amo” quando non è così è un delitto. Un delitto inferiore solo a quello che commettiamo quando -pur sentendo di amare- non lo diciamo. Come ogni parola, anche l’amore può essere tutto o nulla. Non dipende da lui. Dipende da noi. Dalla nostra capacità (o incapacità) di mantenere ciò che quella parola promette. In questo senso, l’uomo (l’umanità, nel suo grande viaggio collettivo, ma anche ciascuno di noi, nel corso del proprio piccolo viaggio personale) procede per tentativi. Per approssimazioni successive. Si avvicina. A volte gli sembra di essere a un passo e, invece, si accorge che manca ancora qualcosa. Manca sempre qualcosa. La distanza si riduce ogni volta un po’, ma non si annulla mai del tutto. Probabilmente perché mentre, dentro di sé, l’uomo ha coscienza dell’infinito, tutto, intorno a lui, è finito. Un conflitto che non abbiamo modo di sanare. Ha, è vero, il grande merito di farci tendere a
quell’infinito, ma è anche responsabile della sofferenza che ci deriva dal non riuscire mai a vedere pienamente soddisfatta questa sete. Così, anche nell’amore. Forse per questo lo cerchiamo sempre senza fine e senza macchia, nella coppia, tra genitori-figli, nell’amicizia (secondo alcuni la forma d’amore più alta), nell’amore per gli altri e per la vita. E, quando finisce o rivela certe impurità, ce la prendiamo con lui. Errore di prospettiva: confondiamo cause ed effetti. Se non siamo noi il suo strumento, ma pretendiamo che lui diventi il nostro, non possiamo, poi, scaricare su di lui la responsabilità per errori che sono nostri, non suoi. Non è l’amore che delude l’uomo, ma l’uomo che delude lui. Anche perché, mentre lui è sempre all’altezza del suo mandato, la stessa cosa, purtroppo, non si può dire di noi. Non sappiamo da dove arrivi (né, a dire il vero, ce lo chiediamo mai), ma, quando si perde, ci affanniamo a domandarci dove finisca e, soprattutto, perché. Un perché introvabile, ancora di più di quello del suo apparire. E il vuoto che lascia è sempre più grande di quello che aveva colmato, arrivando. E rimaniamo così, come se non ci restasse altro che accettare l’incomprensibile inevitabilità del suo dissolversi. Mistero, dunque. Mistero trovarlo, mistero viverlo, mistero perderlo. Per questo… “non lo so dire”. Ma è certamente l’energia più grande che l’uomo sia in grado di produrre. L’unica che riesca a fargli fare cose delle quali non si immaginerebbe mai capace. Il miracolo che rende l’uomo capace di miracoli.
E, forse, se trovassimo il coraggio di non confinarlo all’atto che origina la vita, se non lo tradissimo, facendone merce di scambio sui mille tavoli della vita, se riuscissimo a guardarlo negli occhi e ad ascoltare quello che ha da dire, e ci decidessimo ad adottarlo come bussola e sestante per la nostra navigazione, ci accorgeremmo che la risposta a molte delle piccole-grandi domande che ci piovono addosso e dalle quali, spesso, ci sentiamo perseguitati, è più vicina di quanto immaginiamo.
“Love is the answer”. E, spesso, la differenza tra pensarsi, dirsi o essere davvero degni dell’appellativo “uomo” è tutta lì.