Maltempo: la deludente risposta della modernità

  • Scritto da Marco
  • 12.02.2012  09:51.21

 

L’Italia è interessata da un’ondata di maltempo, con neve che è caduta in grande quantità anche in territori che non avevano l’esperienza e la preparazione per gestire questi fenomeni.

La risposta a tutto ciò – sia delle istituzioni, che degli organi di informazione, che popolare – è stata quasi ovunque isterica, disordinata, angosciata, irrazionale. Poche tracce di eccitazione per un evento che pure ha ispirato poeti e artisti, che esalta i bambini, che dovrebbe portare sentimenti di pace e di riflessione.

Le Previsioni del tempo. Il tam tam mediatico – che punta a dare dignità scientifica a questa semi-superstizione – naturalmente esulta: la neve è stata prevista con una certa puntualità e precisione. Evidentemente era proprio difficile valutare diversamente l’impatto di una perturbazione gigantesca che si muoveva da giorni a velocità e direzioni costanti verso la nostra Penisola.

Bravi. Anche se poi, volendo precisare, la tempesta prevista per il venerdì sera è arrivata il sabato pomeriggio… “Beh.. vabbè… ma cosa pretendi, che ti dicano il minuto preciso???” . Io no, non lo pretendo. Sono però “loro” che assillano con tabulati al minuto, con centimetri esatti di neve, con previsioni aggiornate ogni 4 ore (peraltro vuol dire che quella di 4 ore prima era sbagliata) e condizioni “costantemente monitorate” (il verbo “monitorare” piace tantissimo: dà un’immagine fighetta e tecnologica al vetusto “controllare”).

Le autorità. Il comportamento di gran moda è quello di chiudere tutto per decreto, fermando tutto quello che si può fermare. Innanzitutto le scuole, poi gli uffici pubblici (provvedimento senza precedenti preso venerdì 10 febbraio) e addirittura i luoghi di pubblico ritrovo, come i parchi, i cinema (la multisala Cinemacity sabato 11 febbraio), le palestre. Quasi ovunque il perentorio consiglio-ordine di sindaci, prefetti, questori, direttori di municipalizzate, comandanti dei vigili è sempre quello: chiudetevi in casa, non uscite per nessun motivo.

Un’emergenza… individuale. Manca il senso della collettività. Lo Stato, i Comuni, le Istituzioni, sembrano ritirarsi dalla contesa. Provano come possono a dare i servizi più strettamente collegati all’emergenza (spalare la neve, soccorrere i dispersi), ma ritirano tutte le risorse che potrebbero permettere di vivere e superare insieme il momento difficile. Ricacciano i cittadini dentro le mura di casa, opportunamente (si spera) rifornite di costoso e prezioso gasolio con cui arroventare i bruciatori dei riscaldamenti domestici.

Mi sfugge qualcosa. Quando nevica così forte il servizio pubblico deve mettersi a totale disposizione del privato. In quei giorni più che mai.

Le scuole potranno sicuramente ridurre o azzerare la loro funzione didattica, ma non devono abortire da quella di rifugio riscaldato e assistito per i bambini, con un ruolo degli insegnanti che fatalmente deve conformarsi all’emergenza.

E lo stesso vale per gli uffici pubblici. Nei giorni dell’emergenza più che in ogni altro le strutture e gli edifici pubblici devono diventare dispensatori di servizi e sostegni. Perché chiuderli?

(naturalmente si potranno gestire con buon senso e comprensione i casi di lavoratori impossibilitati a raggiungere tali luoghi: ma un dipendente pubblico, in un giorno di emergenza, deve, a maggior ragione, sentirsi a disposizione della collettività – che lo paga – anche se nel disagio).

I palazzi statali e comunali e ogni altro punto di raccolta delle persone, sono luoghi dove la comunità può trovare un conforto prezioso sia dal punto di vista della struttura (calore, tetto sicuro), ma anche dal fatto di ritrovarsi fra simili (informazioni, sostegno, scambio di esperienze, solidarietà).

Andare al cinema di quartiere, alla pizzeria, al centro sociale per anziani, alla partita di pallavolo non è un rischio, ma è molto più spesso una salvezza.

Chiudersi in casa dà un falso sentore di sicurezza. In realtà è una sicurezza costosa e antiecologica (riscaldamento a mille) e che ci allontana dall’essere uomini, visto che, quando la natura diventa così aggressiva, sembra ovvio cercare di stare insieme e non di stare da soli. Si finisce con l’intossicarsi di televisione (che “vende” spietatamente il prodotto-emergenza) o a scrivere fesserie su facebook, sperando che quella comunità che non si riesce a creare stando vicini, si riformi magicamente nell’etere di internet.

Katrina e la salvezza nel palasport. Ricordate il disastroso uragano Katrina? E’ chiaro che le proporzioni furono enormemente maggiori, ma 26.000 persone si raccolsero al Superdome di New Orleans e vi abitarono per alcuni giorni. Fu il modo per tenerli in una struttura che avrebbe retto all’urto e contemporaneamente rifocillarli, informarli e, per quanto possibile, rassicurarli, facendo nascere meccanismi di solidarietà e di sostegno utili per quando si sarebbe dovuti uscire in una città disastrata.

E’ un meccanismo che dovrebbe scattare automatico: nella difficoltà si sta insieme in un posto sicuro.

I trasporti. Ultima nota per i trasporti. L’attenzione si concentra spesso sulla spalatura delle strade. Ovviamente a beneficio di un trasporto privato che viceversa, in giorni di emergenza, dovrebbe ridursi fino quasi a zero. In giro dovrebbero esserci solo mezzi pubblici: autobus, metro, tram, taxi e treni.

Invece la schizofrenia di questa modernità porta l’effetto contrario: i treni vengono cancellati. Ma perché? Com’è possibile accettare la notizia che un treno (anzi moltissimi) venga cancellato e la notizia annunciata senza un motivo (che probabilmente non è convincente e deriva solo da incuria, pigrizia e disorganizzazione, senza che top-manager strapagati ci rimettano un centesimo dei loro astronomici compensi)?

La stazione (Ravenna 10 febbraio, ma probabilmente ogni altra coinvolta dai fenomeni di maltempo) risuonava nel silenzio, mentre numerosi treni venivano cancellati e altri viaggiavano con ritardi apocalittici. Nessuna informazione, nessun ferroviere. Solo un’esausta bigliettaia nella trincea del suo “non è di mia competenza, non so nulla”.

I rari annunci dell’altoparlante arrivavano deboli e indecifrabili, coperti dall’incessante (e viceversa chiarissima) pubblicità proiettata dai video di Trenitalia. Più fastidiosa e inopportuna che mai.

In un mondo ideale, in giornate di neve, ghiaccio, nebbia, ma anche di paura o di psicosi, il trasporto privato deve praticamente “anestetizzarsi”, mentre quello pubblico deve raddoppiare, triplicare il proprio servizio, migliorando nell’efficienza, nella fruibilità, nelle informazioni (deludentissime quelle di Trenitalia che ha sprecato la bella occasione del proprio sito internet, lasciato a marcire con notizie vaghe e non aggiornate).

Non c’è alcun motivo per cui in un giorno di neve un treno venga cancellato. E’ un danno gravissimo alla comunità (che non può usare mezzi privati in quel giorno) di cui andrebbero date risposte e motivazioni precise. Con l’indicazione precisa del sedere che deve essere preso a pedate, e dello stipendio d’oro che deve conseguentemente ridursi, a beneficio di casse pubbliche e di future emergenze da gestire con un minimo in più di professionalità, buon senso e umanità.

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