Un po’ di dignità: basta con il PIAGNISTEURO!
- Scritto da Marco
- 18.11.2007 20:26.57
Uno degli articoli che ho scritto ai quali sono più affezionato.
Credo sia riassunto tutto il mio modo di pensare.
La parola PIAGNISTEURO è di mia invenzione e ne sono molto orgoglioso
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Mi sono stufato di sentire tutti lamentarsi! La nostra società ha a disposizione consumi ed opportunità che non sono mai state così vaste. Eppure si lamentano tutti. Tutti (a qualsiasi livello, anche a quelli più alti) dicono che “gli stipendi sono bassi”. Ma “bassi” rispetto a cosa? E’ un principio pericolosissimo. Si è portati a credere di “meritare” di più, di “aver diritto” a di più. Non ci si gode la propria fortuna (tale va considerato essere nati nel 10% più ricco dell’Umanità). Non si pensa che oggi in altri luoghi (e in passato anche qui da noi) si sono avuti a disposizione mezzi ben inferiori.
Coraggio, un po’ di dignità. No al PIAGNISTEURO! Non misuriamo il concetto di “ricchezza” soltanto con il denaro!
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Questo è un pezzo che scrissi nel 2008
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L’opinione pubblica ritiene che da alcuni anni (in genere si fa riferimento all’introduzione dell’Euro, avvenuta l’1/1/2002) il potere di acquisto degli italiani sia diminuito.
Non dispongo di dati precisi e ufficiali (che viceversa vengono portate a testimonianza dai sostenitori di questa tesi), ma io la vedo diversamente.
Il mio punto di osservazione è presto detto: sono un impiegato a reddito fisso (non variato significativamente negli ultimi anni) ed abito in un ricco capoluogo di provincia del nord.
Mi limito quindi a parlare della mia realtà, ma… la tentazione di estendere questi ragionamenti anche ad altri contesti è piuttosto forte.
Partiamo dalla domanda di base: un lavoratore a reddito fisso consuma di più oggi rispetto a cinque anni fa? (o dieci, o trenta… tutti i fans del “si stava meglio quando si stava peggio” sono invitati al dibattito)
Nel normale modo di ragionare degli economisti (e di lamentarsi dei consumatori) vengono presi come riferimento i prezzi dei beni e gli stipendi. Se un paniere di beni (il pane, la pasta, i biscotti, la benzina, i ristoranti, le tasse), aumenta del (supponiamo) 10%, è necessario che il mio reddito aumenti del 10%. Se aumenta in misura inferiore (o diminuisce), ecco che come consumatore mi dovrei ritenere “più povero”.
Ma io prendo in considerazione altri parametri che misurano la ricchezza monetaria.
Per esempio sono convinto che in 5 anni, a Ravenna (ma dubito di trovarmi in una realtà così in controtendenza rispetto ad altri luoghi) sia nettamente aumentato il numero dei bar e dei locali di ristorazione veloce, a testimonianza che i lavoratori hanno disimparato a consumare la colazione e il pranzo in ambiente casalingo (a costi molto bassi) preferendo stanziare una spesa quotidiana al bar per sé e per i familiari. Nessuno viene in ufficio portandosi cibo da casa, come avveniva abbastanza diffusamente al tempo della mia assunzione (1988). Un atteggiamento che, come tutti quelli che elencherò in seguito, contrasta con un presunto “stato di crisi”.
Altro parametro può essere quello delle agenzie di viaggio (moltiplicatesi in pochi anni a Ravenna) a testimonianza di una massificazione del consumo di vacanze, con un numero crescente di lavoratori a reddito fisso che accede a soggiorni in località di sogno, fino a poco tempo fa riservate a clientela assai più benestante.
Vogliamo prendere la benzina? Bene. Il suo prezzo è cresciuto del 30% in quattro anni. Ci si sarebbe aspettati un drastico calo dell’uso dell’automobile, che invece non accenna a smettere di invadere strade, autostrade, parcheggi; di finire fra le mani dei diciottenni, di essere mezzo di trasporto privilegiato anche dai ceti più bassi. Vorrei che qualcuno mi dicesse che il numero dei chilometri pro-capite percorsi in auto è in un trend discendente… o che oggigiorno girano auto mediamente più brutte e più vecchie o con meno optionals… Ma non credo che troverò economisti o studiosi capaci di “accontentarmi”…
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Nel mio condominio (abitato da lavoratori, con appartamenti di piccola metratura) il parcheggio ha 8 posti: alle 10 del mattino l’unica auto presente è la mia. Significa che tutti gli altri abitanti sono andati al lavoro in auto, scartando l’opzione dei mezzi pubblici (la fermata di tutte le linee di autobus è sull’uscio di casa nostra) e la bici (mezzo un tempo assai tradizionale a Ravenna) o i piedi (che io adopero per andare a lavorare in centro, impiegando 9 minuti con andatura di buon passo).
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A Ravenna i mezzi pubblici sono frequentati esclusivamente da quei soggetti che per qualche motivo non possono possedere l’auto (pensionati, studenti, extracomunitari).
La strada per la spiaggia, popolata fino a pochissimo tempo fa da immense nuvole di ciclisti, è praticamente priva di biciclette. Anche i giovanissimi si muovono su moderni scooter (quando ero ragazzo io c’erano i “ciclomotori”). La pista ciclabile, creata con disdicevole ritardo un decennio fa, resta di molto sotto utilizzata
Negli ultimi 5 anni, a Ravenna, sono nati un superstore riservato a cibo e accessori peranimali e diversi altri negozi di media grandezza molto attrezzati. Ad occhio direi che le famiglie con la costosa presenza (acquisto, alimentazione, cure) di un animale domestico sono aumentate. E nemmeno questo è esattamente un segnale di crisi…)
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Non parliamo delle spese per il telefono. Pochi anni fa (il numero varia a seconda delle realtà familiari, ma rimane “piccolo”) destinare così tanti soldi alle spese telefoniche sarebbe stato considerato pura follia o comportamento da miliardari.
In 5 anni ho visto proliferare i Suv e i fuoristrada, costosissimi sia per l’acquisto, che per le spese correlate di bollo e assicurazione, che per i consumi. Fra i 150 dipendenti del mio ufficio pubblico ritengo di possedere l’automobile di minor cilindrata (una Polo di 1200 cc del 2004). La macchina a disposizione di una famiglia di dipendenti pubblici con due stipendi dieci anni fa era una Tipo, oggi è un Suv.
Le (belle) case dei miei colleghi (ma anche di molti altri lavoratori, come vedo dalle martellanti pubblicità televisive collocate in fasce orarie di vasto ascolto, quasi tutte dedicate a prodotti voluttuari) si sono riempite di elettronica e di tecnologia, di nuovi televisori, di computer, di stampanti, di videocamere, di lettori per musica ecc. La nettissima maggioranza dei lavoratori abita una casa di proprietà (un tempo fra gli operai e gli impiegati abbondavano gli affitti).
In 5 anni è stato massificato l’uso dell’aria condizionata, presente da poco tempo nelle case dei lavoratori, in tutti gli uffici, in tutte le automobili. (alla faccia degli impegni di Kyoto per la riduzione delle emissioni, che auspichiamo solo nella misura in cui se ne occupino “gli altri”)
Quasi ovunque è entrata la televisione a pagamento, che permette fruizioni illimitate di cinema, sport, cartoni animati, musica. Roba che anni fa avrebbe chiesto centinaia di euro per essere fruita in egual misura.
I ristoranti e i locali da divertimento (che pure hanno pesantemente agito sui prezzi) sono frequentatissimi da una gioventù elegante, disposta ad allungare il tempo del proprio divertimento con artifici di recente scoperta come “l’aperitivo” e la flessibilità degli orari, che consentono notti interminabili.
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Praticamente tutti gli italiani (e purtroppo l’Emilia Romagna vanta un primato in questo senso) consumano acqua minerale a costi 500-1000 volte superiori a quella quasi gratuita che esce dai rubinetti, che non è scomoda da trasportare, è più sana e più controllata.
La frequente obiezione “mi fa schifo…” appare infantile, inelegante e ingenerosa in un mondo che muore di sete; può essere aggirata ritoccando il sapore dell’acqua a costi ridicoli (per esempio con tracce di sale e/o zucchero e/o limone o altri aromi)
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Il palmare ultratecnologico di ultima generazione, messo recentemente in commercio (a 600 euro!) è andato “bruciato” nel primo giorno di vendita, così come i biglietti per il tour teatrale del mio artista preferito, il cui prezzo-record, a prima vista, era parso “scandaloso”…
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La pratica del beach tennis di cui sono appassionato si giocava 10 anni fa con racchettoni di legno, spesso di fabbricazione artigianale (in commercio a 15/20 mila lire). Oggi tutti giocano (anche a livelli bassi e bassissimi, anche i bambini) con oggetti in kevlar e carbonio prodotti in Pakistan (in vendita da 80 a 150 euro!)
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Il riscaldamento brucia forte (e più che mai) in qualsiasi ambiente. Non ci sono più luoghi freddi (e nemmeno bui), come un tempo non lontano, per definizione, erano cantine, solai o alcuni ambienti di lavoro. Non credo che nessuno ne abbia limitato il consumo in ragione della convenienza economica di tale comportamento e anche della sua opportunità in un’ottica di ecologia e conservazione dell’ambiente, opzione che sembra fuori dalla valutazione di quasi tutto il mondo, che pure affronta emergenze indifferibili.
Non parliamo poi di quanto viene destinato alla crescita e al benessere e al trastullo deibambini (cifre impensabili anche solo pochi anni fa) e alla salute (spese di farmacia, visite specializzate, controlli, ecc). Si dirà che sulla salute non si può risparmiare e che per i figli si affonta qualsiasi sacrificio; ma si può obiettare che la ricerca della salute e l’ambizione a conservarla era ovviamente la stessa anche un tempo quando vi si dedicava meno denaro, così come l’affetto e il senso di protezione per i propri figli.
Per l’assistenza agli anziani, quasi ogni famiglia di lavoratori ricorre a manodopera straniera, non ritenendo più sufficiente/opportuno occuparsene direttamente. Ad una mia sommaria osservazione sembrerebbe anche aumentato il numero delle “signore” (soprattutto straniere) che lavorano come colf nelle famiglie degli impiegati.
Veniamo ai consumi alimentari. Recentemente ha fatto scalpore l’aumento della pasta. Può anche darsi che sia vero, ma il prezzo assurdamente basso di questo bene comporta che tale aumento pesi sul bilancio familiare tanto quanto quello dei bottoni o del nastro adesivo (una porzione di pasta costa circa 10 centesimi, mi chiedo cosa mai possa succedere se essa passa a 15 o anche a 20: non è certo lì che può andare in crisi il bilancio familiare).
Non posso oppormi all’affermazione che molti prezzi sono aumentati in ragione superiore all’aumento delle retribuzioni; ma, anche qui, trovo un altro elemento per variare il “verdetto” finale che ci vuole più poveri.
Sono infatti aumentati i punti-vendita, i discount, i supermercati all’ingrosso e altre forme di acquisto a basso costo. E’ aumentata la varietà di prodotti in vendita. Insomma, comprare quella precisa marca di biscotti può essere diventato molto più costoso, ma va considerato il fatto che in questo tempo si sono affacciate sul mercato molte altre marche di uguale qualità e di prezzo basso. Sono aumentate offerte speciali e convenienti fidelizzazioni dei clienti che consentono (ad un consumatore attento e consapevole, quale un lavoratore deve essere per definizione) di realizzare poderosi risparmi.
Nell’abbigliamento lo sbarco di manufatti realizzati a basso costo in altre parti del mondo (mercati gestiti da cinesi o africani) consente l’accesso a beni di scarso glamour, ma di elevatissimo rapporto qualità prezzo, opzione che non dovrebbe sfuggire a sedicenti lavoratori “che non arrivano alla fine del mese”. Mentre (da qualche tempo, a dir la verità) si è totalmente estinta la prassi virtuosa di atteggiamenti che odorano di un passato e di una povertà da dimenticare, come “rivoltare i cappotti”, “accorciare il vestito”, “rammendare”, “risuolare” o “riciclare”, per esempio gli abiti da sposa.
Poi c’è un gigantesco filone di risparmio (sotto forma di riduzione di spese quotidiane) che è costituito dalla tecnologia. Il PC consente di portare vicino a zero le spese relative alla comunicazione (ci pensate quanto costerebbe affrancare tutte le e-mail che mandiamo?), di risparmiare tempo e denaro per effettuare prenotazioni, acquisti, per telefonare (skype e C.) e per procurarci notizie (per esempio quelle deigiornali, che non è più necessario comprare) o musica (idem) o cinema (idem). Nessuno fa mai il conto di quanto costerebbe comprare tutti i dischi che si sono scaricati dalla rete? o del costo di tutta l’informazione “regalata” da internet? E perché questo non deve finire nel “paniere” dei consumi?
Ancora con riferimento alla tecnologia va notato come certi oggetti in vendita a prezzi assolutamente alla portata di un lavoratore, accorpano le funzioni di telefono, segreteria telefonica, mini-computer, orologio, macchina fotografica, videocamera, videogioco, lettore musicale, navigatore satellitare, agenda, rubrica, calcolatrice, sveglia, servizio telegramma-fax (sotto forma di sms o mms) .
Pochi anni fa comprare tutti questi oggetti singolarmente comportava una spesa elevata (alcuni di questi oggetti solo pochi anni fa erano appannaggio solo dei ricchissimi) che oggi può essere abbattuta, con notevole risparmio di somme da stanziare per comprare la pasta e le melanzane che sono aumentate…
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Recenti crisi finanziarie hanno messo a repentaglio i risparmi di molte famiglie, investiti – con follia tutta moderna e senza precedenti – in fondi azionari! Mi sento di poter dire che l’acquisto di azioni deve rimanere appannaggio di operatori finanziari e non di piccoli risparmiatori, che storicamente ricorrevano agli investimenti propri dei lavoratori (conto corrente, titoli di stato, buoni postali, ecc) e che invece di recente hanno trovato “qualche soldo da parte” da mettere in mano alla roulette delle borse.
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Molti vedono segni di crisi nel forte aumento di spese per il gioco d’azzardo (videopoker, scommesse sportive, superenalotto). Ma più che un segno di crisi io ci vedo un’avidità cieca e volgare: come può il primo premio di una lotteria essere posto (come lo è nell’ottobre 2008 in cui sto scrivendo) a 91 milioni??? Una parola sola: è abominevole. La crisi non c’entra (di milione ne basterebbe mezzo e anche meno per risolvere quella di una famiglia indebitata)
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Insomma: più che un’effettiva difficoltà a procurarsi beni e servizi, credo che i lavoratori di oggi patiscano soprattutto di un esponenziale aumento della propensione al lamento e al vittimismo; un’inquietudine dolente e poco giustificata che è impossessata anche di un soggetto tipicamente dignitoso e “positivo” come il lavoratore romagnolo, storicamente propenso a minimizzare e a tenere la testa alta dinanzi alle difficoltà della vita.
Un atteggiamento che genera invincibile infelicità, insoddisfazione e avidità, a scapito di un vivere basato maggiormente su valori non monetari.
Un atteggiamento che rende difficilissima la gestione della cosa pubblica (vedasi l’astio unanime verso la politica, il governo e qualsiasi altra forma di potere che non corrisponda a quello economico dei consumi e del denaro).
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Supponiamo che un lavoratore guadagni 1000 euro al mese e se ne lamenti.
Supponiamo che un bel giorno il suo datore di lavoro portasse il suo stipendio in un colpo a 1500 euro. Suppongo che il lavoratore in questione farebbe balli e salti di gioia e ritenesse risolti buona parte dei problemi economici che lo affliggevano.
Supponiamo ora che un lavoratore guadagni già 1500 euro e se ne lamenti.
Costui si riterrà benestante se il suo stipendio verrà portato a 2000.
E così via. A conferma che il lamento per la retribuzione “troppo bassa” è parametrato alle proprie aspettative. Tenere queste ultime a livello più basso è già una grande fonte di reddito, di risparmio e di felicità, oltreché un comportamento virtuoso che denota umiltà e saggezza. E’ assurdo che una società – che consuma come nessun altra al mondo e nessun altra nella storia ha mai consumato – non chieda altro che… di consumare di più! anzi, rivendichi come sacrosanto “diritto” questa ambizione.
L’Italia è un Paese ricchissimo, obiettivo di milioni di uomini che da ogni parte del mondo la eleggono a miraggio per la soddisfazione di tutti i propri desideri e di quelli dei propri familiari.
Insultare e sminuire il proprio livello di reddito, ritenendo arbitrariamente di “meritarne” un altro superiore, è un comportamento presuntuoso e di dubbia legittimità.
Un comportamento che non è in sintonia con i principi di chi si dichiara cattolico, né di chi si dichiara marxista, né di chi si dichiara “verde” o “ecologista”.
Un comportamento che è in sintonia soltanto con la nuova religione del consumo e del denaro, schematizzata dal motto “consumo ergo sum” ovvero “esisto solo quando consumo”.
Mi dispiace, ma pur apprezzando le cose belle e la sicurezza che può dare il denaro, non mi ritengo seguace di questa religione, ma anzi, uno dei suoi più convinti e donchichotteschi oppositori.
“Ricchezza” per me, è un concetto che non si misura in euro.
M.
Commenti a Un po’ di dignità: basta con il PIAGNISTEURO!
- Il 02/04/2009 16:48:26 rinoceronte ha detto:
Le cose si comprendono sempre dopo, il tuo articolo e’ la spiegazione del perche’ e’ scattata la nostra storia che, non potra’ mai essere una love story, ma non per questo meno interessante,
anzi…………………. - Il 02/09/2008 06:01:50 poldo ha detto:
Un uomo è, in quanto capace di distinguere tra il bene il male, tra il giusto e l’errato. La razionalità, la riflessione, sono elementi che contraddistinguono l’uomo dalla bestia (almeno per il momento, fino alla prossima smentita). Proprio queste qualità, sviluppano nell’uomo la capacità di giudizio (giusto o sbagliato che sia e … spesso è più sbagliato che giusto). C’è da dire comunque che, come c’è chi più e chi meno razionale, al pari, c’è chi è più “piagnisteuro” e chi meno. Credo che dipenda in parte anche da un corredo genetico di ottimismo o pessimismo, dalle esperienze pregresse, dal condizionameto delle mode (anche quella del piagnisteuro per tanti versi potrebbe essere intesa come una moda).
Va beh, Ortolo, non sono ancora le 6, i bimbi non mi fanno dormire…perdona queste mie elucubrazioni, che non rileggo neanche. Se ho scritto eresie, cancella tu direttamente il commento per salvaguardare quel poco di immagine che mi resta! A presto.- - Il 22/07/2008 18:02:39 antonella ha detto:
Caro Marco, purtroppo la “triste” realtà che tu descrivi è tale non solo nel “ricco capoluogo di provincia del nord”, ma anche nelle misere città, grandi o piccole, del sud. Qui accadono coe strane: poco lavoro, tanti giovani “a spasso” (è così che si dice da noi), tante lamentele, ma se ti capita di andare in centro la sera, se vuoi andare a prendere una pizza il sabato ecc….allora trovi tutto pieno, fai la fila ovunque, i suddetti giovani bivaccano fino all’alba tra pub, birreria, cornetti caldi e via così. Per non parlare dell’abbigliamento, che deve essere rigorosamente griffatissimo…E i meno giovani, anche quelli…mollali!!!
E un’altra osservazione vorrei fare: negli anni ’70 la crisi petrolifera portò l'”austerity”, ricordi? La domenica a targhe alterne, le trasmissioni in tv terminavano alle 23 massimo, per obbligare la gente ad andare a letto presto ecc.Oggi che si fa? Niente, io mi lamento, tu ti lamenti, egli si lamenta…
Un “caldo” abbraccio da Catania. Antonella - Il 16/07/2008 15:04:47 meris ha detto:
E’ un’analisi talmente chiara, logica e approfondita, che fra l’altro mi trova perfettamente d’accordo, da non dover altro che dire; grande Marco come al solito del resto. Ciao da Meris