Daniele Ricci
- Scritto da Marco
- 30.09.2006 10:54.03
Con Daniele Ricci c’è sempre stato un rapporto controverso: l’ho considerato la persona che più mi ha aiutato ed insegnato, quando avevo 17 anni e cominciavo a fare giornalismo sportivo. Lui invece è sempre stato diffidente nei miei confronti, perché sospettava che fossi ostile alla squadra (figuriamoci…).
Quando è andato via gli ho organizzato una cena di ringraziamento con tutti i giornalisti, dove mi hanno anche costretto a fare la sua imitazione… Siamo quasi riusciti a farlo commuovere.
La frase che più ricordo di lui è quella detta con il classico “braccio comunicativo” proteso in avanti: “Ho bisogno… che non mi rompi i coglioni…”
Nella foto Daniele mentre riceve un regalo ideato da me. Una “finta” prima pagina con le dediche di tutti i giornalisti ravennati. La figlia Alice mi garantisce che è ancora appeso da qualche parte di casa sua…
Questo articolo è uscito su “La Voce” del 28 febbraio 2005, dopo la finale persa dalla Tonno Callipo Vibo Valentia (allenata da Daniele Ricci) contro la Sisley di Treviso.
Daniele guida la Callipo Vibo Valentia con il classico… braccio comunicativo proteso… (foto Lega Volley)
Per gli appassionati di volley Daniele Ricci, classe 1950, non necessita di presentazioni; per gli altri ricordiamo che Ricci fu giocatore di alto livello e in seguito, nella sua città, intraprese una fortunata carriera da allenatore che lo vide fregiarsi, fra il ’91 e il ’94, di uno scudetto, una coppa Italia e tre coppe dei campioni. Terminata la lunga avventura ravennate (tredici campionati!) si ebbe l’impressione che il grande volley lo snobbasse: esperienze a Ferrara, Macerata e Forlì, poi la migrazione in Grecia (altri titoli) e il rientro in patria, con la scommessa di Vibo Valentia, città calabra, con un facoltoso e ambizioso industriale (marchio “Tonno Callipo”) pronto a dare uno sbocco di vertice al tradizionale calore del pubblico sportivo del sud.
I risultati non sono tardati a venire: lo scorso anno la promozione dopo play-off al calor bianco e, quest’anno, una salvezza raggiunta con ragguardevole anticipo e la qualificazione alla finale a 8 di coppa Italia, giocata proprio nella sua Romagna, a Forlì, davanti a tantissimi sportivi ravennati che, con atto di gratitudine e riconoscenza, hanno adottato i vibonesi di Ricci come squadra del cuore, nella speranza di veder di nuovo esultare il coach del più bel volley ravennate.
L’operazione riesce a metà: Vibo batte le quotate Piacenza e Verona e si arrende solo in finale alla solita Sisley spaziale, crogiolo di campioni, di organizzazione, di mentalità vincente.
E’ un Ricci euforico, ma non privo di veleni, quello che si presenta alla conferenza-stampa post semifinale (netto 3-0 sul Verona) che si trasforma subito in una lunga conversazione-sfogo sui massimi sistemi del volley. I toni sono pacati, ma Ricci – non potendo farlo fisicamente, come sua ruspante abitudine con giocatori e interlocutori vari – “strattona” gli astanti con sguardi che rivendicano la massima attenzione.
Quanto c’è di Daniele Ricci in questo insperato risultato? “Diciamo che penso di saper creare un gruppo, di saper fare scelte per costituirlo e guidarlo. Potrei far meglio se ci fossero più soldi, come successe ai tempi del Messaggero; ma con i soldi si fanno anche tante cazzate. Quando se ne hanno pochi, invece, si pensa bene a tutto. Io e il mio amico Brusi credo sappiamo riconoscere anche fra i meno noti i giocatori che possono fare bene. Quando ho visto all’opera Priddy e Felizardo ho capito che non potevano diventare campioni, ma essere buoni giocatori di serie A, questo sì”.
Che posto occupa questa finale di Coppa nella classifica dei successi da te ottenuti? “E’ difficile fare graduatorie di questo tipo. Sono propenso a valutare di più certi risultati ottenuti in condizioni difficili, come il quarto posto colto a Ravenna con Bovolenta e Rosalba diciassettenni. Un quarto posto che è un trionfo perché terzi non si poteva arrivare, perché… perché no, insomma. Questo di adesso è un successo di quel tipo, che mi rende più soddisfatto di certe altre grandi vittorie”.
Rosalba, grande ex ravennate, miglior giocatore delle finali… “E’ un giocatore che sbaglia una partita su 25, come fanno solo i campioni; un giocatore che può darmi molto, con un fisico delicato che devo gestire con attenzione. Un giocatore la cui fiducia si conquista poco alla volta, anche andando con lui a mangiare la pizza: se ci vado certe cose accadono, se non ci andassi… accadrebbero di meno. E io ci vado”.
La neopromossa Vibo vive una grande stagione… “Siamo stati bravi a giocare un grande girone di andata che ci ha fatto uscire dalla lotta per non retrocedere alla quale sembravamo condannati; ma non ci esaltiamo: se si ripartisse oggi sapremmo di dover ricominciare a lottare per quel risultato e a centrarlo solo facendo cose particolarmente buone come abbiamo fatto fino ad adesso”.
Anche la Coppa Italia è stata una sequenza di prodezze… “Abbiamo giocato bene, perdendo solo da una squadra con ambizioni e organico di altro livello (gli occhi incrociano quelli del coach vincitore Daniele Bagnoli come a dire: “se ci scambiamo le squadre ti faccio fare otto punti in tre set”, ndr). la Sisley non ci ha messo in condizione di dar loro fastidio. Avremmo potuto giocare meglio, non certo vincere, ma onorare maggiormente lo spettacolo. Per molti dei miei giocatori era la prima finale, davanti ad un grande pubblico e con grandi pressioni. Abbiamo avuto la presunzione di provare a vincere lo stesso… non so se si è visto (buona questa, ndr), forzando il servizio e cercando di usare la testa, anche in questa pallavolo fatta solo di forza”.
L’amarezza per questa “nuova pallavolo” (libero, rally point system, ricezione in palleggio, ecc) non manca. “Si bada solo alla forza, la tecnica è accantonata. Basta arrivare minimamente concentrati a 21 e te la giochi con chiunque. Anni fa la differenza di valori emergeva in modo più chiaro”.
E ancora peggio sulle gerarchie che esso crea. Il discorso prende le mosse dalla valutazione del suo aiuto allenatore Juri Pancenko: “E’ carismatico, è stato un grande campione e i giocatori avvertono l’importanza dei suoi interventi. Il suo ruolo è importante. Forse meritava prima palcoscenici più importanti, che invece sono spesso occupati da altri che non so quali meriti maggiori abbiano”.
Ricci, Pancenko, Rosalba, l’americano Priddy… Vibo è resa grande da ex di squadre romagnole: “Sì, e la cosa mi rende un po’ triste per la fine che ha fatto il volley nella mia regione”.
Un’ultima domanda-revival: come vedi i tuoi ex campioni del Messaggero nelle nuove vesti che indossano dopo la carriera da giocatori? “Vediamo un po’… Vullo si è ritirato al momento giusto, quando era ancora uno dei migliori palleggiatori italiani. Anche l’anno scorso gli ho visto vincere partite quasi da solo. Ora fa il telecronista, con commenti che ascolto con piacere e che denotano la sua competenza. Kiraly gioca ancora a beach volley: io avrei smesso da un pezzo. Gardini fa i direttore sportivo e credo ne abbia le capacità. Masciarelli ha fatto il dirigente e l’allenatore e poi ha comprato uno stabilimento balneare a Falconara. Ecco, credo abbia fatto bene a comprare il bagno, che frutta sempre bene. Se vorrà rivenderlo glielo compro io. Margutti fa bene il suo lavoro nell’informatica. Molti altri erano giovani (Sartoretti, Bovolenta, Rosalba, Zlatanov, Giombini, Lirutti, Bendandi, ecc) e giocano ancora, e sono spesso ancora fra i migliori”.