La Coppa va al SantaCroce dopo una finale mai iniziata

  • Scritto da Marco
  • 23.01.2011  23:15.18

Gli infortuni condizionano il grande appuntamento della Marcegaglia Cmc con il primo possibile titolo della propria storia. Rimane il merito di esserci arrivati, di esserci stati, di aver mosso le tifoserie, gli interessi, l’attenzione. Ci siamo. Siamo quelli lì piccoli laggiù in fondo. Aspettateci !  

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Una non partita, una non finale. Un “progetto di gloria” inseguito fino a dove era possibile farsi vedere, farsi riconoscere, dire a tutti “siamo ancora qui”; e poi abbandonato, quando fattori esterni hanno impedito di suggellare il “ritorno al futuro” con una tacca da albo d’oro, con una vittoria che forse (forse…) è bene “covare” ancora per un po’, per non bruciare i tempi di risalita, per non fare andare in “crisi di entusiasmo” una città, una società, un gruppo, un progetto di gloria che ancora quattro anni fa si dibatteva in anonime palestrine di B2.

Non sarebbe stato difficile (tantomeno impossibile), per la Marcegaglia Cmc dalla smagliante condizione degli ultimi tempi , avere la meglio sui Lupi di Santa Croce, formazione interessante, ma con punti deboli sparsi, a partire da una condotta di gioco sbilanciata, che le fa abbinare a grandi momenti altri dove si nasconde e rimane inespressa, cosa che l’ha tagliata fuori anzitempo dalla lotta per la promozione diretta, cui alla vigilia sembrava candidatissima. (Castellano e Salgado a muro – foto legavolley.it)

Ma sono arrivati i numi del volley a tener tranquillo quell’entusiasmo cittadino che aveva spinto quasi 500 persone sulle gradinate del Pala Olimpia (dove, con maglie Messaggero, si vinse la Supercoppa del 1993).

Corvetta si era bloccato domenica contro il Segrate. Rambelli era zompato in campo, rimanendo concentrato, facendosi coraggio con i tocchi di seconda (tre e tutti a segno, roba rara per il volley moderno) spingendo una palla precisa alle bande, dove super-Moro aveva provveduto a fare il resto. Contro il piccolo Segrate dell’arrabbiatissimo Daniele Ricci era bastato e avanzato per portare a casa il massimo risultato.  (time out Marcegaglia – foto legavolley.it)

Sarebbe bastato anche contro il più robusto SantaCroce? Rambelli (che a Verona avrebbe ritrovato la città e il suo pubblico di qualche anno fa, di un’esperienza che gli lasciò in dolce eredità anche una ragazza del luogo, oggi sua moglie e madre di Tommaso) ci credeva e ci contava. Noi eravamo curiosi di vederlo, mentre Corvetta provava senza successo a rendersi arruolabile.

Si contava anche sul pass di Kovalciuk, un intrigo internazionale che a tutt’oggi impedisce all’ucro-canadese (si dirà così? O sarà meglio “canado-ucraino”?) di darci una mano. Peraltro Oleh si era infortunato ad una caviglia. Evidentemente aveva già capito cosa serviva… per sentirsi integrati e parte del gruppo 🙁

Questo infine il report della vigilia: niente pass per Kovalciuk, provino negativo per Corvetta, febbre alta per Tabanelli, e (perla) schiena bloccata per Plesko. E Sirri, che salta e corre, ma ha ancora la mano sinistra, quella d’attacco, non ancora ok.

“Le finali non si giocano, le finali si vincono!” con queste parole Antonio Babini ha rabberciato le sue truppe e le ha spedite in campo, mentre Ravenna (squadra, tecnici, tifosi e anche giornalisti) riassaporavano le ambientazioni in cui la pallavolo diventa una cosa importante e si può esprimere ai livelli più alti, visto che alla finale di A2 è seguita quella di A1 fra Cuneo e Trento, che con Macerata e Treviso sono le dominatrici provinciali – provinciali come Ravenna – dell’Italia del volley.

Ritrovo la postazione a bordo campo, la stessa di quel giorno del 1993, con un monitor pieno di immagini in più, ma la suggestione della diretta (sia pur radiofonica) in meno.

Comincia la finale. La nostra prova generale di gloria. In campo i ragazzi ballano, ma non è il loro ballo. Mancano troppi riferimenti tecnici e gli automatismi ne risentono. Le giocate da farsi in sicurezza vengono esasperate per cercare punti e risultati immediati, consci che “tirarla per le lunghe” non possa dare risultati positivi. Non è uno spettacolo sportivo entusiasmante; gli arbitri fischiano malissimo (meno male che oggi non era quello il problema), la cuffia e il microfono della postazione che divido con Gianluca Valmorri non funzionano bene e questo forse (ma le scuse non valgono, ma allora, visto che non valgono, dico che mi ha condizionato il dover parlare anche per la tv toscana che, sulle immagini comuni realizzate per la RAI, manderà in onda il mio commento) mi fa dire un paio di bischerate di troppo, fra tutte quella che “Santa Croce ha giocato una partita perfetta…”. L’opposto toscano Tamburo vincerà non proprio a suon di prodezze il premio MVP (per il quale avevo votato Monopoli).

In campo, in quel ruolo buco di martello lasciato da Sirri, Plesko e Kovalchuk, c’è Ivan Gherardi (foto legavolley.it). Riceve bene il nostro Ivan, ma in attacco bisogna “dargliela poco”. E allora via ai palloni per Moro (meno precisi rispetto a domenica) a cercare un altro show “fominiano”, come quello che, diciotto anni fa, sempre in questo impianto, ci fece alzare la supercoppa contro la Gabeca di Montichiari. Ma non sono i palleggi di domenica, non è nemmeno il Moro di domenica. Non è questa la giornata, non è questa la Coppa. E se si sta in corsa nel punteggio è solo perché la squadra toscana (non esaltante a sua volta) trova il modo di inguaiarsi, risultando carente di killer istinct, di personalità necessaria per far rimanere semplice ciò che semplice era.

Fanno inevitabile festa i toscani, bravi a raggiungere Verona in 300 persone, da un paese che ne conta appena 13mila.

Intervistiamo e ci facciamo intervistare. Chiacchieriamo con tutti (Masciarelli, Errichiello, Gardini, Ricci… c’è mezzo Messaggero). Salutiamo. Togliamo il disturbo. Torneremo? Si lavora ad un sì!

M.O.

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