Il grande ritorno al Pala De Andrè – Articolo da “Sette Sere”

  • Scritto da Marco
  • 02.10.2011  11:37.26

 

“Palazzo delle Arti e dello Sport Mauro De Andrè”. Già a pronunciarlo suona bene, alto e imponente.

La struttura venne realizzata a tempo record nel 1990. Durante la costruzione la gente lo chiamava Pala Ferruzzi. Poi la potente famiglia volle sorprendentemente concedere l’intestazione ad un proprio prezioso dirigente, appunto Mauro De Andrè (fratello… d’arte, visto che il ribelle Fabrizio si era dato alla poesia e al pop, con il successo che conosciamo), ribadendo il senso di “proprietà familiare” e negando l’intitolazione a soggetti più legati alla città e allo sport (a proposito: di questo se ne potrebbe anche riparlare…)

Il Pala de Andrè fu costruito in fretta per sopperire alla carenza di strutture per lo sport: non c’era altro modo di far esibire i wonder team di quell’epoca (Messaggero e Teodora vinsero immediatamente lo scudetto, e l’anno successivo coppa dei Campioni e Mondiale per Club) .

Una cupola bianca divenuta presto uno dei più riconoscibili riferimenti nel modesto skyline cittadino, un complicato sistema di sorveglianza e security (oggi quasi completamente smantellato), arredi sontuosi, una fornitissima palestra, avveniristiche tribune rullanti utilizzabili anche all’esterno, un parco multifunzionale e con di un certo pregio artistico, visto che vi sorgono le “braccia rosse” del Burri (a simboleggiare la lotta dei cestisti e dei pallavolisti per contendersi il pallone) e il Danteum, un colonnato di elementi in ferro rosso, marmo bianco e cristallo trasparente in numero pari alle cantiche dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso.

Insomma, la più bella struttura d’Italia in cui si sia fatto sport.

Non la più funzionale (luce e riferimenti ottici difficili da interpretare per gli atleti), non la più confortevole (quando cadranno i mille segreti di Tangentopoli ci diranno anche chi ha progettato sedili così scomodi), non la più economica (solo scaldarla, quest’inverno, costerà più di duemila euro al giorno).

E non la più vantaggiosa per la squadra di casa. Gli alti costi obbligheranno la Cmc ad allenarsi quasi sempre al “Costa”, una palestra con tutt’altre caratteristiche. Il calore del piccolo impianto fu una delle chiavi vincenti della scorsa stagione. Quest’anno ci si dovrà rinunciare, anche se Ravenna, con una bella campagna abbonamenti, non dovrebbe far mancare il sostegno.

Nella “reconquista” della RoburCosta anche questo traguardo “strutturale” va considerato straordinario, perché pone anche “fisicamente” la squadra al centro dell’attenzione cittadina, le restituisce il salotto buono e forse scatenerà in molti ravennati quei collegamenti mnemonici ad una stagione breve e magica che portò scudetti e coppe e un entusiasmo contagioso, fibrillante, irripetibile.

A re-inaugurare il De Andrè sarà Ravenna-Modena, superclassica del nostro volley, che per tradizione (sia pur spesso appassita, specie nella sponda romagnola) vale un Inter-Juve di calcio.

Tanti protagonisti in campo, ma anche tanti… fuori. La Cmc sarà ancora priva di Verhanneman (stiramento addominale, fuori per tutto ottobre) e di altri due martelli che vengono da lontano, l’australiano Roberts (omonimo ma fortunatamente non parente di un dimenticabilissimo statunitense che giocò a Ravenna negli anni ottanta) e l’argentino Quiroga (viceversa nipote di uno dei dieci più forti pallavolisti del secolo scorso). Giocherà ancora Grutzka alla mano, con Moro opposto.

Ma anche Modena conta gli assenti: il veterano Casoli è infortunato e anche l’irrequieto Martino non ha ancora perfezionato il tesseramento. Ci penserà l’olandese Looy a sostituirlo (probabilmente bene, come accaduto all’esordio).

Il titolato Daniele Bagnoli seguirà la partita seduto in panchina, ma non per rendere omaggio alla regola in auge ai tempi d’oro del PalaDeAndré messaggeriano (che vietava ai coach di alzarsi e, pochi anni prima, vietava loro addirittura di parlare) bensì per una frattura che lo costringe al gesso.

Fra le molte iniziative legate alla gara d’esordio segnaliamo la presentazione alla stampa del libro “Una Città Sottorete” (storia e storie del volley ravennate dal 1946 al 2011) e del nuovo inno della squadra, intitolato “Skiaccia” ed interpretato da Dennis Fantina con la Contrabband.

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