Addio ai “tre Vigor” che ho conosciuto

  • Scritto da Marco
  • 26.03.2012  18:30.30

 

Ho conosciuto Vigor quando aveva 16 anni, gli ho fatto la prima intervista della sua carriera, l’ho visto crescere e farsi coraggio e uomo fino all’ultima scena di sabato scorso…

Ho conosciuto tre Vigor. Il primo è il salamone veneto di 16 anni, per il cui acquisto il Messaggero si impegnò a fondo (Brusi ricorda di averle tentate tutte per convincere la famiglia, fino al successo finale). Si muoveva male, era grezzo e acerbo, ma lo staff di Skiba aveva capito che, lavorando duro, si poteva spremere succo di campione.

Era il tipico “ragazzo di bottega”, volenteroso, un po’ ingenuo. Nell’anno dello scudetto portava l’acqua e il “gatorade” (allora in gran voga) per i campioni e li spiava discreto. Poi si metteva la maglia della juniores e, con un gruppo favoloso (Rosalba, Lirutti, Rambelli, Skiba, Saviotti, Sangiorgi, Leonelli e altri che oggi lo piangono disperati), scriveva la storia di questo gioco in campo giovanile.

Per Natale il Messaggero regalava ai giornalisti casse di whisky con una maglia da gioco. A me toccò quella di Bovolenta, non esattamente la più prestigiosa, a quell’epoca. Andai da lui e gli dissi: “Bovo, se io vado in giro con una maglia con su scritto ‘Bovolenta’, tu dovresti indossarne una con scritto ‘Ortolani’…”. “E’ vero! Domani fammela avere!” Una risposta sorridente e ironica che vale come “sigla” di quel mio primo Bovo.

Il secondo è il talento che sboccia e che diventa campione. Capitano di una banda di ragazzi che, nella Ravenna di metà anni Novanta, prova a coniugare il fardello delle pesanti eredità del Messaggero con la possibilità di fare buon volley con quanto si era seminato in quegli anni. E’ il capitano del Porto che vince la Coppa Cev a Ginevra (titolo perso nella memoria delle precedenti mirabilie, che sarebbe il caso oggi di rivalutare); ma poi la povera Ravenna non lo potè più tenere. Diventato troppo bravo, era reclamato da altri palcoscenici, per esempio quello di Modena, dove vincerà un altro scudetto. Oppure quelli mondiali, dove la sua maglia azzurra numero sedici è una griffe che si mostra in due edizioni delle Olimpiadi.

Nel frattempo Ravenna rimane il centro del suo mondo. Mette su casa a Borgo Montone, si sposa con Federica (ricordo la cerimonia a San Vitale, piena di invitati campioni). E le vacanze estive sono immancabilmente a Marina di Ravenna, in uno stabilimento balneare crocevia di storie di volley 

Il terzo Vigor è l’uomo che è uscito dal “grande giro”, ma che – per gratitudine allo sport che gli ha dato tanto e per inestinguibile passione – rimane ancora in pista, fino all’ultimo secondo, in campionati anonimi, con un futuro anche manageriale da costruire.

E’ diventato un bel ragazzone: felice di ciò che ha fatto e di ciò che può ancora fare, con la nidiata di figli che talvolta incontro al supermercato, macchia di allegria in mezzo agli scaffali, che mai gli impedisce di fermarsi a scambiare qualche “come eravamo” dell’epoca d’oro o qualche “come siamo” della nuova età che Vigor aveva il diritto di vivere.

Il quarto Bovo non sarà in mezzo a noi. Da lassù tiferà per il nostro volley e per i suoi bambini. Gli sia lieve questo tempo, nella convinzione che non lo dimenticheremo, che non lo dimenticherò.

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