Addio Sergio

Addio Sergio

  • Scritto daMarco
  • 09.2015  22:15.57

Delle tante interviste che ho fatto a Sergio Guerra, la più lunga e completa è stata proprio l’ultima, pochi mesi fa. Forse perché prima ero troppo giovane per tenere a lungo la conversazione con una personalità così forte e carismatica. Lo trovai in ottima forma, con la voglia di ricordare i tanti momenti belli, ma con quell’ironico tagliare qualche discorso a metà come a dire “dai… tanto queste cose le sai”, come per non darsi troppa importanza, come se non dovesse essere lui a dire troppe cose sulla grandezza di quel miracolo sportivo.
Per me (e mi auguro che sia una sensazione condivisa) è di conforto sapere che ha goduto da lucido condottiero, fino agli ultimi giorni, dell’affetto della sua bella famiglia e dei suoi amici.
Addio Sergio, grazie per le cose che mi hai insegnato.

(foto a lato Sergio con Henriette Weersing)

 

SERGIO: IL GRANDE CONDOTTIERO

La storia della pallavolo italiana si divide in tre fasi: la prima caratterizzata da educazione fisica artigianale e impegni dopolavoristici; la seconda da professionalità e spettacolarizzazione; la terza da fisicità estrema e professionismo.
Sergio Guerra approda al volley femminile alla fine degli Anni Settanta, su invito dell’amico Diego Melandri, al tramontare della prima fase e inventa letteralmente la seconda, di cui diventerà incontrastato dominatore e riferimento per tutti. Lascia all’inizio degli Anni Novanta, cedendo il passo al volley 3.0, che ammiriamo tuttora.
Il volley di Sergio parte con atlete normodotate (il nucleo storico è quasi interamente sotto il metro e ottanta) e tutte “fatte in casa”, di compensi molto modesti (molte atlete lavoravano), di rari spazi televisivi. Il tocco magico di Guerra e i trionfi (soprattutto quelli internazionali) delle sue ragazze porta la pallavolo verso altri orizzonti.

Sergio, quando hai avuto il contatto con il gruppo Olimpia avresti immaginato una serie di successi così lunga? “Certo che no! Ero stato chiamato per evitare la retrocessione. Ci siamo salvati, poi abbiamo vinto la Coppa Italia. Poi… ci siamo andati dietro la mano…” (espressione tipica del dialetto romagnolo che si può tradurre con “abbiamo fatto un passo alla volta”).

Ma interviene un altro grande della storia dell’Olimpia, quel “Piligi” Rambelli a lungo fidato vice di Guerra con delega per il settore giovanile, che non smise mai di “sfornare materiale” per la serie A. “Penso che Sergio avesse da subito le idee molto chiare: dopo quella salvezza di cui ha parlato ci riunì tutti dandoci i compiti perché – lo scandì bene – voleva subito vincere lo scudetto. E le ragazze erano appena neopromosse!”.

Ed è partita una storia che è ormai leggenda… “Avevo atlete che davano una disponibilità enorme – riprende la “Volpe Argentata” – e spesso erano dispiaciute quando l’allenamento finiva, anche se era stato duro. Erano un gruppo! – e la mano di Sergio, mentre parla, si alza verso l’alto e si stringe in un pugno che rappresenta quell’unità – erano cresciute insieme, avevano sempre fame di vittorie e non mollavano mai un… “. Qui omettiamo la parolaccia, ma ci siamo capiti. “Solo una squadra così determinata poteva recuperare tutti quei match ball nella semifinale del 1988 a Salonicco, che poi ci consentì di vincere la Coppa dei Campioni”.

Fra tante vittorie quale ricordi di più? “Il terzo scudetto allo spareggio a Bologna, contro la Nelsen Reggio Emilia. Le avevamo battute pochi giorni prima in regular season. Loro riproposero lo stesso gioco, io cambiai e le sorpresi. Dissi alle ragazze che era fondamentale vincere il primo set. Invece lo perdemmo, prima di chiudere 3 a 1 per noi. Mi prendono ancora in giro per questo fatto…”.

E le coppe? “La Coppa dei Campioni del 1988 a Salonicco! Passai la notte a guardare la partita dell’Uralotscka dentro il mirino di una telecamerina. Alle 3 andai a svegliare i miei collaboratori per annunciare: “ci ho trovato la gavagna!” (che in italiano “forbito” si direbbe “ho trovato il bandolo della matassa”, ma le espressioni brusche e dirette di Sergio sono una delle chiavi vincenti del suo prodigio sportivo e vanno lasciate intatte).

E la Nazionale? Sergio fa capire che non sono quelle le pagine a cui è più legato. “Facemmo un terzo posto agli Europei in Germania. Nessuno credeva in noi, la squadra partì con un solo accompagnatore della Federazione. Poi, dopo le prime vittorie, i dirigenti ci raggiunsero in fretta e furia per dirci ‘io ve l’avevo sempre detto…” ”

Ma come cavolo avete fatto a dominare per 11 anni di fila? “Avevamo un vantaggio iniziale e capivo in anticipo che quell’anno avremmo vinto. Così avevo diversi mesi per lavorare sul campionato successivo, pensare a variazioni tattiche e cercare le atlete che mi potevano servire”.
Ed erano atlete giovani (il monitoraggio dell’Olimpia in Italia era senza rivali e portò Bertini, Chiostrini, Zuccarini, Saporiti, ecc), oppure straniere spesso non di primo piano (“atlete molto forti avrebbero disturbato gli equilibri di squadra e io non volevo primedonne”).

C’è una fra le avversarie che avresti voluto allenare? “No, mi sono sempre andate benissimo quelle che avevo”.

Perché è finita? “Perché il Messaggero impose atlete molto forti ma non adatte al nostro modello di gruppo. Se ci lasciavano fare a modo nostro avremmo vinto ancora”.

E riassumendo tutta quest’esperienza in una sola frase? “Mi sono divertito come un matto!”  

 

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