Simone e gli altri Golden Boys

  • Scritto da Marco
  • 09.01.2016  14:46.13

La collezione di consensi è unanime: Simone Giannelli, protagonista della vittoria della Diatec sulla Cmc di domenica scorsa, è “qualcosa” di veramente speciale nella storia della pallavolo. Questo giovane uomo bolzanino (di etnia e lingua italiana) ha qualità tecniche, agonistiche e mentali che lo rendono già un fuoriclasse e un protagonista assoluto in campo, ad un’età in cui tutti gli altri, anche i più bravi, cominciano soltanto ad “annusare” l’idea di questa condizione.

Giannelli è nato nell’agosto del 1996. Il padre, maestro di tennis, voleva avviarlo alla racchetta, ma il ragazzo, nelle giovanili bolzanine, sembrava preferire il volley: da 14enne giocava con schema a doppio palleggiatore, dimostrando velluto di mani quando alzava, e dinamite di braccio quando schiacciava.

La sua prima panchina in serie A cade in un giorno “magico”, quello in cui si gioca la gara5 dello scudetto 2013: il titolare Raphael si infortuna, la riserva ravennate Giancarlo Sintini va in campo pochi mesi dopo aver vinto un cancro al sistema linfatico: Simone non entra in gioco, ma può esultare con la prima squadra.L’esordio in A avviene proprio a Ravenna, a 17 anni e 2 mesi. Record per la società di Trento.

In seguito Blengini lo chiama in una Nazionale da cui Travica è stato allontanato per motivi disciplinari e nel ruolo patisce un vero e proprio “buco”. Simone ci si infila con straordinaria determinazione e, agli ultimi Europei, è valutato come miglior palleggiatore dei campionati.

“Il sistema di osservazione dei giovani di Trento – ricorda Beppe Cormio, a lungo dg in quella realtà – era capillare, ma questo atleta era veramente molto piccolo per essere considerato e ce lo trovammo perché aveva visto la finale di Champions che giocammo a Bolzano e volle provare con noi. La tenacia del padre fu la fortuna del Trento. Litigai con il ds Michieletto perché tardò qualche tempo a tesserarlo e non volevo che me lo portassero via. Oggi classe e personalità sono impressionanti, mi ricordano quelle di Fabio Vullo. Giocatori così nascono solo ogni tanto…”

Infatti la storia del volley racconta di pochi altri fenomeni, capaci di essere determinanti a quell’età. Apriamo una rassegna forzatamente incompleta con Fabio Vullo che, diciassettenne, vince da titolare lo scudetto a Torino, giocando nel ruolo di palleggiatore-schiacciatore. Prima ancora, Gianni Lanfranco fu titolare a Torino a 15 anni ed esordì in Nazionale a 18.

Andrea Giani fu titolare nello squadrone di Parma già a 18 anni; ingresso nel mondo del volley da minorenne anche per Samuele Papi, nel Falconara, all’epoca irriverente outsider. In generale, tutta la “generazione di fenomeni” (in particolare Zorzi, Tofoli, Bernardi, Meoni e Petrelli) trovò spazio molto rapidamente nei sestetti più forti del tempo e in Nazionale.

Anche Ravenna ha dato abbondanti contributi alla storia dei “golden boy”:Daniele Ricci collezionò a 17 anni la prima delle sue 55 presenze in Nazionale; Gian Marco Venturi, a 15 anni, era già nella prima squadra dei “Vigili”. Margutti esordì 15enne giocando qualche secondo del campionato 82/83 (entrando al posto di… Daniele Ricci!), Andrea Gardini a 19 anni era già titolare del fortissimo Cus Torino. Per Simone Rosalba esordio nel Messaggero a 16 anni.

All’estero la completezza della rassegna diventa un’utopia. Daniele Ricci ricorda l’argentino De Cecco: “Lo vidi 18enne in prova a Montichiari, dove non venne confermato. Mi detti subito da fare e riuscii a portarlo a Latina, che allora allenavo”. Cuba e Brasile hanno tradizione di estrema precocità dei loro talenti: la attuale Nazionale caraibica, che si potrebbe qualificare per le Olimpiadi, è quasi interamente Under19; anche la Nazionale russa ha almeno un paio di elementi di questa età.

Marco Ortolani

per il settimanale “Sette Sere”

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