Ravenna-Sudtirol: cronache dell’ultracalcio
Ravenna-Sudtirol: cronache dell’ultracalcio
Fino a 15 anni ero un grande appassionato di calcio. Seguivo tutte le vicende, conoscevo tutti i protagonisti, sfruttavo tutto quello che la parsimoniosa televisione di allora proponeva. I club, la nazionale, le coppe europee, eccetera.
La vittoria dei Mondiali del 1982 suggellò il culmine di questo tipo di passione. Trepidai davanti alla tv con nonno Bruno per le partite dell’Italia contro Brasile ed Argentina. E, dopo la partita con la Germania, corsi in bici a far festa alla fontana della Loggetta Lombardesca con l’amico Stefano. Mi sembrava che il calcio mi avesse fatto un bellissimo regalo, uno dei più belli che la mia adolescenza potesse chiedere.
Poi vennero altri interessi, e il calcio perse terreno nella classifica del mio tempo libero e delle mie emozioni. O meglio, si trasformò. Non era più la passione di chi aspetta la partita per il risultato, ma quella che si vive per succhiarne la potenza aggregatrice dei suoi eventi, dei suoi personaggi, delle situazioni periferiche alla vita pubblica, visto che, da almeno un ventennio, il calcio si è tolto dalla grossa nicchia in cui aveva vissuto per anni (fatta di un pubblico maschile e popolare). Oggi il calcio è fenomeno totale e globale: ha sfondato fra il pubblico femminile, fra gli intellettuali (un tempo sfuggenti dinnanzi al pallone), fra i sostenitori di certe idee politiche rivoluzionarie (che avversavano il trastullo borghese), fra gli immigrati stranieri. Una moderna trasmissione di calcio allinea giornalisti di grande spessore, le donne più belle, i giochi a premi più ricchi e interessanti, i comici più bravi, le tecnologie più approfondite, artisti e cantanti, circostanziati cenni di medicina, di geografia, di economia, di diritto, di politica, di attualità, di letteratura… Un fenomeno che si riassume in un mirabile verso del mio artista preferito “E la gente si alza insieme / come quando c’è un gol allo stadio”.
Non si può quindi dire “Non mi piace il calcio”. Perché è praticamente impossibile rimanere estranei a tutti e ad ognuno dei fattori sopra elencati.
Detto tutto questo veniamo a noi. Per me il calcio è quello televisivo, non quello dello stadio, che per tradizione di famiglia non ho mai frequentato e non è riuscito in seguito a “rapirmi”.
Nei giorni scorsi ho seguito con incredulità le vicende relative al calcio-scommesse e all’implicazione della dirigenza del Ravenna Calcio (segnatamente del ds Giorgio Buffone).
Così ho voluto vedere da vicino le facce e le situazioni di cui si parlava. C’era lo spareggio-salvezza contro il Sudtirol e ho deciso di andare allo stadio.
Vi voglio raccontare anche in alcuni dettagli questa esperienza.
Arrivo alle biglietterie a piedi con la mia fidanzata alle 15.35. Non voglio sfruttare il mio tesserino da giornalista per procurarmi un ingiusto accredito, né voglio approfittare (in un momento così particolare) dell’abituale gentilezza degli amici della società, che altre volte mi avevano favorito il biglietto.
Nel mio modo di ragionare sono quindi in buon anticipo. Sono avvantaggiato dall’abitare vicino allo stadio, che è transennato e militarizzato come da allucinante tradizione di ogni domenica, anche quando si gioca contro l’Atletico Tripparino. Mi risparmio così il traffico. Stavolta automezzi, armi, uomini servono per blindare una ventina di altoatesini, dall’apparenza innocua come i tradizionali gerani dei loro balconi. I nostri ultras non li guarderanno nemmeno, presi da tutt’altre ostilità
Ai botteghini della curva sud ci sono tre file. Ne imbocco una. Ho una ventina di persone davanti, presumo di sbrigarmi in pochi minuti.
Alle 15.55 sono allo stesso punto della fila, che non si è mossa di un millimetro (e nemmeno le altre due).
La gente in fila è esageratamente civile per il mio modo di pensare. Borbotta, mugugna. Ma stringe le banconote (non poche) che serviranno a vedere la partita. Commenta le notizie, soppesa le responsabilità. E aspetta. Quando passa il sindaco lo insulta. Poi torna quieta, con le banconote in mano.
Ore 16.10. Dalla mia fila hanno “bigliettato” solo due persone. Ignoro i motivi di una lentezza così surreale (“surreale” sarà l’aggettivo più gettonato nel pomeriggio). Nel frattempo il Ravenna va in vantaggio; il Sudtirol pareggia dopo pochi minuti. Io sono ancora in fila. Dentro ci saranno 400 spettatori. Un monumento alla storica lontananza del grande pubblico dalle vicende del calcio ravennate che si “esalta” anche in una giornata così importante e “curiosa”.
Rinuncio. Questa gente (peraltro disonesta e imbrogliona, secondo quanto emerso dall’inchiesta) non merita nemmeno i miei due spiccioli. Me ne vado.
Passeggio lungo la tribuna e arrivo dietro la curva Nord. Fuori dal bar ci sono gli Ultras (foto da www.ravennanotizie.it) che hanno deciso di entrare (lo hanno fatto quando io ero in fila alla sud), insultare velocemente tutti ed uscire. Il botteghino della Nord è quindi sguarnito. Ricordo la ressa a quello della Sud e quindi mi accerto del fatto che anche qui vendono biglietti. “Certo!”. Bene. Quanto costa una tribuna (il cielo minaccia pioggia)? “Trentaquattro euro”
Spiego alla bigliettaia che voglio un biglietto di tribuna e non comprare tutta la tribuna per portarmela a casa… Chiedo anche se è possibile (lo era negli anni settanta, quando mi accompagnava mio nonno) entrare gratis nel secondo tempo (all’inizio del quale mancano pochi minuti). Ma non è aria di fare battute. Compro due curve. 20 euro. Prezzo onesto. Mi vengono rilasciate in meno di un minuto dietro esibizione di un documento. Dal gruppo di poliziotti esce una agente che perquisisce Elisabetta. Tutto ok. Siamo pronti per i tetri tornelli, che alla lettura del codice a barre dei nostri biglietti si aprono con un cigolio sinistro, come la libreria de Il Nome della Rosa.
Entro nella curva che non visitavo da almeno 30 anni. E’ sempre la stessa.
Sono in pochi a sfidare il diktat della “Mero”. Quasi tutti uomini, età media da “dipendente” Inps. Sono composti nei modi, ma inferociti. Passeranno due ore ad insultare tutti, con “iniziative individuali”, senza aggregarsi nei cori. Accuseranno soprattutto i propri calciatori e il proprio allenatore di aver combinato il pareggio (che salverebbe gli avversari).
Negli ultimi minuti che riesco a vedere del primo tempo il Ravenna compie qualche incursione. Il Sudtirol non fa quasi niente. Al riposo è uno a uno.
Nella ripresa il Ravenna fa anche meno. E gli ospiti meno del meno. “Andate al cinema, se cercate lo spettacolo” diceva un allenatore giallorosso di qualche anno fa, con riferimento al livello della serie C.
Tempo scaduto. L’arbitro concede 5 minuti di recupero, alla luce delle 5 sostituzioni e del disgustoso malcostume dei calciatori di questa categoria di buttarsi sempre per terra: i “nostri” in area per cercare il salvifico rigore; gli “altri” in ogni angolo del campo per perdere tempo.
Arriva un cross. Il portiere ospite si chiama Zomer. Si scontra con un compagno e lascia un tiro disponibile a porta vuota. Ma la palla va alta. Disperazione totale. Giocatori a terra affranti. Il pubblico della nord (piove da un’ora) infradicia le sue residue bestemmie. Per i pensionati entrati allo stadio sfidando gli ultras è l’evidente prova finale di una combine. Hanno nuovamente venduto la partita. Li hanno nuovamente traditi.
Mancano pochi secondi al triplice fischio del novantacinquesimo minuto. La palla finisce nelle mani del portiere Zomer (piazzato male in occasione del gol subito, goffo e incosciente sull’azione di pochi secondi prima, penoso in alcune uscite facili e mai impegnato in alcuna altra occasione della partita) che la controlla senza problemi. La tiene ancora stretta fra le mani, mentre un nostro attaccante – dal cognome Lapadula, che evoca battutacce da osteria di ogni tipo – sullo slancio lo colpisce leggermente: un buffetto, un calcetto, una cosa da niente. Dalla Nord non si vede un tubo. Vedrò poi nella telecronaca di Gabriella Casanova e Antonio Rinaldi che il portiere ha una reazione: insegue Lapadula, lo colpisce con un fallo di reazione. Non certo grave: una specie di muso contro muso.
L’arbitro è allibito. Fissa la scena. Cerca di ripassare il regolamento. E’ il 95° di una partita importante anche per lui, che ha diretto fin lì benino e si appresta a dare quello che è probabilmente l’unico rigore della sua carriera in una situazione in cui la palla è alla difesa.
Rigore??? Ma come Rigore???
Rigore!
Sì. Gli uomini della Nord si abbracciano e smettono di bestemmiare. Intuisco di lontano il rodeo di proteste innescato dai giocatori del Sudtirol, che si sentiranno dentro un incubo. Per loro sono lacrime nella pioggia, perché è tempo di morire.
Al 100° minuto l’arbitro ripristina la legalità. Sul dischetto va Chianese. In porta va un difensore del Sudtirol, perché il surreale portiere Zomer è stato espulso (e il cartellino rosso è probabilmente la minore fra le condanne che lo aspettano, perché se c’è un inferno dei calciatori questo ragazzo ci finirà senz’altro).
Gol. Salvezza. (Salvezza si fa per dire, visto che il giudice sportivo probabilmente ci caccerà come minimo in serie Z e farà tabula rasa della classe padrona del calcio cittadino).
I signori della Nord si abbracciano. E le loro certezze sono rovesciate. Non è il Ravenna ad aver venduto la partita. Ma anzi l’ha comprata! Corrompendo il portiere Zomer. Il surreale portiere Zomer.
Il portiere del Ravenna si chiama invece GianMaria Rossi (in squadra ci sono anche un Paolo Rossi in attacco, un Leonardo Rossi come allenatore, un Rosini e un Rossetti). Conosco la madre che lavora con me. Signora elegante e perbene. Per me è una specie di garanzia sulle virtù del figlio (che conobbi quando era bambino) che non può essere fra quelli che tradiscono la passione sportiva che li ha sempre animati per quattro soldi marci e dannati.
GianMaria si denuda in preda ad un entusiasmo smodato. Si aggrappa alle transenne immergendosi nell’orgasmo dei pensionati della Nord che avevano insultato lui e i suoi amici fino a cinque minuti prima.
In tribuna si esulta tutti. I dirigenti corrotti. Quelli onesti. Gli sponsor, gli amici giornalisti, gli aspiranti nuovi proprietari, i sindaci (Matteucci e Mercatali che nei comunicati ufficiali “auspicano” che tutto quello che è vero non sia vero, ma hanno al momento poco altro da aggiungere a questi vaporosi auspici)
Se ci mettiamo d’accordo che non è uno sport – ma una telenovela infinita come le buone telenovelas devono essere – diventa più facile capire tutto. Ci sono delle regole di massima; poco più che delle indicazioni di fondo. Ma poi il vero spettacolo è l’anomalia, la trasgressione, l’imprevisto.
E, come le telenovelas insegnano, non basta l’uscita di scena di un protagonista per far crollare il castello narrativo. Il calcio sopravvive alle sue stelle che nascono e declinano, lasciando posto a nuove e sempre più imprevedibili storie.
Se cerchiamo l’onestà, lo sport, i valori morali, la sfida decoubertiniana alla ricerca di chi è più bravo… cambiamo canale, cambiamo ambiente, cambiamo obiettivi. Una squadra indebitata dovrebbe avere un solo obbligo: ridimensionarsi, spendere meno, scendere fino alla categoria congrua agli investimenti che si vogliono fare. Ma il mondo del calcio si nutre di eccessi e inguaribili vanità, anche da parte di un uomo di un certo spessore umano come il presidente Gianni Fabbri.
Teniamoci il calcio perché è un non-sport, un ultra-sport che ha troppo più fascino di qualsiasi altro. Racconta da secoli (e probabilmente per molto tempo ancora) della storia degli uomini. Non sempre la storia più nobile. Spesso, però, quella più divertente ed emozionante.
Marco Ortolani – giugno 2011
Commenti a Ravenna-Sudtirol: cronache dell’ultracalcio
- Il 08/06/2011 08:55:09mauri ha detto:
racconto spassosissimo orto …. Un amico comune direbbe “se non ti prendono a sky immediatamente disdico i miei 4-5 abbonamenti” … talento puro.