19° Raduno: Tutti qua per “A Clà”
Un artista (chissà quale…) diceva che l’adolescenza è l’età in cui “si esce di casa per andare a cercare qualcuno che ci somigli”. Un suo collega si chiedeva “chi sono quelli della foto da tenere?”…
Da tempo la mia adolescenza è finita e le scelte, ormai, le ho fatte. Non ho appartenenze politiche, non tifo per squadre di calcio, non ho passioni divoranti per la bicicletta, per la caccia, per il collezionismo, per i viaggi, per la lettura, per il cinema… Non ho (e mi dispiace) una frequenza in attività benefiche o filantropiche…
La cosa forse più tenace nel caratterizzarmi nel corso di tutti questi anni è proprio la predilezione per un artista “pop” (generalizzo per semplificare), che ha celebrato ieri a Roma il 19° incontro (si chiamano “Raduni”) con il suo pubblico più affezionato a cui ho assistito con la stessa sensazione di “incanto” della prima volta (che risale all’anno ’86 del secolo scorso). Si tratta della 62a volta (fra raduni, concerti, interviste ed altro) che assisto ad una sua performance dal vivo. Risparmiatemi i commenti: li ho già sentiti tutti.
Potrebbe trattarsi di qualcosa che deriva da un apprezzamento artistico. E sicuramente questo è l’impulso di partenza. Ma mi conosco troppo bene e so che non sarebbe potuto bastare a lungo per farmi “investire” così tanto in forza, tempo, denaro e impegno per essere ancora qui dopo tanti anni.
Riconosco a Claudio Baglioni un ruolo di “insegnante di sostegno” per una materia come l’educazione sentimentale nella quale ho sempre avuto una media del quattro in pagella. Lo ha svolto con la credibilità della sua arte (musica e qualità di showman) e con linguaggi (le parole che maneggia con impareggiabile maestria) che potessero essere capiti anche da uno “ruvido” come me.
Dall’anno della “riqualificazione” del suo repertorio e della sua immagine pubblica (lo daterei a metà degli Anni Novanta, in corrispondenza con l’esperienza televisiva di Anima Mia, dell’album “Io Sono Qui” e del Tour Rosso) è diventato il grande e completo comunicatore che, in qualche modo, avevo già intuito che potesse essere.
Un umorismo a metà fra quello raffinato dei calembour lessicali e quello ‘mpoccialtrone della tradizione popolare della sua città. Un’abilità che non riconosco in altri di raccontare la modernità, anche quella più drammatica, senza scadere nella cronaca, rimanendo alto e lontano, svolgendo il compito proprio dei “vati”, dei letterati e degli artisti senza tempo (“che non vivono mai veramente / ma neanche poi muoiono mai”), finendo con il collocarsi, a mio avviso, in un club che, da Dante Alighieri in poi, conta iscritti in numero non superiore alle dita delle mani.
La capacità (che nasce da umiltà, pazienza e rispetto) di avere a che fare con tutti, proprio chiunque, da Paola e Chiara a Bruce Springsteen, da Gigi D’Alessio ad Art Garfunkel, dagli Intillimani a Bocelli (l’album delle figurine straniere è ben fornito e direi che fra gli italiani viventi gli manchi solo Vasco Rossi). Ha fatto il pop, il jazz, il rap, il rock, il folk, la lirica, la sinfonica, avvicinandosi ad ogni genere e ad ogni “collega” con la curiosità della conoscenza (chiave di successo anche per chi conosce già tante cose), il gusto dell’esperienza e l’arte dell’incontro (“un’altra storia in più / da chiudere con gli occhi e non smarrire mai”).
Ha cantato per i papi, per i presidenti, per i partiti politici (tanti, ma non tutti), tornando ogni volta “a casa”, a noi, a chi lo segue e lo accompagna da decenni, e che con i suoi occhi (più o meno scuri) è diventato grande insieme a lui. Non credo che esista un pubblico trasversale come il suo. Forse cominciano a scarseggiare i giovanissimi (il portiere dell’hotel mi ha chiesto “siete qui per gli MTV Awards?” io ho risposto semplicemente “no”, l’amico Rocco sostiene che, con un po’ di snobismo, avrei dovuto rispondere “no, sono qui per la musica”). Forse comincia a scarseggiare anche un po’ di proletariato (il “passo” dell’iscritto-medio al Clab è decisamente borghese). Ma in un passato anche recente queste due categorie sono state ben rappresentate.
Per questo diciannovesimo raduno ha rinunciato (peccato…) alle ampie parti parlate e autobiografiche, trasformando i compagni di vita delle tournee, (i musicisti), negli ospiti d’onore del pomeriggio. In un momento ho percepito una sua estasi da godimento artistico quando, su una sua composizione, vi è stata una “gara di improvvisazione di variazioni sul tema” lanciata fra Walter Savelli e Danilo Rea, seduti su contrapposti pianoforti (foto Massimo Cherici) . Per pochi secondi Claudio si è assentato mentalmente dal palco, uscendo dal ruolo di protagonista e diventando un fan di una musica così raffinata.
I “momenti clou” dell’incontro, a mio avviso, sono stati il ritrovato “salto sulla vita” finale (dopo quattro ore di spettacolo e alla reverenda, riverita e rinvigorita età di 66 anni, peccato che questi insegnamenti di educazione fisica di Claudio non mi arrivino con la stessa nitidezza di quelli artistici…) e l’esecuzione iniziale del brano che ha dato il nome al raduno, “A Clà”, il cui ritornello veniva pronunciato (sicuramente con intenzione) con una forte cadenza romanesca. “A Glà…” come probabilmente lo chiamavano i genitori e gli amici di gioventù. Un artificio che lo ha aiutato a rendere maggiormente il senso di questa canzone-dialogo con un se stesso bambino (“come è andata poi? Sai se abbiamo vinto noi?…” sublime).
A proposito di Roma. Uscendo dall’Auditorium ho percepito distintamente le urla provenienti dallo Stadio Olimpico che salutava un altro degli uomini-simbolo di questa meravigliosa città, il calciatore Francesco Totti. Anche lui parte del club ristretto di icone della cultura popolare a cui Roma si aggrappa per mantenere la propria identità.
Due incontri finali al volo: il primo con Roberto Pagani. Gli ho chiesto “Ma è vero, come ha detto Claudio, che non avevate provato mai? O è stata una delle sue solite paraculate?”. “No – ha risposto Pagani – è andata proprio così. Ma ci conosciamo bene. E’ bastato stare molto attenti…” Boh… se questi sono i risultati mi chiedo cosa si provi a fare così tanto le altre volte…
Infine Stefano Meloccaro, ottimo giornalista sportivo ora riciclato al varietà come spalla di Fiorello nella sua edicola. Ha spesso detto in tv di essere “un fan”. Quando l’ho visto gliel’ho fatto notare: “Molti si proclamano pubblicamente fans di Claudio, ma poi ai nostri raduni non li vediamo mai… Tu sei stato coerente…”. Lui ha distolto l’attenzione da una bionda piuttosto astronautica con cui stava parlando e con grande prontezza mi ha risposto: “No. Io sono credente, militante e praticante”.
Alle prossime, un saluto al mio (suo, nostro) popolo. E’ sempre un piacere e un onore poterlo frequentare.
El V.
Bellissima!
Come sempre un piacere leggerti, ieri con i miei compagni di viaggio dicevo ” chissà cosa scriverà Marco” è sempre un’attesa importante conoscere il tuo punto di vista.
Però la suddivisione all’ingresso per lettere alfabetiche è rimasta…
…se una volta decidi di partire in bicicletta per questi eventi ne possiamo parlare…
Un Caro Saluto AntonioM
a 66 è normale che inizi a perdere la base giovane degli estimatori. Oggi si ascolta la musica dal telefono, per uno che ha sempre curato il suono in maniera maniacale (oggi un po’ meno, sai bene che il mio parere è questo) e che si è sempre espresso nei suoi dischi con coerenza esprimendo opere e non singole canzoni infilate qua e là a caso a riempire lo spazio di un disco, l’andazzo musicale odierno è proprio tutto un altro mondo dal suo “mondo uomo sotto un cielo mago”