Due alleati contro Halloween…
La corrente di pensiero “anti-halloween” è alimentata principalmente da due sotto-correnti diverse, ma alleate per l’occasione.
Una è quella clericale. Ai preti, in realtà, non interessa nulla che si celebrino festività laiche o pagane. Non interessa che si celebri la Liberazione del 25 aprile o il Primo Maggio (astutamente – e con grande buonsenso – associato a San Giuseppe Lavoratore) o la Festa della Mamma o la Festa della Donna. Il “problema-halloween” è molto più concreto che ideologico, perché coincide con una festa religiosa di scarsissimo appeal (la misconosciuta “Ognissanti”, con due S). In passato l’accoppiata Ognissanti-Ricorrenza Defunti era interamente gestita dalla Chiesa, che intercettava il flusso di denaro che le famiglie riversavano in messe, offerte, commemorazioni, processioni, ecc. La Chiesa raccoglieva qualcosa e conservava la sua centralità agli occhi della comunità. Oggi invece i flussi di denaro vanno in direzione di pasticcerie, cartolerie, giocattolai, rivenditori di petardi, eventi sportivi, ecc e le nuove “chiese” della comunità sono diventati i centri commerciali: luoghi di incontro illuminati, colorati, fracassoni, immersi nella “modernità” delle notizie e delle novità e del volgarotto gusto prevalente. Le chiese sono più o meno vuote. Quindi i preti (che “tengono famiglia”) se ne risentono e mobilitano, per quello che possono, intellettuali, giornalisti e opinion leaders, per cercare (con risultati modesti) di arginare il fenomeno.
La seconda corrente anti-halloween è quella di uno strano concetto di “tradizionalismo”. Gli adulti che si lamentano di Halloween non lo hanno festeggiato da bambini (non esisteva). Siccome l’infanzia è ricordata da tutti come un periodo felice l’equazione diventa “siccome io ero felice senza festeggiarlo = chi lo festeggia non è felice”. Quindi si aggrotta la fronte in un’aria pensosa, profonda e leggermente schifata: e si osserva “Non è una festa NOSTRA…” e poi si va a mangiare al ristorante cinese o a vedersi una partita della NBA. La frase esatta sarebbe “non è una festa MIA”, e di solito la si dice dopo aver passato gli ultimi quindici giorni di ottobre a chiedere freneticamente a chiunque “voi cosa fate per halloween?” e a saccheggiare negozi di zucche di plastica e di trucchi neri. Naturalmente il problema “nostro” non si pone quando c’è da festeggiare il Natale, intriso di riferimenti stranieri (Babbo Natale, Stille Nacht, Jingle Bells, l’Albero, ecc), ma essendo stati simboli presenti anche durante le loro infanzie felici sono automaticamente diventati “nostri”. Insomma, l’è nostar quel c’um pè a me.
Ci sono anche degli alleati di Halloween che sono certi storici. Costoro sostengono che Halloween corrisponde ad antiche celebrazioni di miti nordici, celtici, burgundi, normanni, lapponi o chissà che altro e che anche i nostri trisnonni spaventavano i bambini con storie di paura e si mettevano le ali da pipistrello. Quindi è “giusto” festeggiare halloween (come se non trovare questi agganci storici lo rendesse “sbagliato”). La cosa ha un vago interesse culturale e antropologico, ma sostanzialmente… frega nulla. I bambini si divertono con zucche e scherzetti e il loro entusiasmo sembra difficilmente riconducibile ad una tradizione legata a cicli delle stagioni ormai avulsi dalle abitudini di grandi e piccini. La sagra del mio quartiere si fa da sei anni con grande successo. Non sposterebbe niente sapere che proprio nello stesso luogo, che cinque secoli fa era paludoso, alcuni mercanti si riunivano per esporre spezie e bacche provenienti dall’oriente. Sarebbe niente più che una simpatica coincidenza.
Sono benvenute le cose che si ha voglia di fare e che non danno fastidio, come Halloween.
M.O.