Al Festival con il Capitano Claudio – mercoledì

La giornata della sala stampa è stata aperta dalla visita di Luca Barbarossa, che si è presentato nei suoi modi educati ed eleganti con il suo stile “popolare” nell’accezione che preferisco di questa parola. Un ex ragazzo (aveva 19 anni quando esordì qui con Roma Spogliata e, ahimè, sono vecchio abbastanza da ricordarlo bene) molto ben conservato e “avvolgente” nel porgere le parole che descrivono la sua arte e la sua proposta musicale.

Ha parlato dell’uso del dialetto in forma moderna e non nell’uso-revival che normalmente ne viene fatto, sulla scia di quella modernizzazione che fece Pino Daniele con il napoletano.

Quando si è aperto lo spazio per le domande della stampa ho approfittato (mi capita spesso di farlo alle conferenze sportive, che però, di solito, sono moooolto meno affollate) della freddezza della platea per ottenere il microfono e porgere una mia domanda a cui Barbarossa ha risposto con gentilezza e qualità

Poco dopo è arrivato lo stato maggiore del Festival: Claudio, Michelle, Pierfrancesco, la RAI, il sindaco, i vari direttori. L’atmosfera era grandemente rilassata, perché poco prima si era avuta notizia di uno share di oltre il 50% (l’obiettivo della Rai era di superare il 40%). I dati sono stati letti con toni (giustamente) trionfalistici e si è sottolineata l’omogeneità del dato in tutti i momenti della serata, quasi a deviare una possibile personalizzazione e identificazione del successo di ascolto con il boom di Fiorello, che ha agito da apriscatole di questa prima, trionfale, serata.

Hanno evidentemente funzionato i presentatori, ha funzionato la purezza della formula-canzone, non contaminata con i tradizionali ingredienti a corredo che Claudio ha definito “statuine del presepe”: dai fenomeni da Guinness tipo l’uomo più alto del mondo o la coppia genitrice di 14 figli, agli sportivi di fama, agli astronauti (Claudio sembra avere un’avversione particolare per la categoria, che ha più volte citato…). Il funzionario RAI si è però giustamente premunito di dire che anche la formula “con le statuine” (promossa, fra gli altri, da Fazio e Conti) aveva conseguito lusinghieri consensi di pubblico.

Claudio ha perfezionato la sintesi (ieri aveva sbavato troppo nel monologo iniziale) per descrivere la potenza della canzone e il ruolo dei “canzonettisti”, nel produrre emozioni ed energia nella mente delle persone. Ha anche aggiunto che il suo ruolo di musicista lo ha portato a valutare non solo l’aspetto evocativo ed emozionale, ma anche quello tecnico, di scrittura, di composizione, la quantità di “sapienza”, come l’ha definita.

Claudio ha abbondato in battute, di qualità leggermente più alta rispetto alla raffica, un po’ dozzinale, che aveva esibito dieci giorni fa in fase di presentazione.   Me ne sono appuntate alcune: “Il DATO è tratto!” (commentando l’Auditel); “come giornalisti siete DECANI… senza la prima I”.

E’ poi giunto il (da me) temuto momento delle domande della stampa, che si risolve, quasi sempre, in una serie di spettacolini, talvolta nemmeno brevi, di vanità e saccenza del “domandante”, che spesso si “dimentica” di fare la domanda e attende soltanto il feedback dell’intervistato alla cazz…  al pensiero profondissimo che ha espresso.

Ad una di queste situazioni (sul concetto di appartenenza politica a destra o a sinistra del Festival), Claudio ha platealmente citato una mia battuta, posizionando il Festival… SOPRA!

In un’altra occasione ha risposto alla stucchevole polemica sulla sua frase “Questo Festival non sarà un raduno degli Alpini…”, ribadendo (perché per qualcuno pare ce ne fosse bisogno… uff… quanta pazienza che ci vuole…) la sua ammirazione per il corpo degli Alpini e ricordando di aver inserito (direi unico, fra gli artisti pop), un coro alpino in uno dei suoi brani. Avrei sperato di sentire un pezzo della sublime “Il Lago di Misurina”, invece, a grande richiesta, si è limitato all’inno degli alpini che, ricordo, imparai anch’io in seconda elementare.

Quindi è cominciata la lunghissima e stucchevole parte dedicata al caso Meta-Moro. Nella notte, infatti, qualcuno ha rintracciato una traccia musicale risalente al 2015, prodotta dallo stesso autore e contenente una lunga sequenza di quello che è diventato il ritornello di “Non mi avete fatto niente” e che era stata messa su un qualche sito musicale. Il “caso” è subito stato cavalcato da buona parte della stampa, che ci si è avventata sopra con una grinta che meriterebbe migliori bersagli. Luunghe disamine sul regolamento, luuunghi riferimenti a precedenti casi del passato, luuuuuuuuuuuuunghe esposizioni di opinioni sull’opportunità di squalificare o meno. La grande ambizione, comunque, di voler “determinare”, di partecipare al Festival non solo come megafoni di quello che accade (come sarebbe giusto), ma come “attori” di qualcosa, come ingredienti che specchiano la loro importanza nel “risultato” di mettere in difficoltà (sono stati provvisoriamente “sospesi”) due ragazzi, il loro sogno, la loro arte, i concetti importanti che hanno espresso per una cazzata, per un cavillo di evidente e nullo rilievo “artistico” sulla competizione e sulla validità del messaggio dei protagonisti. Francamente, in questi casi, sono ben felice di non far parte stabile di questa categoria.

Il caso qui viene definito “bomba” e occuperà tutti i titoli dei giornali di domani, superando qualsiasi aspetto musicale. Come dire: “so bene che una minchiata regolamentare interessa ai miei lettori più di qualsiasi resoconto delle espressioni artistiche”. Però, vi ricordo, che se questo accade non è colpa dei giornalisti, ma di un pubblico che “preferisce”, “sceglie” e “compra” questo genere di informazioni. Decide sempre il popolo sovrano. Non solo nella musica. I famosi “grandi poteri” non esistono qui, come in nessun altro luogo. Ne sono stra-convinto.

Tra pochi minuti si parte: il menu della serata è ricchissimo di eventi e di ospiti. Attendo i gol di Claudio. Vamos!!!

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