Sanremo 2019 Divano Italia

 

Luglio 1950. A Rio de Janeiro si gioca la finale dei Campionati del Mondo di calcio fra i padroni di casa del Brasile (largamente favoriti) e l’Uruguay. Davanti a 100mila spettatori gli ospiti sorprendono e battono il Brasile, facendo cadere quel Paese in uno psicodramma che causerà alcuni suicidi e un malessere diffuso nella popolazione. In una periferia povera dello Stato di San Paolo un uomo, collegato alla partita con la radio, piange tutte le lacrime che può e il suo strazio porta a commozione anche il figlio Edson, di 10 anni, che rimane sconvolto dalla sofferenza del padre. “Papà, non devi piangere: quando sarò grande vincerò per te il Campionato del Mondo!”. Edson crescerà, il mondo lo conoscerà come Pelè, “la Perla Nera”, il giocatore che segnerà 1000 gol e di Mondiali ne vincerà tre, spinto da quell’irresistibile desiderio di rendere felice il padre.

Pochi anni dopo, a migliaia di chilometri di distanza, in un’umile periferia di Roma, un bambino figlio unico (perché “non c’erano soldi per comprare un fratellino”) attende con ansia la trasmissione televisiva del Festival di Sanremo, dove il suo “gioco” preferito, la musica, può essere condiviso con gli affetti più cari, quelli dei suoi genitori, per una volta rapiti dallo stesso suono che affascina lui.
Naturalmente non so se abbia detto esattamente quelle parole, ma immagino che avrà giurato a se stesso e ai genitori: “un giorno sarò dall’altra parte dello schermo, a sorridere e a far divertire le persone come noi, che cercano il Festival per rilassarsi, per emozionarsi insieme, per conoscere ed imparare, attraverso le canzoni, come stia crescendo il nostro Paese”.

Anche in una vita piena, come poche altre, di infinite suggestioni ed emozioni – come è stata quella di Claudio – quel “giuramento” di bambino finisce ad essere il motore più forte, quello capace di far accettare una sfida così improba, di rischiare una carriera, di avere stomaco a sufficienza per affrontare le critiche più bestiali, sleali e ingiuste. Altro che soldi. Parliamo di un uomo multimilionario e a posto di soldi per varie generazioni a venire. E di un professionista che poteva guadagnare molto con la sua arte venerata ovunque, risparmiandosi questo stress.

Farò Sanremo, quindi. E ci metterò dentro quel senso di gratitudine che provo per un’arte – la canzone italiana – che io chiamo “piccola”, ma che è riferimento fisso nella vita di ogni uomo e di ogni donna; che fa girare noi italiani a testa alta nel mondo (come poche, e sempre meno altre cose); e – non ultimo – a cui devo il mio denaro, la mia fama, la mia fortuna, la mia ragione d’essere.
Farò eseguire canzoni più lunghe e così più rispettose della sapienza che contengono; non mortificherò la gara con le eliminazioni; non annacquerò l’omaggio al canto italiano con parate di sportivi, di attori stranieri, di eccellenze di altri settori che non hanno bisogno di Sanremo per affermarsi.

E, dopo un anno di “riscaldamento”, vorrò compiere l’ultimo prodigio. Regalare all’Italia la riproduzione di quel momento della mia lunga vita in cui mi sono sentito più felice. Quel momento in cui io, bambino, avevo l’attenzione delle persone a cui volevo più bene rivolta verso i miei stessi sogni e le mie stesse emozioni. Quel divano in cui, su un foglietto di carta, davamo i voti ai sogni, e pensavamo che un’Italia più bella, più gentile, più elegante, ci stesse aspettando nel nostro futuro. Anche se erano solo canzoni. Anche se fuori non c’erano i lustrini, ma una fungaia di palazzi e mille finestre uguali che si mangiavano la campagna.

Per riuscirci ho dovuto farmi la domanda che tutti gli adulti NON si fanno mai: cosa devo fare per tenere un ragazzino del 2019 nello stesso divano dei genitori a guardare la musica??? Semplice: ci devo mettere la musica che piace a lui! Ma “fa schifo”! No, non “fa schifo”. Perché una volta “facevano schifo” anche Modugno che alzava le braccia (e non si poteva) per cantare “Volare” o Celentano che girava il culo alla telecamera (e non si poteva) per cantare “Ventiquattromila baci”. Faceva schifo Mina che venne cacciata dalla TV (MINA !!!) perché aveva fatto un figlio fuori dal matrimonio. Faceva schifo Fausto Leali perché “urlava”. Faceva schifo Jovanotti perché era “un coglione”.
Bisogna avere pazienza e rispetto. La musica è musica, la canzone è canzone. Se piace dobbiamo prestare occhi e orecchie a quello che i nostri ragazzini ci chiedono, altrimenti perdiamo ogni speranza di dialogo generazionale e non potremo più lamentarci che non ci parlano e si barricano dentro i rifugi dei videotelefoni dove chissà cosa trovano di magico.

Irama, Ghemon, Shade, Mahmoud… ma che cxxxo di nomi hanno? Ma come cantano? Vuoi mettere con la musica dei “miei tempi”??? Quelle sì che erano canzoni! Vuoi mettere Mia Martini, Anna Oxa, Massimo Ranieri, Eros Ramazzotti??? Quelli sono stati i Sanremo più belli…
Invece no. Sono stati semplicemente quelli che avevano i suoni che riconosci e che ti hanno formato. Per questo li ricordi così. Perché sono i Sanremo dei tuoi “divani”, della tua famiglia, dei tuoi amici. Mentre questi sono altri divani, in cui stai scomodo.

Ma se riempi il Festival di teenagers farai scappare i quaranta/sessantenni…
No. Ci pensa Claudio. Prima di tutto mettendosi in mezzo, come nume tutelare, come garante. Canto io, canto quello che vi ha fatto innamorare, ci metto il cappello. Vi potete fidare. 
E poi sopportate due o tre Boombadash o Zen Circus ché poi vi porto Bocelli, Venditti, Ligabue, Giorgia, Elisa, Fiorella… Dài, datemi una mano, ce la possiamo fare insieme. E farcela è più importante di quanto pensiate. E’ la base di un patto sociale e generazionale. E’ la realizzazione di un miracolo di unità fra Nord e Sud, fra ricchi e poveri, che forse solo il calcio, oltre alle canzoni, è capace di offrire.

I dati di audience avevano un’importanza speciale. Dovevano decretare il successo di questa formula, di questa piccola rivoluzione.
In questo senso è stato un trionfo, perché gli ascolti nella fascia dei bambini e dei ragazzini (e soprattutto delle ragazzine) sono stati astronomici. Una lieve flessione c’è stata nel dato generale, perché qualche cinquantenne, al presentarsi della coppietta di adolescenti che si teneva per manina, deve aver girato canale incredula. E anche perché (inutile negarlo) è venuto praticamente meno l’intrattenimento comico, che doveva essere un architrave di questo 69° Festival. Bisio inespresso, Virginia mutilata delle sue armi migliori, Claudio a disagio in scenette buone neanche per la sagra della porchetta.

Claudio, spento l’ultimo riflettore dell’Ariston, avrà voluto idealmente andare a dormire nella sua cameretta del subaffitto che sudava, passando prima a dare un bacio a mamma Silvia e papà Riccardo. 
Claudio!!! Quella scenetta con Virginia e le chitarre… e quell’altra in cui facevi la punteggiatura con Bisio… Non facevano ridere! Ti abbiamo dato quattro!”. 
Eh… lo so… ma me le avevano scritte così…
Vabbè… Però sei stato bravo. Il più bravo, come sempre. Quando vieni qui su da noi?

Ancora un po’ di pazienza. Lasciatecelo qui un altro po’. Abbiamo ancora parecchio bisogno di lui.

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