L’ultimo indecente bacione
La prova della modernità è troppo difficile per qualsiasi governo italiano. Si tratta di conservare o migliorare sia i valori reali della ricchezza del Paese (Pil, spread, inflazione, occupazione, efficacia della giustizia, funzionamento dei servizi, infrastrutture ecc) sia quelli “percepiti”, che sono più insidiosi, perché il cittadino italiano (occidentale in generale) ha acquisito una concezione di sé altissima: ritiene “normale” e “not negotiable” un tenore di vita impensabile fino a due generazioni fa e impensabile tuttora per tre quarti dell’Umanità. Un tenore fatto di cibo, vacanze, automobili, tecnologia, telefonia, cure sanitarie evolute, lunghi periodi di improduttività (per corso di studi o fruizione di pensione) totalmente incompatibile con le risorse a disposizione del Paese, ma incompatibile anche con l’ambiente e incompatibile con un concetto di distribuzione omogenea delle ricchezze fra gli abitanti del mondo. Un tenore di vita di cui comunque lamentarsi sempre, in ogni caso, anche dal finestrino della Jaguar o dall’agenzia dove si sono appena ritirati i biglietti per le Maldive. Lamentarsi sempre. Si percepisce di avere poco. Si ritiene con certezza di dover avere di più, di meritare di più.
Qualsiasi governo, quindi, fallirà la prova. Anche perché i risultati (sia quelli reali che quelli percepiti) dell’azione di governo non sono determinati soltanto dall’abilità dei ministri, ma dipendono da fattori ambientali e idrogeologici e anche dall’interazione con gli altri Paesi del mondo, spesso carichi di conflittualità e contraddizioni anche maggiori delle nostre. Oggi, più che mai, quello che accade in un punto lontanissimo del Pianeta può determinare la nostra fortuna/sfortuna o la nostra felicità/infelicità.
Da molto tempo, pertanto, ho smesso di valutare l’azione dei governi. Ritengo che non possano farlo nemmeno osservatori molto preparati, perché i fattori che determinano il giudizio sono, come dicevo, esorbitanti rispetto alle possibilità, al “potere effettivo” dei governi, che influiscono in modo ultra-marginale sui destini delle nostre vite (determinate in misura molto maggiore da altri fattori e altre persone: industriali, sindaci, medici, scienziati, pubblicitari, giornalisti, insegnanti, artisti, ecc).
Mi risulta addirittura difficile (o meglio: impossibile) valutare anche situazioni storicizzate come i governi De Gasperi, Moro, Andreotti, Craxi… che pure operarono in tempi “sovranisti” in cui un Paese era arbitro del proprio benessere molto più di quanto lo sia adesso.
Mi annoiano quei discorsi del tipo “con noi il pil era salito e con gli altri è calato”. Oppure “con noi il cambio col dollaro è sceso”, “abbiamo fatto più riforme”, “con noi l’economia ha galoppato”, “il prezzo della benzina era più basso”, ecc.
C’è solo una cosa che si può valutare con una certa oggettività: la statura umana, morale, professionale, civica, culturale – oltreché penale – delle persone che compongono i governi; i loro curricula, i loro percorsi di vita. E’ l’unica caratteristica che richiedo ai governanti e che ho la presunzione di saper riconoscere. A volte (non certo in occasione dell’ultimo governo) mi è capitato di percepirla. Se la percepisco mi rilasso; penso ad altro e mi convinco/illudo che persone di alta statura faranno il massimo e il meglio che si possa fare. Si chiama “politica rappresentativa”. Significa che un lavoratore delega ad un professionista la gestione della cosa pubblica, tace per 5 anni, poi torna a “parlare” quando ci sono nuove elezioni.
Ma, anche con i migliori al governo, avrò la certezza che un popolo irrimediabilmente avvilito e incattivito dalla modernità sentenzierà che “hanno fallito”, che sono “tutti uguali” e che devono “andare a casa” facendo anche il gesto “sciò” con la manina ed ergendosi sui social ad economisti, storici, politologi, il più delle volte senza saper distinguere un consiglio dei ministri da una betoniera.
NB: la prima pagina di “Repubblica” è una prodezza stilistica. Onore al merito. E disonore al demerito.