No alla psicosi – La vita è adesso

Esiste un premio per chi, in quest’ultimo mese, non ha intossicato i social a proposito dell’influenza asiatica, non ha pubblicato vignette spiritose(***) con cinesi, con mascherine, con la birra Corona; non ha ritwittato comunicazioni del ministero della salute, cartine con diffusioni del contagio, prese di posizioni di politici o giornalisti travestiti da raffinati immunologi e, tantomeno, indiscrezioni di fonti incerte su possibili sviluppi e dati misteriosi tenuti secretati da “essi” (chi?) per non farli sapere a “noi” (ma noi chi???) ?

Esiste un premio per chi ha rimosso quella parola dal proprio linguaggio, come se dire “cxxxxxxxxxs” fosse esso stesso una fonte di contagio?

Esiste un premio per chi ha continuato a frequentare (per quanto gli è stato concesso di fare) i ristoranti, i bar, le palestre, gli uffici e l’umanità in generale?

Esiste un premio per chi non ha modificato la propria percezione del concetto di “ristorante cinese” o di “prodotti made in China”?

Esiste un premio per chi andrebbe a Codogno o in Cina oggi stesso e in qualsiasi altro momento, posto che ci fosse un motivo interessante per farlo?

Esiste un premio per chi non si è mai messo la mascherina, non si è mai dato l’amuchina (vivendo in luoghi dove ci si può lavare), ha fieramente avversato ogni notiziario telegiornalistico o internet che parlasse dell’influenza?

Esiste un premio per chi, facendo un lavoro di contatto con l’utenza, si è dato pienamente disponibile a continuare a farlo senza accampare esigenze di ipertutela e interessandosi più al servizio da fornire, richiesto e pagato dalla collettività, che della difesa di propri presunti ed autoproclamati “diritti”?

Esiste un premio per chi è stato più spaventato dallo spavento dei suoi simili che dal pericolo di contrarre l’influenza?

Esiste un premio per chi pensa che passare una settimana nella Terra dei Fuochi o a Taranto vicino all’Ilva sia più pericoloso che passare un anno a Pechino? Che, di un viaggio in Cina, la parte più pericolosa sia arrivare in macchina a Malpensa? Che se si svolgono tornei sportivi in luoghi assediati dall’ebola o dall’aids si possa giocare anche a Torino?

Esiste un premio per chi ha un padre miracolato da 40 anni in un petrolchimico senza aver contratto il mal d’amianto che ha falciato un numero allucinante di suoi compagni di lavoro e pensa che se è sopravvissuto a questo senza “provvedimenti” e “precauzioni” possa anche affrontare questo virus con un po’ di fatalismo?

Esiste un premio per chi è stato disgustato dalla frase “Non dobbiamo farci prendere dal panico ma dobbiamo valutare ogni elemento con grande attenzione” (che ha il sublime pregio-difetto di non significare assolutamente nulla e che è la più in voga per chi vuole sembrare saggio)?

Se esiste un premio per tutto questo mi candido orgogliosamente a vincerlo.

Questa vicenda è stata spaventosa. Nella prima parte è stata spaventosa perché – dalle notizie che filtravano e dall’ipersensibilità dimostrata dagli stessi cinesi – si è avuta l’impressione che l’influenza di stagione potesse essere la peste nera che avrebbe decimato l’Umanità (posto che questa evenienza possa considerarsi così tanto negativa). Ricordo che negli anni Dieci (“Spagnola”), negli anni Cinquanta (“Asiatica”) e negli anni Ottanta (“Cinese”) del Novecento l’influenza di stagione causò milioni (mi-li-o-ni) di morti nella popolazione più debole e miliardi di giornate sulla tazza del water per tutti gli altri. Venne sempre considerata notizia da relegare al massimo nelle pagine “salute e bellezza” dei quotidiani o a titoli di giornale soft del tipo “mezza Italia a letto col virus”.

Poi è arrivato il resto dello spavento. Il delirio dell’Uomo Moderno. L’Uomo che in pochi decenni ha potuto volare, solcare gli oceani, raddoppiare la durata della vita media, comunicare in un istante con tutte le persone del mondo, comprare a 500 metri da casa il cibo caratteristico di tutto il mondo, modificare con la chirurgia i propri connotati, conservare la potenza sessuale maschile per tutta la vita, eliminare dalla propria esistenza concetti come fame, freddo, caldo, buio, animali feroci, ecc. Questo Uomo mezzo semplice e mezzo strano non ha tollerato di essere messo nel sacco da un virus, il più piccolo degli organismi della catena della vita. E la sua reazione è stata scomposta come non mai.

Il nuovo virus cinese ha soddisfatto alcune pulsioni umane, arrivando ad essere la risposta ad alcune esigenze primarie dell’uomo moderno.

  • L’aspetto favolistico. Una malattia che viene dal Lontano Oriente, da un popolo strano che ci ha da tempo praticamente colonizzato e invaso, ma di cui sappiamo pochissimo. Il virus viene presentato in TV e sui giornali con un disegno che ormai tutti conoscono ma che non ha senso, perché non si può disegnare un virus, tantomeno colorarlo. E’ solo teatro. Molte persone sono appassionate di film di fantascienza e di thrilling (che personalmente detesto). Siamo i bambini a cui raccontano favole con orchi e streghe; siamo gli adulti che guardano i film dell’orrore o che si fermano ai bordi della strada per vedere gli incidenti. La vicenda virus ripete gli stilemi di quei racconti: il panico, i colpevoli, gli eroi, l’emergenza. E consideriamo che una bella conversazione su una malattia è il nutrimento più pregiato per tante persone spesso a corto di argomenti migliori. Provate a dire a chiunque che vi fa male un ginocchio e vi troverete coinvolti in una sarabanda di cognati claudicanti, di cugini col menisco, di amici con infiammazioni, di umidità che fa scricchiolare la nonna, ecc.
  • Il virus ha dato a molti soggetti poco intelligenti e poco istruiti la possibilità di sembrare più intelligenti e più istruiti. Siccome si è parlato di niente, le notizie erano frammentate, contraddittorie, confuse. Ecco che – con un po’ di personalità e un telefonino sempre collegato alle modernità più audaci – quello che al bar è stato sempre bollato come un coglione può diventare uno che sa l’ultima notizia, quella che potrebbe cambiare tutto, la info preziosa che è meglio sapere prima degli altri, quella che ti mette al sicuro o quella che, per primo, ti porta fra coloro che “sanno” qualcosa di potenzialmente importante (es: “sentito??? C’è il primo caso anche in Belgio!” oppure “Urka!!! Hanno chiuso per sanificazione l’aeroporto di Londra”). Sembra niente, ma è una dinamica umana potentissima. Cosa non si fa per strappare un po’ di attenzione. Pensate alle chiacchiere o ai pettegolezzi nelle compagnie di amici o fra i vip. La notizia è un valore. Ha un prezzo e un costo. Non importa che sia vera o utile, quello è l’ultimo dei problemi. L’importante è che sia “emozionante”. Funziona così anche per le previsioni del tempo, l’oroscopo e altri argomenti basati, come questi, su concetti talmente vaporosi che la differenza fra un intelligente e uno stupido si appiattisce e si annulla. E il fenomeno si autoalimenta.
  • La stampa è (ora) accusata di alimentare la psicosi. L’accusa viene dal pubblico stesso, ovvero proprio da chi ha richiesto e divorato bulimicamente quintali di quotidiani, milioni di click sui siti, ore interminabili di speciali televisivi, premiandoli con ascolti e gradimento massimali. Coloro che richiedevano con forza notizie (che si pagano sempre, anche se spesso in modo non visibile) ora si lamentano che queste notizie erano troppe o esagerate. Che qualcuno doveva limitargliele, anche se loro ne avrebbero chieste e pagate ancora. Mi sembrano bambini che accusano la mamma di aver dato loro troppa cioccolata.

I giornali devono vendere. La televisione deve fare ascolto. I siti devono accumulare click. La stampa e la tv danno quello che la gente vuole, chiede e premia con l’acquisto. Se chiede panico loro danno panico. Se chiede paura danno paura. Quando chiederanno rassicurazioni daranno rassicurazioni. Gli organi di stampa che “indirizzano” l’opinione pubblica esistono solo nelle dittature. Esistevano anche in Italia, in tempi di fascismo e anche recentemente di monopolio televisivo Rai. E subivano accuse di libertà e verità violata. Con gli Anni Novanta l’informazione è definitivamente diventata una merce che si vende e si compra, come tutte le altre. E’ economicamente irrilevante che sia vera, sana, costruttiva, etica. Se il popolo la chiede, qualcuno la deve dare, da qualche parte se la procurerà. Il popolo decide cosa diranno i giornali e le TV. E’ un’ultrademocrazia comandata (ahimè) dai popoli. La psicosi da virus è stata autoindotta dai popoli stessi. E che finirà nel momento stesso in cui il pubblico non premierà più con l’ascolto quel tipo di notizia e di trasmissioni. Si passerà ad altro anche se l’epidemia continuerà a fare il suo corso. Si fa così anche per le guerre, per la fame nel mondo, l’inquinamento, per i morti da incidenti stradali o da altre malattie. Per un po’ la cosa interessa. Poi la mente umana ha strumenti per non interessarsene più. E’ un autotutela del nostro organismo: altrimenti impazziremmo.

  • I popoli, quelli occidentali in particolare, sentono un’esigenza recondita e difettiva di autolimitare la frenetica corsa al progresso che hanno intrapreso negli ultimi decenni e che sta mettendo in pericolo l’habitat naturale e le risorse. E’ quasi confortante dire: “Fermiamoci, rallentiamo, chiudiamo, spegniamo, decresciamo, ritiriamoci nelle case, nelle famiglie, nelle nostre città. Evitiamo gli spostamenti, evitiamo le avventure, i grandi eventi, le imprese più ardite, i consumi voluttuari. Autolimitiamo la grande corsa per la vita che facciamo ogni giorno. Se lo stiamo facendo per un falso problema tanto meglio. Serviva comunque rallentare.
  • Alcuni grandi battaglie per l’Umanità rischiano di vederci perdenti. L’ambiente, la pace, la crescita demografica, la disponibilità di risorse, il dissesto idrogeologico… Rischiamo seriamente di venire sopraffatti da qualcuna di queste minacce. Questa ha invece l’aria di una battaglia che si può vincere. Che costerà, come ogni nobile battaglia, un certo numero di vittime, un numero che si avvia, però, ad essere ragionevole, fisiologico, tollerabile. Il tutto potrebbe chiudersi con il superamento del problema, l’uscita dal tunnel, un radioso dopoguerra, la vittoria dell’Uomo.

In tempi così cupi, caricare il nemico virus di una potenzialità stragista renderà più esaltante il momento della vittoria. E c’è gran bisogno di esaltarsi.

 

Ho trovato eccessive quasi tutte le misure prese. Obiettivamente hanno cominciato i cinesi, spaventando il mondo con la loro stessa paura. La cosa che mi rimane più oscura è il motivo per cui una grande potenza mondiale ha autolimitato in questo modo la propria economia e la propria immagine. Non so se anche lì fosse psicosi o se temessero, almeno inizialmente, conseguenze diverse. Mi ha sorpreso che siano stati loro, per primi, a dire “abbiate paura di noi”. Sta di fatto che, anche in Italia, si è deciso di “non essere uomini”. Ovvero si è deciso che la priorità assoluta (e meritevole di uno smodato sacrificio economico e sociale) fosse quella di non prendere l’influenza, rinunciando a molta vita.

Ci siamo privati di ogni certezza: la scuola, i cinema, la musica, lo sport, i viaggi per vacanze, l’aggregazione religiosa e vari altri  servizi anche importanti: insomma tutto quello che ci fa uomini. Abbiamo imparato a diffidare del prossimo, a tenerlo lontano, a non abbracciarlo, a non stringergli la mano, a lavarci e disinfettarci da ogni traccia di altri umani. Si è fermato tutto quello che si poteva fermare, senza contare che lasciare attivo quello che non si poteva fermare (uffici, fabbriche, lavoro, ospedali, trasporti ecc) era sufficiente a rendere inutile aver fermato il resto.

Sono stati terrorizzati dalla possibilità di contrarre l’influenza anche soggetti che fumano, che viaggiano ai 180 in autostrada o guidano scrivendo al telefonino, che frequentano prostitute, che fanno sport estremi, che abitano a fianco ad aziende inquinanti, o in quartieri pieni di gente armata e pericolosa, che vanno in vacanza in luoghi di guerra o flagellati da malattie (batteriche o virali) con conclamate statistiche di mortalità; gente che dorme con gli animali, obesi che si inzottiscono di cibo e rischiano l’infarto ad ogni passo. Tutto è passato in secondo piano in confronto alla possibilità di contrarre un virus che nella quasi totalità dei casi non ha conseguenze gravi.

Visto che ci sono tanti morti negli incidenti, perché non chiudiamo le autostrade? Se ci sono tanti tumori perché non vietiamo il fumo? Se girano l’Aids e le malattie veneree perché non vietiamo i rapporti sessuali? Se l’acqua, l’aria e la terra sono avvelenate perché non chiudiamo le fabbriche? “Eh, ma non si può” dirà qualcuno. Ecco. Non si può. Per rimanere uomini quelle cose (e taccio delle armi) sono necessarie e quelle sono conseguenze collaterali inevitabili. Invece si ritiene possibile rinunciare alla scuola, allo sport, alle vacanze, agli abbracci, alla musica, all’arte??? Follie.

Ma tu come avresti fatto?

Come dicevo ho ritenuto da subito eccessive le misure di contenimento prese. Per esempio chiudere le scuole, ma non isolare i bambini (che sono andati in giro aggregandosi liberamente fra loro) non può aver dato risultati utili. Chiudere uno stadio, ma tenere aperti uffici, mense, ristoranti, aeroporti, stazioni, pullman, ospedali, ecc ha solo privato le persone dello spettacolo sportivo senza risolvere nulla.

Io avrei dato qualche consiglio di profilassi, che fa sempre bene, a prescindere dal virus, e poi avrei aspettato serenamente e fatalisticamente che la natura decidesse il nostro destino. Se era davvero la peste nera far finta di non essere animali sociali, abortire all’idea di vivere, non ci avrebbe comunque salvato.

Non dimentichiamo che la vita è una malattia mortale. La vita va vissuta con l’anima tra i denti. Quando la morte arriverà dovrà trovarci giovani e vivi. Deve trovarci uomini e donne combattenti, coraggiosi e consapevoli del nostro destino mortale, pensanti, amanti, creativi fino all’ultimo dei nostri giorni, per poter morire una volta sola e non un pochino tutti i giorni.

Invece questo virus ha evidenziato nostre inaspettate parentele con i conigli, con quelli che hanno paura di tutto, non combattono mai e sanno solo scappare.

La vita è adesso.

 

 

(***) un’unica eccezione si è avuta prima della settimanale serata di poker al bar. Nella chat whatsapp degli amici, con riferimento ai giocatori più fortunati, ho scritto “In ossequio alle regole di prevenzione sanitaria tutti i giocatori sono pregati di lavarsi le mani e di non sculare”. E’ stata l’unica debolezza.

 

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