Covid anestetico globalizzato: L’ultima chance per sognare il futuro
Riepiloghiamo:
siamo sotto tiro di 9 potenze nucleari (Usa, Russia, Gran Bretagna, Francia, Cina, India, Pakistan, Iran, Corea del Nord in ordine di apparizione) prevalentemente in mano a leader antidemocratici e squilibrati e taccio di eventuali poteri non governativi che potrebbero aggiungersi alla lista; sotto tiro di decine di formazioni terroristiche piene fino ai denti di armi e di odio; abbiamo una inquietante sovrappopolazione del pianeta; la situazione di ghiacci, mari, terreni, aria è drammatica; siamo assediati da popolazioni straniere che premono ai confini; viviamo in una zona sismica e in grave dissesto idrogeologico; il sistema economico non permette alcuna forma di certezza per il futuro; perdiamo costole di gioventù che cadono per strada negli incidenti; i flagelli sociali dell’obesità e dell’analfabetismo di ritorno non ci danno tregua; metà del pianeta è vittima di un virus che si chiama “fame” per il quale non viene distribuito il vaccino, noto col nome di “cibo”.
Potrei andare avanti, ma mi fermo qui.
In questa situazione, per due interi e lunghissimi mesi (e chissà per quanto ancora) il nostro unico problema è stato quello di non prendere la polmonite. Non abbiamo pensato ad altro.
Già questo dà la dimensione di un gigantesco anestetico globalizzato, come per decomprimersi da problemi planetari che apparivano (e torneranno ad apparire, dopo questo delirio) di difficilissima soluzione.
Ovviamente nessuno vuole prendere la polmonite.
Ma nessuno vuole avere incidenti stradali (eppure viaggiamo con l’auto e le moto, spesso con poca prudenza) nessuno vuole prendere malattie batteriche (ma andiamo in ferie in Paesi con situazioni igieniche disastrose), nessuno vuole farsi male (ma molti praticano sport di contatto o comunque connessi a rischi), nessuno vuole prendere malattie veneree (ma molti hanno rapporti sessuali che sono sempre un fattore non indifferente di rischio, “anche usando il preservativo” come mi disse il medico dell’associazione che mi rifiutò la donazione di sangue per questo motivo); nessuno vuole prendersi un tumore al polmone (ma molti fumano, o vivono vicino a stabilimenti a rischio o ci lavorano dentro); nessuno vuole rimanere coinvolto in un conflitto (ma in tutto il mondo votiamo politici che in maggioranza li promuovono); nessuno vuole avere un infarto (ma molti mangiano in modo smodato).
Insomma tutti conduciamo vite che contemplano una rilevantissima quota di rischio.
Lo facciamo perché lo riteniamo connesso alla nostra esperienza umana. Tutti sanno che rischieremmo di meno a non andare in macchina, a non avere rapporti sessuali, a non fumare, a non bere alcolici, a non mangiare carne o grassi, a non avere un cane in casa o mille altri comportamenti che “sarebbe meglio di no”.
Ma siamo a questo mondo per vivere bene, non per battere il record di durata della vita stessa.
Se pensate ad un tentativo di eliminare le automobili, le sigarette, il sesso, l’alcool, gli sport estremi… sentireste una levata di scudi “Eh no! E io come faccio senza???”
Perché riteniamo che un approccio (perlomeno “consapevole”) a questi comportamenti ci tolga (forse) vita in “lunghezza”, ma ce ne aggiunga in “larghezza”, in pienezza, in qualità, in bellezza. “Dicono i dottori che una sigaretta dopo pranzo fa bene!” diceva mio nonno accendendosela. Voleva probabilmente intendere “se non fumassi probabilmente mangerei dei dolci o comunque il mio umore sarebbe talmente modificato che, a questo punto, una sigaretta è il minore dei mali”.
Invece per il virus non si è badato a spese. Abbiamo rinunciato a tutto, alla nostra umanità. Per non prendere la polmonite abbiamo accettato qualsiasi prezzo, anzi, spesso ne abbiamo chiesti dei più alti, arrotondando per eccesso tutte le imposizioni ministeriali, già di per loro le più estreme che si fossero mai promulgate.
Perché lo abbiamo fatto? Perché tutto il mondo ha trovato questa incredibile comunità di intenti?
A mio avviso il problema sta proprio nelle prime righe. L’Umanità era assediata e atterrita da problemi disastrosi e non trovava in sé le forze per prendere i provvedimenti epocali che sarebbero serviti per risolverli.
Occorreva la discesa di un entità che avesse le caratteristiche di un Messia, un Salvatore. Una forza spaventosa e oscura da temere e da rispettare, ma in nome del quale riuscire a emendare alcuni comportamenti. E che ci desse speranza in un “dopo” migliore. Perché “cambiare” (lo sapevamo e lo sappiamo tutti) è l’unica ancora di salvezza possibile.
Adesso che il virus ce l’ha regalata non vale più la pena di chiedersi se la preoccupazione è stata congrua al pericolo. Adesso la possibilità di “cambiare” c’è ed è gigantesca. Il mondo è chiamato a non mancarla.
Per essere realizzata l’utopia va prima sognata. Andiamo. Tocca a noi.