Torneremo ancora a cantare???
Il documentato e appassionante dossier del dottor Mazzucco rivela uno dei motivi per i quali ci troviamo in questa situazione: ovvero la speculazione economica dei produttori di vaccino (in primis) e degli altri commercianti di prodotti e servizi che si sono avvantaggiati durante la crisi sanitaria (elettronica, comunicazioni, commercio on line, presidi sanitari, ecc). Il tutto protetto da una politica succube e connivente (Draghi) quando non totalmente e criminalmente instupidita, emotiva, fanatica e impreparata (Roberto-Mengele-Eichman-Speranza, Conte e Zingaretti).
Un ruolo determinante è stato svolto da un’opinione pubblica (tv e giornali cosiddetti “mainstream”) che ha compattamente partecipato a costruire una narrazione sovreccitata e allarmistica che ha ricalcato gli stilemi dei kolossal catastrofisti cinematografici (di grande successo), garantendo ascolti, gradimento e fidelizzazione di un pubblico che “chiedeva paura” e “comprava paura” in forma praticamente esclusiva, trascurando qualsiasi altro tipo di messaggio.
Con una ragionevole dose di complottismo i dati del dottor Mazzucco e la semplice osservazione di fatti conclamati consentono di delineare un secondo potenziale motivo: l’instaurazione di un controllo politico-sanitario che alcuni soggetti potranno esercitare sull’umanità intera, sottoponendola a periodiche (annuali o addirittura semestrali) ingressioni di liquidi esterni nell’organismo. Un liquido che oggi (forse, probabilmente, speriamo) contiene la difesa dal covid, ma in futuro potrebbe contenere qualsiasi cosa, virtuosa o nociva per le persone, secondo una scelta di aziende multinazionali private, (“private” anche… di scrupoli), che sfuggono alla possibilità di essere controllate dai governi e dalle altre associazioni di tutela, perché perdenti nel confronto delle conoscenze scientifiche, delle tutele giudiziarie e dei mezzi per intervenire su eventuali abusi. Un potere totalizzante, simile a quello di chi possiede armi di distruzione di massa.
Il terzo motivo, però, è quello indispensabile per sostenere gli altri due ed è quello che mi ha da subito maggiormente intrigato. Il fattore che ha reso possibile far digerire il vaccinazismo, la demenziale carnevalata mascherata, l’invasione senza precedenti del fascismo sanitario sui nostri più intimi comportamenti personali. Perché senza un’adesione convinta, entusiasta, militante e quasi unanime dei popoli nessun “Potere” sarebbe stato talmente forte da imporre così traumaticamente un nuovo ordine. Senza il Terzo Motivo di Fatima il meccanismo non sarebbe scattato con questa forza.
E’ stato quindi necessario che il nuovo ordine fosse seducente. Non fosse solo un agglomerato di privazioni e sofferenze, perché altrimenti vasti strati di umanità non l’avrebbero accettato, sarebbero divenuti conflittuali e antagonisti e l’opposizione non si sarebbe limitata a folkloristiche minoranze (come è avvenuto in Italia), ma avrebbe coinvolto ambienti (si pensi a estreme destre, estreme sinistre, avanguardie democratiche, movimenti culturali, giornali, reti televisive, aziende di settori ricchi e nevralgici atterrati dalla crisi, come il turismo o la moda e, penso, tutto quanto attiene ai trasporti) e opinionisti di prestigio, fieramente liberi e incorruttibili, tradizionalmente ostili a disegni sovranazionali mondialisti, globalizzati, turbocapitalisti, liberticidi e antidemocratici.
L’emergenza, a molti, è piaciuta tantissimo, da subito, per motivi che esulano dalla tutela dalla malattia. Tanto che una parte rilevante delle bestiali limitazioni imposte rischiano di rimanere parte integrante del nostro vivere anche dopo la fine dell’emergenza (o meglio: dopo la fine della convinzione condivisa che la situazione sanitaria sia tale da legittimare un’emergenza). E questo per esplicito gradimento e richiesta dei popoli stessi.
L’emergenza sanitaria ha presentato subito tutta la struttura fascinosa propria dei miti religiosi: il mistero (da dove viene? Come si propaga? Come ci si può difendere? Quanto durerà? Ci salveremo?…), i simboli (la mascherina del cazzo portata quando non serve – ovvero sempre – come messaggio visibile e bandiera di un’appartenenza), i riti (lavarsi le manine, salutarsi col gomitino da mentecatti), i sacerdoti (gli imbonitori televisivi della falsa scienza, i premier che “ci tutelano” con i dpcm), la promessa di redenzione (“se obbedirete e direte bene le preghiere #andràtuttobene”, come disse il profeta centravanti Caputo nel suo gol sacro agli italiani), i miscredenti da odiare (“negazzzionisti!”).
L’emergenza sanitaria ha impattato su una popolazione che, nell’ultimo ventennio, ha bruscamente accelerato una propria evoluzione antropologica e tecnologica che richiedeva (a prescindere dalla situazione sanitaria) una ridiscussione rapida degli stili di vita, che presto ci sarebbe probabilmente stata lo stesso.
Molti degli obblighi imposti dal psico-neuro-fascismo sanitario sono stati resi possibili solo da tecnologie diffuse negli ultimi vent’anni. Se il covid, invece che “19” fosse stato “89”, non sarebbe stato possibile lavorare da casa, emettere disposizioni con efficacia dal giorno successivo, erogare sussidi, far funzionare un minimo di attività scolastica, contenere l’insopprimibile esigenza dei più giovani di mantenere i contatti fra loro, conservare relazioni attive di natura artistica, politica, affaristica, ecc. E ce la saremmo dovuta cavare in qualche altro modo.
Oggi lo si può fare grazie ai device elettronici che da pochi anni gli italiani (come la maggioranza dei cittadini del mondo) hanno costantemente in tasca o, più frequentemente, in mano. Oggetti che racchiudono una conoscenza e una potenzialità superiori a quella che solo 30/40 anni fa avevano a disposizione gli uomini più potenti del mondo.
Oggetti capaci di consentire agli uomini di lavorare, di studiare, di informarsi, di divertirsi, di comunicare, di procurarsi stimoli sessuali, di giocare, di creare community trasversali, di creare mondi virtuali paralleli alla vita reale caratterizzati da parametri e protagonisti inseriti dal soggetto stesso secondo suoi gusti e sue scelte, capaci di escludere tutto ciò che non interessa e non piace.
La realtà virtuale è talmente seducente che spesso gli esseri umani hanno più occhi per essa che per la realtà circostante (che propone eventi “random”, non facilmente filtrabili), anche nei momenti in cui la vita “vera” offre i suoi momenti più emozionanti: un evento sportivo, un concerto, una festa, una cerimonia, ecc, che vedono quasi sempre la maggioranza dei partecipanti incapaci di staccarsi dalla loro “second life” elettronica.
Molti italiani, durante la crisi sanitaria, hanno realizzato che
- non era poi così necessario viaggiare molto o andare in vacanza (un relax felice si è scoperto reperibile molto più vicino, con molti meno costi, con molti meno pericoli, ora che l’emergenza sanitaria promuove lo status di chi non fa vacanze da “poveraccio” a “saggio, prudente, alternativo, resiliente”, cosa importante per chi andava alle Maldive prevalentemente per dire a tutti di esserci andato);
- non è così importante frequentare i luoghi di svago e spettacolo: la proposta su piattaforme digitali si è fatta interessante come non mai e la frequentazione di certi eventi può essere felicemente evitata o riservata a rare occasioni, perché non più causa di una censura o di un declassamento sociale, cosa importante per chi faceva l’abbonamento al teatro o alla palestra solo per la riconoscibilità connessa a quelle appartenenze;
- eventi sportivi (idem);
- ritualità a volte accettate per mero desiderio-obbligo di appartenenza sociale come compleanni, matrimoni, comunioni, battesimi, festicciole per bambini, ritrovi di parenti per le festività comandate…
Tutte cose costose, stressanti, spesso foriere di noia e frustrazione, che possono essere “asciugate” e riservate ai soli casi di appartenenza felice e consapevole, scartando tutte le altre con meno scrupoli e meno conseguenze negative. La frase “eh… con ‘sto covid…” aggiusta tutto quanto non interessi pienamente.
I giovani sono i più accaniti utilizzatori delle nuove tecnologie. Le padroneggiano da quando sono nati. Giocare un torneino di calcio digitale con avversari di tutto il mondo è cosa che per loro va considerata normalissima. L’emergenza sanitaria li ha costretti a limitare le frequentazioni “fisiche”. Si sono adeguati con disciplina veloce, inaspettata e sorprendente. Un tempo sarebbero andati a sparare pur di recuperare luoghi e tempi della loro affermazione sociale, che oggi corre quasi tutta sui computer ed è, pertanto, rimasta in buona parte intatta.
Ci sono però alcune “cose” che al computer non si possono fare! Vero. Ma anche la conquista degli spazi nelle dinamiche sessuali è profondamente cambiata. Un tempo la schiuma di ormoni portava i giovani maschi (e anche le giovani femmine) ad una corsa ai luoghi della potenzialità di incontri random (discoteche, feste e simili); ora di random c’è meno. Ogni situazione è programmata da una fitta rete preliminare di comunicazioni digitali e gestita con esse anche mentre si svolge. Non c’è più bisogno di ritrovarsi in seimila al Bandiera Gialla di Rimini, se poi le persone con cui devi avere a che fare sono al massimo una cinquantina. Meglio selezionarle prima e passare direttamente a incontri più ristretti, con la “benedizione” dello stato di emergenza e del “Comitato Tecnico Scientifico”. I giovani sono diventati (preoccupantemente?) bravissimi a giocare su questi binari.
Il lavoro impiegatizio ha modificato le sue dinamiche, eliminando o limitando le pressioni insite nella vicinanza fisica nei luoghi di lavoro: le riunioni, i rimproveri, i controlli, la disapprovazione del gruppo, le tensioni che scaturiscono da coesistenze negli stessi ambienti. Dietro gli schermi (o nelle stanze ovattate, con presenze distanziate, mascherate e asettiche) tutto è anestetizzato e il ragionier Fantozzi può annullare il suo limite di personalità recuperando appeal e considerazione.
Sono meccanismi che ho percepito dal primo momento, con una nitidezza che mi ha reso incredulo nel vedere come tali messaggi non giungessero allo stesso modo a chi è sicuramente più intelligente, colto, informato e sensibile di me. Eppure è andata così.
I democratici, ad esempio, hanno trovato nel clima drogato di emergenza una sorta di esaltante “prova nazionale” che alle attuali generazioni era sostanzialmente mancata, coincidendo essa, di solito, con una guerra che, per fortuna, nessun italiano può dire di aver vissuto. Stringiam’ci a coorte, ritroviamo un orgoglio nazionale, agitiamo le bandiere, comportiamoci individualmente in chiave di utilità collettiva, vedi hastag minimizzanti come #trepiccoleregolette, infantili come #iostoacasa #iomiproteggo #iomivaccino… #io sono sto cazzo, se devo ogni volta ostentare e sbandierare un predominio culturale sistematico e inevitabile che si ritiene di possedere in una qualsiasi gara di altruismo e di coscienza collettiva. Il popolo di sinistra, in questo, si sente imbattibile, e di solito lo è in senso positivo. Di solito.
Nel 2020 scrivevo periodici “pipponi” di denuncia, poi ho smesso, immalinconito dall’inscalfibilità del mio pubblico di riferimento, che si negava a un confronto e non ammetteva crepe sul muro del nuovo credo. Li rileggo adesso e sento di poterli confermare tutti. Evidenziavo come alcune categorie si fossero fiondate nel godimento di alcuni aspetti dell’emergenza tali da far loro chiudere un occhio su tutti gli altri.
Il riscatto dei sociopatici (il cui “distacco” dalle altre persone nella riluttanza a stringere la mano o toccare o abbracciare il prossimo in tempi di psico-emergenza passa da “altezzoso, snob, antipatico, sfigato” a “prudente, consapevole altruista”); il riscatto degli ultrà delle famiglie “mulinobianco” (che hanno moltiplicato il tempo da dedicare a figli e affetti conviventi, in un ambiente casalingo ovattato e rassicurante); il riscatto dei pelandroni (la deroga al “patto di stabilità” ha permesso di diminuire il PIL nazionale e con esso, per molti, le fatiche e gli stress legati al lavoro, con torrenti di denaro pubblico a beneficio di chi non fa nulla, condizione che molti considerano ragion di vita); il riscatto dei mediocri (che recuperano parte del loro “distacco sociale” nei confronti di chi eccelleva in arte, musica, sport, moda, spettacolo, ecc, settori immersi nella paralisi); il riscatto dei falliti (che in un “reset” di economia e società avranno una nuova chance), il riscatto degli ipocondriaci (da “spaccamaroni” a “sentinelle dei comportamenti virtuosi”) e molti altri.
Insomma: “la pannndemia è bella anche se fa male”, come la guerra del generale di De Gregori e come diceva mio nonno, addirittura grato al destino di essere finito dentro il macello di una guerra mondiale per i grandi insegnamenti che da essa aveva tratto e per l’esaltante consapevolezza di essere stato capace di superare quella prova.
Torneremo ancora a cantare? Che mondo ci aspetta li fuori quando (e se) ci toglieremo l’ipocrisia da davanti alla bocca (e anche al naso, se no non vale niente)?
(immagine dal sito azionetradizionale.com)