QPGA – Il bisnonno
Fa mib reb do
Non importa se sapete o non sapete suonare. Prendete un pianoforte, una tastierina per bambini, un flauto, un qualsiasi oggetto sonoro che possa replicare quelle note.
Una sola sequenza: quattro note pure, suonate con un dito solo, senza accordi, senza artifici. Ripetendole una seconda volta qualsiasi persona di almeno 30 anni non avrà più dubbi. Quei due gruppi di quattro note uguali suoneranno come una voce di casa, come una stella fissa, come il quiz musicale dalla soluzione più semplice.
Fa mib reb do… Fa mib reb do…
Se di anni ne avete un po’ di più, diciamo almeno una sessantina, queste otto note sono la combinazione segreta capace di aprire la cassaforte che contiene il valore più prezioso: i ricordi della gioventù.
Fa mib reb do… La cassaforte si apre e siamo in vacanza. Il contenuto esonda e vi travolge. Se quella sequenza di note vi colse, in quel 1972, già innamorati e ricambiati allora tutto avrà la forma di lei o di lui, di quel tachicardico e potentissimo mix ormonale di baci, contatti, sogno e passione.
Ma se non avete la fortuna del ricordo di un amore “propriamente detto”, la cassaforte restituirà quantomeno le immagini di mamma e papà, o dei nonni, degli amici, di un’utilitaria, di una spiaggia, di una scuola, di una cameretta, di un giradischi, di una festicciola, di quella frugalità di abbigliamenti e divertimenti, tipica di quei primi Anni Settanta, che nascondeva oceani di speranze.
A trovare quella sequenza magica – che in 50 anni non ha ancora smesso di aprire le casseforti della gioventù innamorata – fu un ragazzo romano di vent’anni che nessuno conosceva. Figlio di una sarta e di un carabiniere immigrati dall’Umbria. Senza soldi per comprare un fratellino, senza padrini, senza raccomandazioni, senza un cognome famoso. Ma invaso di talento e d’amore tali da travolgere tutti gli ostacoli, da “cercare mai rassegnato occasioni” (cit.) per far sentire al mondo quello che aveva da dire.
Fa mib reb do… è il devastante e riconoscibile inizio. Poi viene tutto il resto. Una costruzione musicale innovativa e “difficile”. “Sembrava venire dallo spazio” riconobbe con brillante metafora un prestigioso collega come Ron. Le parole sono quelle della sensualità più moderna, che il ’68 aveva in parte sdoganato: le “mani ansiose di cose proibite”, la “paura e la voglia di essere nudi” i “baci a labbra salate“, la “maglietta stretta da cui si immaginava tutto”…
Si parla di ragazze, di spiagge, di turbamenti sensuali, di amorazzi, di pomiciate… Cosa c’è di speciale in tutto questo? Com’è possibile intravvedere il genio e il rivoluzionario in un giovanotto carino che canta la cosa più ovvia (l’amore adolescenziale) in un mondo arroventato da tensioni politiche, sociali, economiche, militari, etiche, razziali, religiose? in un tempo in cui la generazione dei liceali e degli universitari taglia i ponti col passato e chiede di poter contare e decidere?
Claudio, lo capiremo col tempo, ha la straordinaria coscienza e conoscenza delle proprie potenzialità. Prima mette a posto l’equilibrio personale: abbaia alla luna dell’amore meglio di chiunque altro prima e, a tutt’oggi, meglio di chiunque altro dopo. Con le sue sequenze magiche riempie gli stadi, fa soldi, tocca sul cuore i ragazzi, dove “ragazzi” è una parola che comprende chiunque voglia esplorare le oscurità e le luminosità dei propri sentimenti, a prescindere dall’età anagrafica.
Solo la corposa lobby della cultura impegnata e militante dell’epoca gli sbatte la porta in faccia. Secondo costoro non potrà essere una maglietta fina ad eccitare i sogni di rivoluzione. Claudio ne soffre e il “fumetto virtuale” sopra la sua testa sembra dire: “L’amore esisterà anche nel mondo rivoluzionario che state costruendo e quindi non c’è niente di male ad occuparsene ma vi vorrei dire che ho scritto di guerra, di pace, di vecchi, di ambiente, di solitudini, di ingiustizie, di degrado, di internazionalismo… concedetemi un po’ di attenzione in più! Anch’io voglio essere parte del cambiamento del mondo!”
Niente da fare. Chi indugia nel romanticismo segaiolo delle magliette fini è, per definizione, distolto dalle tensioni rivoluzionarie. Finisce con l’essere un nemico insidioso al quale concedere al massimo una fruizione privata, segreta e non di rado (lo abbiamo saputo col tempo) affascinata, mentre pubblicamente le magliette fini e i buoni sentimenti finiscono nello stesso bidone delle immondizie di una società da cambiare.
Forse Claudio lo capisce e forse vorrebbe che altre parti del suo repertorio prendessero il sopravvento nell’attenzione della gente. Ma è troppo bravo a comporre sequenze magiche per far saltare casseforti di sentimento. Dopo la maglietta fina Claudio rimane “accoccolato ad ascoltare il mare” in E Tu, regalando alla posterità un potentissimo endecasillabo, ma inducendo i detrattori a storcere ulteriormente il naso e a promulgare la definitiva “bulla di scomunica” quando il borgataro romano si permette di iniziare il suo hit del 1975 con una delle espressioni più dolciastre della canzone italiana: “Passerotto non andare via!” . Un’immagine iperindividualista nei giorni in cui tutto si proponeva di divenire esperienza condivisa.
Ma il piano di Claudio è diabolicamente a lungo termine: il mostruoso talento, le nitide visioni, la solida pazienza, le scommesse ardite gli consentono di rimontare a poco a poco un “gruppo impegnato” da cui, con il riflusso degli Anni Ottanta, molti artisti si sfilano stanchi e delusi, mentre lui si pone al comando di una modernità innovativa, dettandone nuove regole e caratterizzandosi per un forte impegno sociale.
Oggi Claudio ha totalmente realizzato il suo tenace e faticoso percorso di credibilità nei multiformi aspetti della sua genialità di compositore di musiche, di letterato, di performer, di comunicatore, di detentore di un ruolo morale di “vate carducciano” di una cultura popolare nazionale che, grazie a lui, ha conquistato ulteriori e sublimi nobiltà.
Nei suoi spettacoli dal vivo l’esecuzione dell’archeologica QPGA ha spesso le sembianze del devoto omaggio che si fa al bisnonno ormai rincoglionito, ma senza il quale tutto il resto non sarebbe esistito.
Fa mib reb do… è la sequenza che continua a far saltare i meccanismi di tutte le casseforti.
La formula chimica dell’amore.
Diavolo di un Claudio, ma che gl’hai fatto tu a quest’aria che respiriamo da cinquant’anni???