Non è un volley per sani

Ottobre 2021. Una persona sana (io) in un Paese sano (l’Italia, con livelli standard da mesi di ospedalizzazioni e decessi), decide di recarsi al Palasport per vedere la pallavolo.

Nonostante io sia sano in un Paese sano, all’ingresso mi verrà misurata la febbre e sarò obbligato a fornire i miei dati personali. Poco male per la misurazione della febbre, perché il personale che se ne occupa è cordiale e accogliente e io sto sempre sotto i 36°; e poco male il rilascio dei dati, che sono segreti di Pulcinella, perché glieli ho già lasciati mille volte, vengo in questo impianto da prima che lo inaugurassero, mi conoscono tutti e, all’occorrenza, se li potrebbero procurare in due minuti. Non serve a niente, ma ci metto un minuto e porto pazienza.

A questo punto mi viene chiesto se ho fatto un vaccino. Io non l’ho fatto, comportamento del tutto legittimo e legale. Mi propongono, in alternativa, di fare un tampone per ratificare la mia condizione di soggetto sano in un Paese sano. Mi sembra ingiusto ed eccessivo, ma se costerà poco (diciamo un euro, che considererò come una covid-tax che spero vada in ricerca e salute), posso anche collaborare e sottopormi alla punzonatura del naso, sperando che il paramedico di servizio non sia uno dei sadici che ogni tanto si incontrano.

A questo punto sono sano, in un Paese sano, con tanto di attestazione di persona sana e mi accingo a entrare in un luogo popolato solo da persone certificate sane.

Eppure continuano a considerarmi malato. Non posso sedermi vicino a nessuno, nemmeno ai miei familiari; non posso abbracciare nessuno, non posso dare il cinque ai giocatori a fine partita. E nonostante tutto questo mi obbligano a tenere un osceno straccio sulla faccia di cui, da un anno e mezzo, non si è riusciti a capire e misurare l’efficacia. I dati dei Paesi che non lo hanno imposto sono gli stessi (o anche migliori) rispetto a quelli abitati da cavalieri mascherati. Ogni volta che se ne è sospeso l’uso (frequenti gli episodi legati agli eventi sportivi, a partire dagli Europei di calcio, ma basta fare un giro in una qualsiasi delle nostre spiagge) non si sono mai patite conseguenze. Viceversa sono numerosissimi i casi di soggetti ammalati nonostante il più rigoroso utilizzo del “presidio”. Il nostro Paese, fra i più rigidamente mascherati, ha avuto i dati sanitari peggiori del mondo. Peraltro anche il caso (ripeto: non verificato e improbabile) che la museruola desse un minimo contributo al contenimento del problema virale, la sua bruttezza, la sua scomodità, la sua disumanità, i valori lividi che trasmette (“io ho paura di te, tu devi avere paura di me”) non mi avrebbero consentito di accettarla. Da sano, in un Paese sano.

Faccio radio-telecronache dal 1986, sono trentacinque anni. Ho smesso lo scorso anno, perché pretendevano di imbavagliarmi. Ho rifiutato e non sono andato più al palazzetto. Privarmi del mio sport preferito, delle mie compagnie, del mio hobby professionale, di una piccola fonte di reddito è stato doloroso, ma pensavo di dover resistere pochi mesi. Alla ripresa del campionato, invece, mi trovo ancora in una situazione di psicosi stabilizzata a tempo indeterminato, come se fossimo ancora nel cuore dell’emergenza, come se non si fosse vaccinata tutta la popolazione debole, come se non si fossero adeguati i protocolli di cura, come se la paura di prendere una malattia virale (esperienza noiosa ma standard, nella vita degli umani) fosse ancora una preoccupazione in nome della quale brutalizzare a tempo indeterminato la vita economica, sociale, sportiva, culturale, musicale, artistica, scolastica, ludica del Paese con le conseguenze gravissime (anche sanitarie per altre patologie) che questo comporta.

Finisce qui. Dopo 35 anni. Per la cattiveria e il fanatismo degli uomini.

Non potevo adeguarmi, non potevo tacere, non potevo tradire Verità e Giustizia. Non è questo ciò che intendo per “pallavolo”. Temo possa non essere questo ciò che intendo per “vivere”.

Forza ragazzi e ragazze della pallavolo di Ravenna. Vi ho voluto bene e ancora ve ne vorrò. A presto, speriamo.

 

(nella foto due che vorrebbero salvare lo sport… annamobbene…)

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