Dante Alighieri, da 700 anni, dorme vicino a me
Il 12 settembre del 1321, 700 anni fa esatti, nella mia piccola città, si spense Dante Alighieri, il poeta, l’intellettuale, il politico, il visionario più importante del suo tempo e fra i letterati più famosi del mondo.
Il suo Eterno Riposo è ospitato da un monumento molto sobrio, eretto nel ‘700 dall’architetto Morigia, nel centro di Ravenna, all’ombra della Basilica di San Francesco, dove si tennero le esequie; luoghi dai quali, quindi, l’Eterno Riposo del poeta non si è mai allontanato.
Il luogo è a pochi passi dal mio ufficio. Mi capita frequentemente di passarci davanti e di spendere ogni volta un pensiero per il mio concittadino più nobile e importante. Anche la storia della mia famiglia si lega a quella di Dante, perché i miei genitori si incontrarono a Ravenna nel 1965 (e quindi nel settecentenario della nascita) e il primo regalo fra i giovani fidanzati fu una copia ben rilegata della Divina Commedia, sulla quale io stesso ho svolto poi i miei studi alle scuole superiori. Anche i miei genitori, per motivi diversi e opposti, erano “esuli” dai rispettivi luoghi natii e trovarono, a Ravenna, sostegno, accoglienza e futuro.
La cara amica Mirta Contessi, qualche anno fa, scrisse “Dante Alighieri – Il Viaggio Estremo”, un racconto intenso e drammatico che ne ricostruisce gli ultimi giorni di vita, basandosi sulla conoscenza delle fonti documentali, ma integrando le stesse con ricostruzioni tanto romanzate quanto pienamente verosimili, dove si alternano personaggi reali e di fantasia. Fra questi ultimi il servente Menghino, in cui Mirta ha trasfuso il suo senso di dedizione e devozione alla memoria del Poeta.
Il libro è inoltre dotato di accurate ricostruzioni geografiche e ambientali (grazie alle consulenze della professoressa Paola Novara) e contiene una delicata introspezione del rapporto di ciascun essere umano con l’approssimarsi del suo Passo Estremo.
Di questo libro vi propongo l’ultima pagina: la ricostruzione della serata di 700 anni fa esatti che vide Ravenna ospitare, accompagnare e piangere le ultime ore dell’illustre personaggio a cui aveva offerto protezione e conforto.
PS: se vi va di celebrare il Settecentenario del Sommo Poeta con un acquisto intelligente ed economico contattatemi e sarò lieto di favorirvi una copia di “Dante Alighieri – Il Viaggio Estremo” (ed. Supernova).
Sebbene il medico Fiduccio avesse convocato due esimi colleghi: Bartolomeo da Cesena e Vitale da Longiano, i più stimati dell’intero territorio, non fu trovato alcun rimedio che rallentasse il feroce cammino verso la fine. Guido Novello, triste e sconsolato, convocò tutti gli amici, i colleghi insegnanti dello Studio ravennate e gli allievi di Dante, fra cui lo stesso Menghino, per prepararli al triste evento. Chiese ad ognuno di loro di aiutarlo a celebrare il sommo poeta, che si apprestava all’estremo viaggio, con tutti gli onori e con la gloria che gli spettava. Fu in quel contesto che il generoso Podestà lodò Menghino e lo ringraziò pubblicamente per le cure amorevoli che aveva prestato al maestro di tutti i maestri, nel corso di quella fatidica missione.
Il giovane arrossì vistosamente e sostenne a fatica le espressioni di gratitudine che tutti i presenti gli attestarono. Quando il gruppo dei dotti si sciolse e uscì dal palazzo polentano, Menghino si ritrovò con la cerchia ristretta degli amici più cari al maestro. Insieme, camminando a fianco del Novello si diressero verso la cappella del Braccioforte e lì pregarono per Dante e per il destino di Ravenna, ormai nelle mani dei quattro ambasciatori arrivati a Venezia. I frati francescani scesero dalla scala del loro monastero ed entrarono nella bella chiesa, richiamati dal suono della campana.
Dovevano preparare i cori per il giorno successivo quando la Chiesa avrebbe celebrato l’esaltazione della Santa Croce . Negli anni precedenti quella vigilia di un giorno di festa era stata vissuta come un’occasione lieta, ma in quel tramonto l’atmosfera dell’attesa fu cupa ed opprimente, come il cielo all’orizzonte, solcato da nuvole cariche di pioggia.
Dante si era svegliato all’alba di quel mattino ed aveva espresso con voce chiara, senza il solito torpore, il desiderio di confessarsi. Antonia, che lo aveva vegliato per tutta la notte, chiamò la madre e i fratelli, che accorsero vicini al letto, stupiti di quell’improvviso miglioramento. Ma Pietro, il maggiore dei tre figli del poeta, aveva capito che quel risveglio di lucidità era l’ultimo lampo di vita dei moribondi.
Come la fiammella di una candela che prima di spegnersi emana il più vivido bagliore. Come il sole morente che un attimo prima di scomparire regala all’occidente il più splendido dei suoi raggi.
Frate Marco aveva appena cantato le laudi del mattutino quando Jacopo entrò nella penombra della chiesa e cercò di attirare la sua attenzione, chiamandolo in disparte. Gli bisbigliò all’orecchio che quel mattino suo padre chiedeva la sua benedizione e l’estremo sacramento. Il religioso lo rassicurò che avrebbe raggiunto l’abitazione del poeta, portando con sé l’ampolla contenente acqua benedetta. Arrivò poco dopo e rimase a lungo nella camera, seduto accanto al morente, tenendogli la mano. Prima di lasciarlo, dopo averlo a lungo confortato, depose accanto al letto il saio e il cordiglio del terziario, per adempiere all’ultimo desiderio del sommo vate. Con quell’umile veste il divino poeta avrebbe camminato accanto a san Francesco. Dante era appagato da quel silenzio appena sfiorato dal soave mormorio delle preghiere dei suoi cari. Finalmente li aveva tutti radunati attorno a lui. Se ne andò, quella sera stessa, al vespro. Il volto immobile aveva perso ogni durezza; i solchi scavati agli angoli delle labbra si erano colmati, le pieghe della spaziosa fronte si erano stirate. Sembrava ringiovanito. Non era mai stato così bello.
Menghino capì di aver perduto il suo maestro quando tutte le campane di Ravenna iniziarono a suonare, una dopo l’altra. I lenti rintocchi si perdevano nell’aria della sera rendendo più solenne l’atmosfera malinconica. Ora il divino poeta non aveva più bisogno di alcuna guida. Conosceva già il cammino fra le stelle.