L’azzurro non si tocca!

Ritengo che i colori delle divise di gioco delle squadre sportive siano importanti aspetti identitari che andrebbero difesi nell’interesse stesso di chi li utilizza.

Trovo, invece, che ci sia una certa tendenza a maltrattare questi simboli.

Cominciamo dalle squadre nazionali e, in particolare, da quella italiana.

La divisa storica della squadra di calcio, poi mutuata dalle nostre nazionali in tutti gli altri sport, è di colore azzurro, per decisione presa negli Anni Venti del secolo scorso, in onore del colore preferito, per motivi religiosi, dalla casa regnante di Savoia.

Con la maglia di questo colore, i calzoncini bianchi e i calzettoni azzurri la Nazionale ha vinto gli Europei del 1968, i Mondiali del 1982 e ha giocato le finali Mondiali del 1970, del 1994, divenendo una delle squadre (e conseguentemente delle divise) più riconoscibili nel mondo. Quando giunsi con la squadra italiana di beach tennis nella sperduta isola caraibica di Aruba l’organizzazione locale mise a disposizione un’automobile con una serigrafia “Squadra Azzurri”.

Nella finale degli Europei del 2000 l’Italia affrontò la Francia che ottenne, per sorteggio, di giocare con la propria divisa “bleu”, di una sola sfumatura più scura dell’azzurro italiano. La squadra di Zoff venne pertanto costretta, per evitare confusione, ad utilizzare la seconda divisa, interamente bianca ma con bordi e numeri azzurri.

Tutto regolare fino al recente utilizzo sempre più frequente della seconda divisa, quella bianca, anche nei casi in cui non c’è un motivo per abbandonare la prima; oppure di utilizzare una divisa interamente azzurra, anche nei calzoncini.

A Wembley, nella storica finale del 2021, contro un’avversaria inglese in “total white” l’Italia indossò la maglia azzurra, ma con calzoncini neri: un inspiegabile sfregio ad una tradizione così vincente e riconoscibile.

La Nazionale di calcio è uno degli elementi di maggior solidificazione del sentimento nazionale, l’occasione con il più massiccio utilizzo della bandiera tricolore e dell’inno. Modificare la divisa, a mio avviso, sarebbe come modificare i colori della bandiera o il testo dell’inno: l’Italia deve giocare con maglia azzurra e calzoncini bianchi TUTTE le volte che è possibile. Gradirei sapere di chi è la scelta di modificare questa elementare regola di continuità e riconoscibilità. Chi è l’influente soggetto che, durante la riunione tecnica, prende la parola e dispone che l’Italia non usi la maglia azzurra…

A volte anche i telecronisti vanno in difficoltà: “Gli azzurri sono in vantaggio!” “Il tal giocatore fa il suo esordio in azzurro!“. Ma poi li vedi in bianco…

Negli altri sport è, più o meno, conservata la regola della prima maglia azzurra. Il rugby e l’atletica la abbinano prevalentemente a pantaloncini bianchi, nello stile del calcio. Volley, basket e ciclismo, invece, usano l’azzurro totale e, a mia memoria, non hanno mai proposto lo “spezzato” azzurro-bianco.  Sempre bianca, per tutti, la seconda divisa a mio avviso utilizzata troppo spesso e, ripeto, a sproposito.

Nel mondo la divisa più famosa è quella del Brasile, adottata nel 1950 dopo una disastrosa sconfitta contro l’Uruguay che indusse ad abbandonare per sempre la precedente. Al termine di un concorso grafico si optò per una maglia giallo-oro con numeri verdi, calzoncini blu-cobalto e calzettoni bianchi. Unitamente alla carnagione di ogni colore dei calciatori locali si ottenne un effetto cromatico che sottolinea da sempre, alla perfezione, la forza di quella squadra, che indossa la sua prima divisa con grandissima frequenza (quella di riserva è blu, ma gli utilizzi sono rarissimi).

Tutte storiche e di frequentissimo uso le divise delle altre nazionali latino-americane: bianco-azzurra quella Argentina, bianco-rossa quella del Paraguay (queste due fra le poche al mondo a strisce verticali), celeste quella uruguayana, rossa quella del Cile, gialla quella della Colombia, verde quella del Messico.

In Europa i capisaldi storici, con uso praticamente costante sono la Spagna e il confinante Portogallo (entrambi in rosso, con calzoncini blu per la Spagna e verdi o rossi per il Portogallo; in blu la Francia, in rosso il Belgio, in bianco la Polonia, in uno splendido e caratteristico arancione l’Olanda. Storico rosso per l’Urss, poi mantenuto dalla Russia. Rosso “stabile” anche per Turchia e Ungheria. Alternanza rosso-bianco per la Svizzera e l’Austria.

Un po’ ondivaghe la Germania e l’Inghilterra. I tedeschi dell’ovest, nel Novecento, hanno giocato prevalentemente con la sobria divisa con maglia bianca e calzoncini neri (l’Est giocava in blu), ma giocarono la finale del 1986 contro l’Argentina in completo verde. Poi hanno indossato anche il rosso e il nero, mentre la maglia bianca è stata recuperata agli ultimi Europei. L’Inghilterra ha giocato sia in bianco che in rosso, senza caratterizzarsi.

Altro discorso se si passa al rugby, dove le tradizioni sono rigorosissime: azzurro per l’Italia, blu per la Francia, blu scuro per la Scozia, rosso per il Galles, bianco per l’Inghilterra, verde per l’Irlanda. Non si sgarra mai. E neanche fuori d’Europa: bianco-azzurro Argentina, verde Sudafrica, giallo Australia e il favoloso total black dei neozelandesi.

Veniamo ai club italiani. I colori delle squadre sono un vero e proprio oggetto di culto per milioni di tifosi che, non di rado, adattano abbigliamento ed accessori ai colori della squadra preferita. Trovo quindi improprio e autolesionistico che le squadre penalizzino così spesso il loro “brand” indossando divise di altri colori.

Anche in questo caso dovrebbe divenire di pubblica conoscenza il nome del dirigente di ciascuna squadra che sceglie l’abbigliamento di gioco, chiamato così a rispondere al pubblico di riferimento (i tifosi) delle proprie scelte.

A mio avviso la Juventus deve giocare con la maglia bianconera tutte (tutte!) le volte che questo è tecnicamente possibile, così come il Napoli in azzurro, l’Inter in nerazzurro, il Milan in rossonero, la Roma in rosso bordato giallo, la Sampdoria in blucerchiato, la Fiorentina in viola, eccetera. Sono certo che, se interpellati, tutti i tifosi esprimerebbero questo desiderio, ad eccezione, forse, dei giovanissimi, meno legati a questi simbolismi e più aperti alle sperimentazioni.

Qual è l’esigenza di usare un’altra divisa??? Molti rispondono evocando “il marketing”, come se ci fosse un’esigenza commerciale di introdurre una maggior varietà di articoli sul mercato. Va bene. Ma una società “seria”, gloriosa e riconoscibile non deve svendere i propri simboli. Prendiamo la Juve: prima maglia bianconera da usare sempre o quasi sempre; la seconda maglia dovrà essere, ad esempio, bianca con bordi neri o nera con bordi bianchi; la terza (da usarsi in situazioni poco importanti) dovrà comunque richiamare fortemente il bianconero societario. E invece la Juve ha giocato ultimamente in rosso, in rosa, in blu, in grigio… E così anche l’Inter (che ha usato l’arancione, il rosso, il bianco… eppure, in passato, ebbe la buona idea di diversificare la seconda divisa senza perdere identità, proponendo gli stessi colori nerazzurri in fasce orizzontali anziché verticali), il Napoli (con l’estremo assurdo del camouflage) e le altre. A memoria mi sembra che il Milan sia più continuo nel proporre il rossonero o il bianco bordato di rossonero. La specificità della Fiorentina, unica con divisa viola, sicuramente sempre distinguibile da quella avversaria, a mio avviso obbligherebbe quella squadra a non lasciare mai la divisa di quel colore (e invece…)

Un’ultima notazione “campanilistica”: i colori storici di Ravenna sono il giallo e il rosso. La squadra di calcio li ha usati con frequenza (con le solite brutte derive per seconde e terze maglie fantasia), con prevalenza di maglia rossa con bordi gialli. Curiosamente lo sport cittadino di maggior prestigio, la pallavolo, ha snobbato i colori cittadini. La gloriosa Teodora vinse solo 3 dei suoi 11 scudetti con maglia rossa bordata di giallo. Nei primi due giocò in biancoazzurro, per motivi di sponsor e, in seguito, in rosso-bianco. Anche in epoca recente il giallorosso non è più stato recuperato e sono stati usati il bianco, il nero e il blu, cosa anomala se si pensa che i colori dello sponsor Conad sono proprio il giallo e il rosso. Stesso discorso per il Messaggero che, nei primi Anni Novanta, vinse i suoi titoli con due divise speculari: maglia bianca con M gotica rossa o viceversa. Solo verso la fine dell’esperienza venne adottata per poche partite una M gotica gialla su fondo rosso. Negli ultimi 10 anni di militanza nella massima categoria maschile la maglia giallorossa non è stata usata nemmeno una volta.

 

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