Libertà vigilata
Libertà risali a ieri / ma ricordo a malapena / che eri in tutti i miei pensieri / il mio pranzo e la mia cena.
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Sono libero. Non ho avuto la Grazia definitiva, ma almeno 6 mesi di libertà vigilata.
Ho assunto deliberatamente e volontariamente il rischio del contagio e l’operazione mi è riuscita al primo tentativo. Un po’ di fortuna e il mio sistema immunitario, evidentemente molto solido, visto che non mi ammalavo da 21 anni, hanno permesso che la cosa si risolvesse in soli due giorni (il 28 e il 29 dicembre) di febbre leggera, che ho curato con 6 compresse di Vivin C.
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Per i problemi di affollamento dei centri di rilevazione e per l’infame sospensione del mio medico di famiglia, dottor Luca Graziani – che ringrazio per la disponibilità, la professionalità e la competenza che ha sempre dimostrato nei confronti miei e di tutti i suoi assistiti – ho potuto fare il tampone solo il 3 gennaio. La positività riscontrata mi ha costretto (ero già abbondantemente guarito) a rimanere a casa isolato per altri 10 giorni, oltre a quelli che mi ero imposto fra il 28 e il 3 per non far correre “rischi” a nessuno.
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Totale: 18 giorni a casa. Ringrazio le persone che hanno accompagnato questo periodo noioso con le loro telefonate e le loro premure. Ringrazio la TV (in particolare la fiction di Muccino “A casa tutti bene” e le trasmissioni di SkyArte e RaiStoria) e qualche libro (“Albeggerà al Tramonto” degli amici Contessi, Costantini e Fedriga e varie pubblicazioni sul tema a me caro del caso-Moro) per avermi fatto buona compagnia. Ringrazio il signor Zuckemberg e la sua geniale idea di Facebook per aver permesso la condivisione del mio pensiero e la fruizione di quelli degli altri, in special modo quelli che, dal primo giorno, difendono un’idea di sereno approccio scientifico e umanistico al problema sanitario che abbiamo attraversato.
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In questi giorni le condizioni di salute ottimali mi hanno permesso di continuare a svolgere, grazie al prezioso strumento dello smartworking, il mio lavoro di servizio pubblico, nonostante, ovviamente, la condizione formale di “malato” mi esentasse dal farlo. In questo modo ho inteso sdebitarmi, almeno parzialmente, della condizione assistita e protetta, che mi ha consentito di non essere minimamente danneggiato nella mia posizione economica, a differenza di tanti miei concittadini e connazionali buttati nella disperazione dalla vicenda sanitaria. Non so se qualcuno mi ringrazierà per questo mio comportamento, ma non è importante e non l’ho fatto certo per cercare riconoscimenti. Rispondo solo alla mia coscienza.
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Adesso comincia il mio periodo di semilibertà. Dovrò continuare ad indossare una mutanda facciale già ridicola, schifosa, infame ed inutilissima prima della malattia, figuriamoci adesso dopo la guarigione. Ma è evidente (e lo è sempre stato) che non si tratti di un presidio sanitario, ma di un modo per radicare nella popolazione il senso di insicurezza e allarme che a qualcuno fa comodo politicamente, a qualcun altro economicamente e a molti altri psicologicamente, avendo trovato con questo concetto di “emergenza” una confidenza morbosa e incestuosa.
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Dovrò essere ancora costretto a fare cose penose e inutili, come stamattina, quando un servo del Male all’entrata del palazzo del Comune mi ha costretto a sporcarmi le mani di amuchina; dovrò sottostare a limitazioni di capienza, mutandamenti, cancellazioni o sospensioni a tempo indeterminato di attività pubbliche – fiere, sagre, feste, eventi sportivi o di piazza, presentazioni di libri – per fantomatici “motivi sanitari” scollegati dalla realtà medica e ospedaliera del tutto standard (ovvero stabilmente emergenziale da anni, per tagli drastici alle spese sanitarie) che viviamo da molti mesi e che si era modificata solo per qualche settimana della primavera del 2020, per motivi non riconducibili soltanto all’invadenza del virus, ma per errori di politica sanitaria sui quali mi auguro facciano luce, al più presto, la magistratura e la storia.
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Dovrò ancora rivolgere uno straziato, continuo e pressante pensiero a chi è rimasto intrappolato nella rete della psicosi che lo costringe, da sano, a pagare per lavorare o a rinunciare all’espressione del suo talento artistico o sportivo, a partire dal caso internazionalmente più famoso dell’eroico tennista Novak Djokovic, per giungere a quelli di tanti cari amici.
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Dovrò ovviamente dedicare un pensiero a chi ha avuto conseguenze peggiori dalla vicenda-covid. Sicuro, però, che non sarebbe stata questa mostruosa sovrastruttura di “precauzioni” (che non hanno protetto nessuno) a salvarli.
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Dovrò assistere, in Italia, al mono-pensiero politico, alla glorificazione di un leader neofascista come Mario Draghi, al voltafaccia dell’area politica in cui mi riconoscevo, transumata velocemente da “democratica” a “intollerante e liberticida” per motivi che ho in parte compreso, ma in buona parte ancora no.
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Dovrò continuare ad assistere con pena alla chiusura, all’indebolimento, al fallimento di numerose attività aziendali, aventi il core-businness connesso alla semplice premessa che le persone possano e debbano stare vicine e condividere liberamente i corpi, le idee, gli spazi, i contatti, le emozioni, i giochi, il lavoro, il cibo, gli spostamenti. Chiusure che saranno compensate dall’esasperazione di un sistema di consumi cybernetico, casalingo e domestico (acquisti di servizi on line) solitamente manovrato dalla grande distribuzione multinazionale. Ogni volta che sentite “dai! Scarica l’app!” una piccola azienda muore.
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Dovrò rinunciare ad uno spettacolo che si annunciava storico e indimenticabile del mio artista preferito nel prestigioso Teatro Alighieri della mia città, a pochi passi da casa mia, dopo averlo inseguito da 35 anni per tutta Italia e per mezza Europa. Ho rivenduto il biglietto. Non posso accettare che la mia presenza e quella del popolo musicale in cui mi riconosco siano condizionate al doversi mascherare il viso. Non lo dovrebbe accettare nemmeno lui, il sommo intellettuale che, fra tante meraviglie, ha ideato e condotto per 10 anni a Lampedusa, una rassegna dal titolo “O’Scià” (“Il Fiato” in dialetto siciliano) che aveva come claim “Nessun uomo è un’isola. Ogni respiro è un uomo”. Il fiato ravvicinato di un essere umano deve tornare ad essere una preziosa risorsa e non un pericolo da criminalizzare.
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Nb: il qr code dell’immagine è tratto dal web, non è mio. Ho pensato che fosse più prudente non pubblicare il mio.