Il Marocco “ravennate” saluta con eleganza la Coppa del Mondo di Calcio
Il “Resto del Carlino” mi ha inviato al ristorante Marrakech di Ravenna per vivere la semifinale mondiale fra Marocco e Francia. Risultato: un bel colpo ai pregiudizi. Eleganza, pulizia e voci soffuse, anche nel doloroso momento della sconfitta…
Il sorprendente Marocco ha concluso la sua straordinaria avventura ai Mondiali di calcio. La Francia ha fatto valere la maggior tecnica dei propri campioni, ma la prima semifinalista africana della storia non ha demeritato e ha tenuto il campo con onore.
La curiosità mi spinge al ristorante Marrakech di Ravenna all’ora della partita. Il pregiudizio annuncia una kasbah fumosa e ribollente di entusiasmo. La realtà ci fa trovare una compostezza da refettorio delle orsoline. Il locale è quasi pieno, ma si parla a fil di voce, con apparente distacco da quanto sta per accadere, che pure segna un importante punto di visibilità e di prestigio per la storia del Marocco.
Anche il momento degli inni è vissuto da seduti, in composto silenzio. Nessuna voce si leva a disturbare la Marsigliese e sull’inno marocchino (un testo di pura retorica con invocazione finale a Dio, Patria e Re) solo qualche occhio si fa impercettibilmente umido, probabilmente pensando ad affetti lontani.
Ti aspetti il sanguigno Nordafrica e ti trovi un college svizzero che non si scompone nemmeno quando viene negato un rigore piuttosto netto. I bambini rimangono sottovoce ed educatissimi. “E’ una mia scelta – ci dice il titolare Mohammed – controllo con attenzione la clientela. Non voglio nessun tipo di problema. Siamo ospiti in questo Paese, dobbiamo meritarci rispetto con il nostro comportamento. Per questo ho deciso di non servire alcol (ai tavoli abbonda un the servito con delicatezza, unitamente alla birra analcolica che si trova nei supermercati e a un “vino” che sembra obiettivamente un succo di mela, ndr). I miei connazionali non sono abituati a bere: con un paio di birre sarebbero già… agitati”.
Il calcio vi ha uniti? “E’ stata un’esperienza fantastica. All’inizio c’era poco interesse poi, quando sulla nostra nazionale si sono posati gli occhi del mondo, sono arrivate molte richieste. Per il trionfo contro il Portogallo il locale era pieno: una serata indimenticabile”.
Per un marocchino com’è la vita a Ravenna (la comunità cittadina conta circa 700 unità)? “E’ chiaro che uscire dal proprio Paese è una scelta sofferta, ma a Ravenna mi sono trovato bene. Il problema principale è il lavoro. Ad un colloquio se hai una piccola imperfezione nell’esprimerti in italiano è facile che tu venga scartato, anche se hanno bisogno”.
Passiamo ad un tavolo di ragazzi molto giovani. Si chiamano Rida, Omar, Sahid, Jillali, Marouane, Mohammed e Youssef. Sono qui da qualche anno, lavorano, si incontrano anche se “… Ravenna offre poco – dicono – soprattutto la sera. Con questo freddo alla gente piace molto stare in casa”. Per festeggiare? “Ci siamo concentrati intorno alla stazione. Abbiamo fatto casino fino a tardi, ma senza fare danni. Non siamo come quelli di Bruxelles”. Una cosa “strana” dei ravennati? La risposta è spiazzante: “qui i bambini sono sempre accompagnati dai genitori, da noi hanno più libertà”. Tornate spesso in Marocco? “Ci piacerebbe, ma i soldi ci sono per farlo solo ogni due o tre anni. E il sogno è sempre quello di tornare definitivamente”.
In mezzo ad una netta prevalenza maschile la nota gentile è affidata alla giovane cameriera Jawehek, (ci tiene a far sapere che il suo nome significa “gioiello”) dai bei capelli neri, che però ci sorprende: “Sono tunisina!” Rivalità? “Assolutamente no. Il Marocco è nostro vicino”. Dal tavolo dei ragazzi aggiungono: “Marocco, Tunisia, Algeria, Libia… avremmo tifato allo stesso modo per ognuna di loro”. “E sui social abbiamo avuto il pieno sostegno anche dell’Africa nera, della Palestina e di tutto il mondo arabo” aggiunge il titolare.
La Francia è stata un avversario normale o speciale? “E’ una potenza coloniale – risponde uno dei ragazzi – come la Spagna. E’ una sfida particolare”.
I vostri idoli? “Zyech, Hakimi, il portiere Bounou… ma seguiamo molto anche il calcio italiano”. Vi pesa che molti vostri atleti abbiano doppia nazionalità? “No – riprende il titolare – è come se mio figlio diventasse un bravo calciatore: avrebbe doppia nazionalità ma sono certo che sceglierebbe il Marocco. Del resto abbiamo visto come abbiano giocato tutti col cuore”.
Al triplice fischio parte un applauso spontaneo, lungo ed elegante, pieno di dolce gratitudine per questa imprevedibile avventura calcistica.
Marco Ortolani per “Il Resto del Carlino”.