La bella Paola si salverà dalla melassa della demagogia?

Nel 2015 partecipai all’organizzazione di un’amichevole della nazionale di volley femminile nella mia città. Ad un certo punto l’allenatore dell’Italia (il ravennate Marco Bonitta) mise in campo una ragazzina di colore che si portò in zona di battuta. Io seguivo distrattamente, preso da altre incombenze , ma sobbalzai quando vidi il suo formidabile giro al servizio. Mi rivolsi alle persone intorno a me e chiesi “Ma chi è quella? Ma quanti anni ha? Ma da che pianeta viene?”. Ottenni risposte distratte. Appresi che si chiamava Paola, che aveva 17 anni e che stava crescendo nel Club Italia. Non la conosceva ancora nessuno, tranne pochi addetti ai lavori.

 

Da quella volta seguii con attenzione e simpatia lo sviluppo folgorante della carriera di questa ragazza, che diventò in breve tempo (lo è ancora) la più forte pallavolista italiana e forse del mondo (ce n’è una, serba, che le ha conteso alla pari il trono per qualche tempo, forse oggi ce n’è una svedese che sta a quel livello). A mio avviso è anche una delle più forti atlete italiane di tutti i tempi, in un gotha che comprende Sara Simeoni, Deborah Compagnoni, Federica Pellegrini e poca altra roba.

 

In Italia, e praticamente nel mondo, da anni la squadra che ha in campo Paola Egonu, vince. Quella che le gioca contro perde. Alla faccia del gioco di squadra.

 

Il fatto che Paola sia nera ha attirato qualche curiosità. Come per tutti i personaggi pubblici si è ricostruita la sua discendenza (Paola è nata a Cittadella di Padova, da genitori nigeriani). Dalle mie informazioni risulta che Paola sia la pallavolista più pagata del mondo, che tutti i commenti di TV e giornali su di lei siano stati improntati alla più totale ammirazione per le sue capacità. Che sappia io il fatto che abbia la pelle nera non è mai stato un limite per la sua espressione sportiva. Posso supporre che le tifoserie avversarie l’abbiano presa di mira, come si fa con gli atleti più forti di ogni sport (quelli scarsi non se li fila nessuno). E nel linguaggio basic delle tifoserie sportive si imposta il dileggio sulla caratteristica esteriore più evidente (pelato, nasone, nano, rosso, biondo, giallo, gobbo, brutto, ciccione, storpiature del nome, o peggio insulti alla madre scomparsa, come accaduto a Materazzi, o a compagne famose come accaduto a Totti, o inviti al suicidio per Pessotto, ecc), cose che vanno dalla maleducazione allo squallore più vergognoso, ma che si ritiene di poter tollerare in un campo sportivo, finché si rimane nell’ambito verbale.

 

Paola fa uno sport minore, ma comunque si esibisce davanti a migliaia di persone e ad una platea televisiva. Non escludo che sia stata insultata, in modo anche pesante, da qualche tifoso avversario frustrato e represso; o anche da qualche proprio tifoso in un momento di delusione. Ma sono certo che MAI qualcuno abbia messo in dubbio il suo diritto di giocare, di guadagnare, di vincere, di vestire la maglia azzurra, di godere di tutti i diritti e di tutte le facoltà che spettano ad un giovane sportivo o una giovane sportiva di quel rango, compreso ovviamente quello di avere rapporti sentimentali e sessuali con chi preferisce.

 

La stampa provò a montare un pruriginoso interesse per un breve incontro fra la Egonu e l’allora ministro dell’Interno, leader di un partito dalle posizioni estreme in tema di immigrazione. Ma fu un (oserei dire ovvio) nulla di fatto: il leader salutò Paola, complimentandosi con lei per i grandi risultati ottenuti in maglia azzurra. Come ha fatto qualsiasi altra figura e carica pubblica (e vorrei anche vedere che non lo facesse…). Non conosco eccezioni a questa regola.

 

Veniamo a Sanremo. Nella nuova logica di ingaggiare unaIl monologo di Paola Egonu a Sanremo 2023- Corriere.it moltitudine di figure femminili per la co-conduzione, la RAI e Amadeus pensano (come molte altre volte accaduto in passato) al mondo sportivo e la scelta cade su Paola Egonu. La scelta ci sta, perché la Egonu è bellissima, truccatissima e anche altissima, cosa che, unitamente al portamento regale, permette la spettacolare valorizzazione di abiti lunghi e lussuosi. E fino a qui rimango ammirato, ma non certo sorpreso. La sorpresa positiva si ha quando Paola comincia a svolgere con grande precisione e disinvoltura il suo inedito compito televisivo. Regge lo stress, gestisce l’emozione, interagisce con personalità con quanto accade sul palco, ha una voce ferma ed espressiva, dimostra doti di intrattenitrice che non le conoscevo. Bravissima.

 

Arriva il temutissimo momento del pippone, espediente in voga da alcuni anni a Sanremo per ribadire che una presentatrice non è solo una bellona scema, ma anche una che sa dire cose interessantisssssime (anche questo… ma c’è bisogno di sottolinearlo ancora? Diventa il conformismo dell’anticonformismo a tutti i costi, vabbè). Ma la modalità ha perso potenza. Gli scrittori di pipponi televisivi sono a corto di originalità e partoriscono temini da scuola media sugli argomenti main stream più in voga. A Paola tocca un tema che non ci saremmo aspettati: il razzismo! Qui Paola (che non dimentichiamo ha solo 25 anni) secondo me perde il controllo di sé e diventa pedina inconsapevole di una melassa demagogica alla moda che non dice niente né di concreto né di utile, ma alla quale sembra essersi affezionata. Accanto ad un piccolo riassunto della propria vita familiare e sportiva (questo sì, dolce e interessante, peraltro declamato con capacità attoriale affascinante) Paola lamenta “offese” (ma chi non ne ha ricevute nella vita, sportivo o non sportivo che sia?) e continua ad accusare l’ambiente di razzismo, senza dire MAI chi sono state le persone che l’hanno offesa e quali siano stati gli ambienti nei quali l’essere di pelle nera l’ha svantaggiata.

 

Io penso che l’Italia non abbia il problema del razzismo. Ovvero non vi siano situazioni importanti in cui le persone nere vengano deliberatamente svantaggiate o escluse da situazioni professionali, sociali o sportive, per pura avversione al colore della pelle. Penso viceversa che l’Italia abbia invece un significativo problema di xenofobia, ovvero di avversione alle popolazioni straniere (con pelle di qualsiasi colore) presenti in Italia o in progetto di venire in Italia. Un’avversione che non nasce da una preclusione razziale, ma da una valutazione economica, sociale, culturale, linguistica eccetera, in qualche caso ignobile, ma in molti altri del tutto meritoria di essere esaminata con calma, valutata, discussa e persino giustificata, in determinati casi.

 

Fare “buuu” a un giocatore di colore non è razzismo. E’ sciocca maleducazione, povertà intellettuale, chiusura mentale, modestia culturale, penoso fanatismo di tifoso. Ma sono anche abbastanza convinto che, tranne pochi casi patologici che destano pena sociale, chi fa “buuu” non abbia problemi ad avere un collega di colore, ad ammirare un artista di colore, a tifare uno sportivo di colore (se gioca per la sua squadra), persino ad accoppiarsi sessualmente con una persona di colore. E’ solo uno stupido. Ma il razzismo è un’altra cosa. Il razzismo, per rimanere allo sport, sarebbe sostenere una diversa considerazione a priori degli sportivi neri rispetto a quelli bianchi, una differenziazione degli spogliatoi, delle regole, degli ingaggi, dei diritti. Un’eventualità che, in 40 anni di sport seguiti di ogni genere, non mi è fortunatamente mai mai mai capitato di incrociare né di sentire nemmeno ipotizzare da qualcuno. Chissà quando è capitato a Paola e chissà perché non ce ne parla con i dovuti dettagli, per darci modo di intervenire, censurare e reprimere quelle specifiche situazioni, senza mettere nel calderone tutto lo sport e addirittura tutta l’Italia (“non tutta” ci tiene a precisare, aggiungendoSanremo 2023: Paola Egonu bellissima in Armani, le foto dei look banalità a banalità). A mio avviso accende i riflettori su un problema che non esiste e peraltro lo fa senza definirne i contorni, senza dirci dove e come ha visto questo accadere.

 

Paola è la mia pallavolista preferita e lo è rimasta anche dopo Sanremo. Le riconosco un’umanità dolce e speciale che la rende ancor più bella di quello che già è, e doti di concentrazione e mentalizzazione che sono state decisive per farle fare bella figura (se si esclude la parte demagogica del pippone) all’Ariston come sui campi di volley. Le consiglierei di cambiare compagnie, di non balotellizzarsi, di uscire dal mood che le fa credere che ogni cosa che le accade sia dovuta al colore della sua pelle.

Ha 25 anni e tanto talento per giocare e (come abbiamo visto a Sanremo) non solo. Se li goda, insieme ai soldi che si merita.

Il suo successo, senza aggiungere pipponi, è già la bandiera e il faro guida di come i nuovi italiani, di qualsiasi colore abbiano la pelle, possano trovare una strada vincente e fortunata nel nostro Paese.

 

 

Marco Ortolani

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