XXIII Raduno – Trovatore di Prodigi
Il XXIII Raduno Clab, forse il meglio organizzato di questa lunga storia, comincia alle 15.06, con “ben” sei minuti di ritardo dei quali il perfezionista Claudio si scuserà ripetutamente. Entra suonando alla chitarra il misconosciuto brano “Fianco a Fianco”, praticamente mai eseguito in pubblico. Il testo è dedicato alla gente che lo viene a vedere esibirsi: “… quando si accese l’aria / di lampi e occhi in attesa / si fece grano al vento tutta la distesa / di mani verso il cielo / e ognuno come un ramo / dell’albero del mondo su cui crescevamo / si alzavano le braccia / come un immenso remo / e navigammo un mare che mai scorderemo…”
E’ il segnale che dovremmo aspettarci qualcosa di particolare. Claudio conferma: non saranno eseguite le 40/50 canzoni presenti nelle sue abituali scalette, ma saranno saccheggiate quelle meno fortunate, meno conosciute, meno celebrate e rese spesso più belle alle orecchie dei fans, proprio da questo crudele accantonamento che patiscono nella playlist di Lati A che Claudio ha proposto nelle scalette antologiche dei suoi ultimi tour. Ascolteremo, quindi, i Lati B e addirittura i Lati C, le cenerentole, le perle più nascoste.
.
Per inciso: chi ha la mia età ricorda i 45 giri con il Lato A, la canzone destinata a diventare la hit, e il Lato B, che non c’entra con pur divertenti battutacce onlyfans dell’amico Graziano, ma rappresenta la canzone di completamento, il supporto. Il Lato C non c’era, me lo sono inventato io, ma rende l’idea se penso a qualcuno dei titoli proposti oggi.
.
Con i Lati B e C di Claudio ci sono artisti (la maggioranza) che ci costruirebbero fior di carriere. E sarebbero fra i miei preferiti… Peraltro C e B sono le lettere-chiave del titolo del Raduno. CB Show. “C come canzoni, compositore e… e basta che è meglio“. “B come bello, bravo, buono e… basta che è meglio“.
Interminabile applauso per il ricordo di Claudia Arvati che fece la sua ultima apparizione in pubblico proprio al precedente raduno, vistosamente sofferente e accarezzata dal nostro affetto mentre si accingeva a partire per il suo viaggio verso l’ignoto, che cominciò solo poche ore dopo.
Per fortuna che la manfrina della finta legalità viene sbrigata a tempo di record.
.
E poi si comincia. Persone sul palco: una. Strumenti: due (un pianoforte a coda e un clavinova). Canzoni: trentacinque. Anni: quasi settantatrè. Ore di show: 4 e 48 minuti. Ospiti 1 (il figlio Giovanni che esegue un suo brano strumentale e poi accompagna il padre nella livida “Quei Due”). Spettatori: a occhio direi fra 2 e 3 mila. Standing ovations: numerose e insistenti. Brani conosciuti dal grande pubblico: 1 (Strada Facendo, che proprio non si è trattenuto dal voler fare, palesemente fuori programma) e mezzo (Fotografie). Bicchieri d’acqua bevuti: mezzo (dopo oltre 3 ore, scusandosi perché si era imposto – chissà perché – di non bere). Uscite di scena: 1 (di due minuti scarsi, mentre il figlio suonava, non credo ci sia stato spazio per la minzione).
Ogni brano è preceduto da un piccolo monologo. Battute a profusione (l’imitazione di Califano!!!), controllo totale della scena, aneddoti quasi tutti nuovi, voce splendente, mai una caduta di ritmo. Si ride, si riflette, ci si commuove. La scaletta è quella lungamente richiesta dai fans nelle precedenti occasioni. Lo sdoganamento di uno scrigno di bellezza che meritava almeno (almeno) questo palcoscenico.
Davanti a quest’uomo un popolo proveniente da ogni spigolo d’Italia, che ci ha messo soldi, tempo, ferie, scoprendo, come nel mio caso, l’esistenza di un’ora chiamata “le quattro e mezza del mattino” che ignoravo fino al momento di svegliarmi, oggi, per prendere il pullman-Romagna della capitana Mirca. Un pubblico quasi tutto compreso nella fascia 50/70 anni. Gente cresciuta, diventata grande insieme ai suoi occhi scuri, con un’anima smaniosa che risiede oggi in corpi talvolta ingrigiti e appesantiti, ma che si riaccende improvvisamente dinanzi a quel suono atteso chissà quanto, e torna a diventare quella di ragazzi e ragazze per sempre, che sanno ancora farsi portare dove un sogno è ancora libero e l’aria non è cenere.
.
In uno dei cento incontri che si fanno in queste occasioni una “ragazza” mi si avvicina con gli occhi colmi di magia. “Ma come fa? Ma cos’è? Ma ci rendiamo conto?” mi chiede, da sconosciuta, durante lo spettacolo. Dice che vorrebbe sentire la “sua” adorata Tamburi Lontani. Il tecnicissimo amico Federico, con il quale ho avuto il privilegio di condividere il loggione di fondo-platea, concorda sull’orgoglio di essere coevi di un prodigio, ma le dà poche speranze. “Tonalità… necessità di altri strumenti in appoggio… “.
Ma “ognuno ha il suo tamburo / un canto della comune solitudine…”. La fa. Trova il modo! Si arrangia per gli acuti ultraterreni che seppe incidere 34 anni fa, lo aiuta la folla in visibilio. Tam tam… tam tam… Dimmelo anche tu (stronza/o/x/*) che il tempo non ci ha sconosciuto… Ognuno vede in quelle parole quello che la vita gli ha dato in sorte e riceve l’illusione momentanea della greve possibilità di “metterlo ancora lì” ad una vita che va via così, senza aspettarci…
A mio avviso è il “gol” di una serata comunque piena di highlights.
Il popolo di Claudio torna sulle macchine, sui pullman, sui treni, sui taxi e torna a ri-sparpagliarsi per il Paese. Grano al vento, ritorno di eroi.
Grazie maestro e fratello Claudio, grazie a tutti i compagni di avventura.